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Truman Capote e la festa del secolo al Plaza Hotel di New York City

Fondatore della nonfiction novel americana, mondano ed eccentrico, ma brillante scrittore, forse schiavo della popolarità, che ha messo in ombra il suo talento

Michele CrescenzobyMichele Crescenzo
Truman Capote e la festa del secolo al Plaza Hotel di New York City

Truman Capote (Illustration by Pia Taccone)

Time: 11 mins read

28 novembre 1966. Tarda serata. Le luci del Plaza Hotel in New York City sono tutte accese; sta iniziando il “The Black and White Ball”, ovvero la festa del secolo. Truman Capote e Kay Graham entrano nella Grand Ballroom e si siedono ai loro posti. La sala è riempita, per ora, solo dagli ospiti che hanno partecipato alla cena pre-ballo, sono tutti raccolti in un angolo e chiacchierano tra loro sfoggiando sul petto un cartellino bianco con la scritta incisa in rosso: “Mr. Capote’s Dance” (le targhette erano state stampate all’ultimo minuto per evitare falsificazioni). Il principe Bertil di Svezia e due dei suoi aiutanti stanno facendo il check-in al Plaza. Fuori dall’hotel, in una fredda e umida notte newyorkese, la folla fotografa e applaude l’arrivo degli ospiti che escono lentamente dalla lunga fila di limousine.

Lo scrittore Truman Capote (di Peggy O’Connor, Flickr)

Nel 1966 Truman Capote dopo una lunga e travagliata lavorazione, pubblica “In cold blood” (A sangue freddo 1965 trad. Mariapaola Ricci Dettore, Garzanti) un resoconto dettagliato del quadruplice omicidio della famiglia Clutter. Per la sua ambiziosa costruzione narrativa, Capote si pose come obiettivo di raccontare i fatti effettivamente avvenuti, ma adottando i moduli narrativi tipici del romanzo di finzione, coniando l’espressione di non-fiction novel (o giornalismo narrativo o romanzo verità) un genere del quale lui è considerato il fondatore nella narrativa americana. Il romanzo viene pubblicato prima a puntate sul New Yorker, poi rilegato e edito dalla Randhom House.

Il romanzo lo porta al successo tanto che Truman Capote decide di festeggiare organizzando una festa senza precedenti, coinvolgendo la cosiddetta café society, in quegli anni chiamata jet-set, ovvero la cerchia di pochi eletti appartenenti alla classe agiata, al mondo dello spettacolo e degli affari. Lo scrittore si rendeva conto che era poco elegante organizzare una festa per se stessi, così ha concesso l’onore a qualcun altro: Kay Graham. Una donna che, dopo il suicidio di suo marito Philip nel 1963, aveva preso le redini dell’impero dei media, inclusi il Washington Post e Newsweek. Graham (che Meryl Streep ha interpretato nel film The Post del 2017 diretto da Steven Spielberg) ricorda al Esquire: “Truman mi ha chiamato in estate e ha detto che voleva fare una festa per me, per tirarmi su di morale. All’inizio non pensavo fosse serio. Credo che volesse fare una festa al Plaza e stesse cercando una ragione, e immagino di essere stata io. Suppongo che abbia scelto me perché non ero in conflitto con tutti i suoi cigni”.

I “cigni” di Capote erano, tra le altre, Babe Paley, Marella Agnelli, Slim Keith, Gloria Guinness, Lee Radziwill, C.Z. Guest, chiamate così per la loro bellezza, il fascino e perché dotate di un lungo collo. Marella Agnelli nella biografia corale “Truman Capote” curata da George Plimpton diede però una diversa interpretazione: Truman osservava le persone e vedeva i loro punti deboli; diventava un padre confessore. Mi trovai a raccontargli cose che non avrei mai pensato di potergli dire. Stava in attesa come un falco. Devo dire che non ci adorava per le persone che eravamo, sebbene ce lo facesse credere. Per Truman la cosa interessante era la condizione in cui vivevamo, il tipo di vita che conducevamo. Non ci adorava, ci analizzava.

Novembre 1966: il romanziere americano Truman Capote al ballo in bianco e nero al Plaza Hotel di New York, con Katherine Graham, editore del Washington Post (di Peggy O’Connor, Flickr)

Truman Capote compose la lista degli invitati alla festa The Black and White Ball anche con Marella Agnelli, che lo aveva invitato a fare una crociera lungo la costa dalmata con lei e suo marito Gianni, sul loro yacht. Per tutto il tempo ha modificato il suo elenco di nomi, proprio come l’estate prima aveva corretto le bozze per In Cold Blood sulla barca degli Agnelli. All’inizio di ottobre ha finalmente spedito gli inviti, 480 cartoncini bordati di rosso e giallo, su cui c’era scritto:

“In onore della Sig.ra Katharine Graham / Sig. Truman Capote / chiede il piacere della sua compagnia / a un ballo in bianco e nero / lunedì, ventotto novembre / alle dieci / Grand Ballroom, The Plaza / ABITO Signori: cravatta nera; Maschera nera. Signore: vestito nero o bianco; Maschera bianca; fan. RSVP. Miss Elizabeth Davis, 465 Park Avenue, New York”.

Questo invito è stato ricevuto da Lady Bird Johnson, Andy Warhol, il Duca e la Duchessa di Windsor, Gloria Vanderbilt, Babe Paley, Billy Baldwin, Harry Belafonte, il Maharani di Jaipur, Frank Sinatra, Candice Bergen, Gloria Guinness, Lee Radziwill, Brooke Astor, Mia Farrow e la principessa italiana Luciana Pignatelli (che indossò un diamante da 60 carati preso in prestito da Harry Winston). Ma Capote non dimenticò i suoi vecchi amici, invitò anche uno dei suoi ex insegnanti, un medico di campagna, un banchiere, un giornalista televisivo, membri della famiglia del suo compagno (scrittore ed ex ballerino Jack Dunphy) e il fotografo Gordon Parks – che affermò di essere “il nero del ballo bianco e nero”. Ricordando quella festa, ha raccontato in un intervista a vanity fair che Truman fu “molto democratico. Diceva, infatti, che tutti vanno in bagno per la stessa cosa”. Battute sarcastiche come queste sono state la fortuna di Truman Capote, lo scrittore americano infatti diventò molto popolare grazie soprattutto alle sue acute freddure («È un dato scientifico che se vivi in California perdi un punto di QI all’anno») i suoi racconti divertenti («all’improvviso arriva questa donna con una camicetta attillata, se la tira su e mi porge una matita per sopracciglia. E poi mi dice “Voglio che mi autografi l’ombelico”. Così scrivo il mio nome T-R-U-M-A-N C-A-P-O-T-E. Il marito era ubriaco fradicio, guardandomi con odio profondo le prende la matita e me la dà, poi si sbottona i pantaloni e tira fuori l’affare. Ci guardavano tutti. “Visto che autografi qualsiasi cosa, che ne dici di autografare questo?”. C’è una pausa e poi io dico “Be’, non so se riesco ad autografarlo, ma forse riesco a metterci le iniziali») e soprattutto il suo incredibile modo di essere sé stesso («essere omosessuale non è mai stato un problema per me. Voglio dire mi guardi. Sono sempre stato così. Ero molto popolare. Ero divertente ed ero bello. Le persone all’inizio rifiutano ciò che è diverso, ma io riuscivo a conquistarle senza difficoltà. Sedurre: ecco quello che faccio. La cosa andava in questo modo: pensi che io sia diverso, bè, allora ti faccio vedere davvero quanto sono diverso» tratto da Colazione da Truman di Lawrence Grobel).

Truman Capote e la festa al Plaza Hotel di New York City

Alcuni studiosi affermano che questa popolarità è stata controproducente perché ha prevalso sul suo talento letterario, Truman Capote infatti aveva uno stile raffinato capace di passare tra diversi registri narrativi, di far commuovere e pensare, ma soprattutto di inchiodare il lettore alle pagine e di sorprenderlo. In un intervista in “Colazione da Truman” dichiarò «Ho sempre saputo che ero in grado di prendere un qualsiasi grappolo di parole e di lanciarlo in aria per poi vederlo ricadere nel modo giusto. Sono il Paganini della semantica». Il pubblico iniziò a conoscerlo grazie al successo del racconto Miriam (giugno del 1945) che venne pubblicato dalla rivista Mademoiselle (la storia di una vedova di sessant’anni, Mrs. H. T. Miller, e di una bambina enigmatica che, per l’anziana donna, diventa una presenza inquietante. Il racconto suggerisce al lettore l’ipotesi del disturbo della personalità, elemento completamente nuovo in quegli anni).

Il successo del racconto lo portò a pubblicare il suo primo romanzo “Other Voices, Other Rooms” (Altre voci, altre stanze, 1948), trad. Bruno Tasso, Garzanti) scritto “come se stessi scrivendo le parole di una voce da una nube”. Il libro è un ritratto sensibile, in parte autobiografico, della ricerca di un ragazzo di suo padre e della propria identità sessuale attraverso il mondo dell’America del sud.

Il romanzo è dedicato al suo partner, Newton Arvin, professore dello Smith College che nel 1951 vinse il National Book Award per la sua biografia dello scrittore Herman Melville. Other Voices, Other Rooms gli valse nove settimane consecutive ai vertici della classifica dei libri più venduti secondo il New York Times. Il romanzo vendette moltissime copie anche grazie alla foto dell’autore nella quarta di copertina, il LA Times la commentò in questo modo: sembra stia contemplando con aria sognante qualche oltraggio alla pubblica morale. Il celebre scatto di Harold Halma impressionò Andy Warhol che organizzò una mostra intitolata Fifteen Drawings Based on the Writings of Truman Capote alla Hugo Gallery, nel 1952.

Truman ad un ballo a New York City (di Peggy O’Connor, Flickr)

Nel 1958 pubblica “Breakfast at Tiffany’s” (“Colazione da Tiffany“. 1958 trad. Bruno Tasso, Garzanti, Milano). Un romanzo breve ambientato nell’autunno del 1943, dove il narratore racconta la sua amicizia con Holly Golightly. I due sono inquilini in un appartamento nell’Upper East Side di Manhattan. Holly è una giovanissima ragazza di campagna che vive nella società dei caffè di New York. Non ha un lavoro e vive uscendo con uomini ricchi, che la portano in club e ristoranti, e le danno soldi e regali costosi. Holly spera di sposarne uno di loro. Nella prefazione dell’ultima ristampa Garzanti lo scrittore Paolo Cognetti racconta che quando Colazione da Tiffany venne pubblicato per la prima volta, nel 1958, il «Time» definì la sua eroina Holly Golightly «la gattina più eccitante che la macchina per scrivere di Truman Capote abbia mai creato. È un incrocio tra una Lolita un po’ cresciuta e una giovanissima Zia Mame… sola, ingenua e un po’ impaurita». Cognetti ricorda, inoltre, che da quel momento la fama dello scrittore americano non ha fatto che aumentare: di tutti i suoi personaggi, disse Capote più tardi, lei era la preferita, ed è facile capire perché. Holly è una ragazza del Sud trapiantata a New York, attrice cinematografica mancata, generosa con tutti, consolatrice di carcerati, eterna bambina chiassosa e scanzonata.

Truman Capote fa una autografo sul suo romanzo di successo “In Cold Blood”

Quando i produttori americani pensarono di trarre un film dal libro, Truman Capote pensò subito a Marilyn Monroe per il volto a Holly Golightly. L’attrice aveva, come la protagonista del libro, «l’aria sana di chi vive di latte e di burro. Le guance d’un rosa acceso, la bocca grande» e il peso di un’infanzia complicata che avrebbe reso l’interpretazione più fedele all’originale. Ma Capote aveva venduto i diritti alla Paramount Pictures che alla fine preferì Audrey Hepburn. La decisione si rivelò felice perché quel ruolo valse alla Hepburn il premio Oscar come migliore attrice. Lo scrittore non fu contento del film a causa di tutti i cambiamenti che lo sceneggiatore George Axelrod fece per adattare la storia alle convenzioni cinematografiche della commedia romantica, soprattutto sul finale.

Nel 1959 (sette anni prima della festa The Black and White Ball) Truman Capote trovò un breve articolo sul New York Times su un raccapricciante omicidio quadruplo in una fattoria del Kansas. Prima che i responsabili della strage fossero catturati, Capote decise di arrivare sul luogo per scriverne. Fu accompagnato dalla sua amica d’infanzia, e scrittrice, Harper Lee: assieme interrogarono a lungo le persone del luogo e gli investigatori assegnati al caso. Truman Capote effettuò un lavoro accurato ricostruendo in modo estremamente dettagliato gli omicidi alla fattoria dei Clutter. Gli assassini, Perry Smith e Dick Hickock, entrambi ex detenuti, avevano intenzione di rapinare la famiglia, che sapevano essere benestante. Non trovarono soldi in casa poiché il proprietario della fattoria, Herbert Clutter, pagava solo con assegni. Prima di arrivare alla fattoria, Smith e Hickock avevano concordato che nessun testimone poteva essere lasciato indietro, indipendentemente dal fatto che la rapina avesse avuto successo o meno. I Clutter furono legati in stanze separate e uccisi a distanza ravvicinata da colpi di fucile.

Durante il lungo lavoro di ricerca Capote ha stretto un legame speciale e profondo con Perry Smith; sebbene sorprendentemente diversi, entrambi avevano sopportato un’infanzia difficile. “Ognuno si guardava l’un l’altro e vedeva, o pensava di vedere, l’uomo che avrebbe potuto essere” (Gerald Clarke in “Capote“, 1988).

“In Cold Blood” dello scrittore americano Truman Capote

“In Cold Blood” è iniziato come una serie di articoli per il New Yorker, basati su sei anni di ricerche e interviste. Molti lettori sono rimasti colpiti dalle lunghissime frasi dei due criminali che Truman Capote aveva recuperato. Ha spiegato che questo derivava da un talento per la registrazione mentale di lunghe conversazioni, un’abilità che aveva sviluppato e utilizzato perché credeva che prendere appunti, tanto meno l’uso di un registratore, creasse artificio e distorcesse o addirittura distruggesse qualsiasi naturalezza che possa esistere tra l’osservatore e l’osservato.

Capote sapeva che la fine del suo romanzo doveva coincidere con le esecuzioni dei due assassini condannati. Nel 1965, quando gli assassini furono impiccati, il conflitto che sentì “lo fece a pezzi” (Gerald Clarke in “Capote“, 1988). Nel libro “colazione da Truman” (minimum fax, febbraio 2017) Truman Capote dichiarò che prima di morire Perry gli disse addio. E continuò dicendo: ti amo e ti ho sempre amato.

La storia trucida, il dualismo con Perry, le parole registrate mentalmente e quelle scritte segnarono talmente l’esperienza artistica ed umana che non riuscì a finire un altro romanzo, pubblicò cinque libri, ma solo brevi opere o raccolte di racconti. Come ricorda il New York Time, Capote dichiarò che se avesse saputo cosa lo aspettava in Kansas, sarebbe “andato dritto come un pipistrello fuori dall’inferno”.

Dopo la pubblicazione di “In Cold Blood” e il successivo “The Black and White Ball”, Truman Capote bevve tanto e iniziò a usare droghe. Ingrassò. Iniziò ad apparire nei talk show televisivi per le sue battute feroci e i pettegolezzi scandalosi. Negli anni settanta decise di emulare l’opera Answered Prayers di Proust, (un romanzo di saggistica che criticava fortemente la società dei caffè che frequentava) ma il progetto, a cui diede il titolo di “Answered Prayers: The Unfinished Novel” (Preghiere esaudite 1987, trad. Ettore Capriolo, Garzanti, Milano) non arrivò mai alla conclusione a causa dei continui rimandi. Per mantenere vivo l’interesse del pubblico per l’opera promessa, nel 1975 decise di consentire alla rivista Esquire di stampare parti del romanzo incompiuto. La decisione fu catastrofica perché l’autore americano descrisse storie apparentemente vere e per lo più scandalose sui suoi famosi amici che si allontanarono (la vicenda è raccontata da Melanie Benjamin nel suo libro “I cigni della Quinta strada”, edito da Neri Pozza). Ann Woodward, una delle protagoniste della vita mondana di New York, si riconobbe in uno dei racconti e si suicidò, e da allora Capote fu allontanato dalla società che era riuscito a conquistare.

Il mondano scrittore Truman Capote (di Peggy O’Connor, Flickr)

Nel 1978, ospite di un popolare show televisivo, ha dichiarato di consumare «una specie di cocktail» con vodka, valium ed altri farmaci. Probabilmente fu proprio uno di questi che gli fu fatale all’età di sessant’anni. Come disse il suo esecutore testamentario: «Truman è morto di tutto, è morto di vita, per averla vissuta fino in fondo». (Colazione da Truman di Lawrence Grobel).

Le cause del declino di Capote durante gli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 sono molte e complesse. Sicuramente non si riprese mai del tutto dallo shock, nel 1965, di assistere alla doppia esecuzione per impiccagione di Perry Smith e Dick Hickock (questa esperienza straziante, esacerbata dal pensiero che avrebbe potuto in qualche modo salvarli, lo trasformò in un crociato contro la pena di morte) senza dimenticare l’alcool, le droghe e una serie di compagni sentimentali dannosi (di solito uomini eterosessuali) nati nelle pause dalla relazione di lunga data con lo scrittore Jack Dunphy.

Truman Capote balla ad una festa (di Peggy O’Connor, Flickr)

Truman Capote al The Black and White Ball aveva 42 anni e per molti critici letterari quell’evento ha segnato il culmine della sua fama e dei suoi successi, mentre per altri quella festa è stato solo il tentativo fallimentare di ributtarsi nella mondanità cercando di dimenticare gli omicidi della famiglia Clutter. I partecipanti alla festa ricordano che rideva di gusto mentre i barman aprivano 450 bottiglie di champagne Taittinger che scorrevano, secondo C. Z. Guest, “come il Mississippi o il Nilo” ma non nel bicchiere di Frank Sinatra che preferì il bourbon, come ricorda il cameriere del Plaza Joe Evangelista, incaricato di “prendersi cura” del suo idolo per la notte. Peter Duchin compose le melodie degli spettacoli di diversi compositori e parolieri presenti (Alan Jay Lerner, Comden e Green, Harold Arlen) fece alzare tutti e correre sulla pista da ballo. L’orchestra suonò fino alle 3:30 del mattino. Il dottor Russell Maxfield, uno degli ultimi ad andarsene. Ricorda “quando siamo tornati nelle nostre stanze al Plaza, Truman si è unito a noi. Era così eccitato. Voleva parlare con noi tutta la notte”.

Truman Capote fu scandaloso, mondano, eccentrico, brillante, intuitivo e sicuramente uno dei più importanti scrittori del Novecento. Una volta a Andy Warhol, durante un drink pomeridiano nella Oak Room del Plaza, gli confessò che considerava tutto ciò in cui si impegnava – un romanzo, una multa o un ballo – come un atto artistico. E in tutto quello in cui si era impegnato – un libro, una festa, una battuta – è riuscito davvero a trasformarlo in arte.

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Michele Crescenzo

Michele Crescenzo

Michele Crescenzo legge e scrive, appena può. È nato a Napoli nel’77 dove si è laureato in Sociologia. Vive a Milano dal 2002, dove lavora in una multinazionale americana. La sua quotidianità è alternata da numeri e parole. Da lunghissime call conference internazionali alla stesura di articoli letterari. Scrive recensioni per Satisfiction. Gestisce “Ti ho Rivista” tabloid sul mondo delle riviste indipendenti italiane. Organizza eventi culturali alla libreria milanese Gogol&Company. Cura la column “Gotham's Writers” su La Voce di New York. Nel tempo libero scrive: Nel 2009 ha vinto il Premio Chatwin, concorso internazionale sul viaggio. Ha pubblicato racconti per antologie e riviste letterarie (‘tina, Pastrengo, Talking Milano, Lettura la newsletter del corriere della sera).

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