Durante il dialogo virtuale organizzato dall’Italian Institute for International Political Studies (ISPI), in collaborazione con la Fondazione Italianieuropei, si discute “La crisi dell’ordine mondiale dopo il coronavirus”.
Il dialogo prende spunto dal nuovo libro di Massimo D’Alema, “Grande è la confusione sotto il cielo”. Intervengono Giampiero Massolo (Presidente ISPI), Romano Prodi (Presidente della Commissione europea), Giulio Tremonti (Presidente Aspen Institute Italia) e Massimo D’Alema, autore del libro. Moderatrice dell’incontro è Lucia Annunziata, giornalista Rai.

Nella sua tesi, Massimo D’Alema spiega i motivi della crisi dell’ordine mondiale che caratterizzano gli anni ’20 del nuovo millennio.
Tre sono i fattori chiave:
- L’Occidente oggi è indebolito, a causa del declino della leadership degli Stati Uniti, che mette la situazione europea in una nuova fase.
- La Cina, invece, è il paese che “appare capace di interpretare nel modo più profondo la grande trasformazione in corso, di coglierne le opportunità e di far prevalere una visione armoniosa nel cambiamento”.
- Covid-19 è visto come un acceleratore delle debolezze dei paesi occidentali, che aggrava la crisi dell’ordine mondiale, senza necessariamente cambiarne il DNA.

L’Occidente è incitato a curare i suoi mali, piuttosto che incolpare la potenza emergente, come nuovo nemico che sorge all’orizzonte. Nonostante ciò, D’Alema chiarisce: “la Cina è certamente la grande protagonista del nostro tempo… ma non è il paese attorno al quale si può pensare nasca un nuovo ordine mondiale”.
Il pandemia di Covid-19 ha certamente accelerato in maniera drammatica le tendenze che erano in atto, ma non ha assolutamente cambiato il senso di marcia dei processi internazionali.
È evidente che ci troviamo di fronte alla crisi della globalizzazione, che nasce da ragioni molto profonde. Secondo D’Alema una globalizzazione senza regole, con un ridotto ruolo dello stato e dominata da una visione ultra liberista ha prodotto indiscutibilmente un’enorme crescita della ricchezza, ma ha anche generato conflitti, contrasti, contraddizioni e ineguaglianze, che oggi non sono più sostenibili.
L’Occidente, dopo la fine del bipolarismo, è stato per lungo tempo il centro di un ordine mondiale, che si muoveva verso un modello unico di economia di mercato liberaldemocratico. Questo stesso modello oggi si trova ad essere indebolito, non soltanto dal fatto che si deve misurare con altri protagonisti internazionali, ma anche per ragioni che sono interne allo stesso mondo occidentale.
Il fascino della democrazia, dalla fine degli anni ’90, si è molto appannato e quel processo di democratizzazione, che aveva caratterizzato per una certa fase storica lo scenario mondiale, oggi sembra essersi fermato. Assistiamo a fenomeni come populismo e tecnocrazia. La coscienza collettiva che diventa insurrezione si verifica in tutto il mondo in temi di carattere sociale, economico e politico. Contemporaneamente assistiamo ai cambiamenti dei governi, che diventano sempre più tecnici.
Un altro cancro dell’Occidente, secondo D’Alema, è dato dalla mancanza di dialogo tra Europa e Stati Uniti, generatosi dalla presidenza Trump. Questo lacuna rappresenta un ulteriore strappo. La mancanza di dialogo viene dal fatto che non si proviene dallo stesso background culturale. Al momento, infatti, c’è una divergenza di interessi chiaramente visibile, che mette a rischio il concetto stesso di Occidente. Necessario è quindi riprendere al più presto un dialogo strategico tra le due sponde dell’Atlantico.
C’è bisogno della grande tradizione giuridica e diplomatica dell’Europa. L’Occidente deve tornare ad essere se stesso, capace di sostenere con orgoglio e coerenza i suoi valori. Ma per farlo, l’UE deve prima di tutto rimettere in moto la sua economia e fornire una prospettiva, in particolare alle future generazioni.
D’Alema inoltre crede nel dialogo con la Cina, pur sentendosi profondamente parte del mondo occidentale. Non è certo un sostenitore di una nuova guerra fredda, anzi. Attraverso il dialogo, la guerra fredda si potrebbe evitare e si porrebbero le basi per una nuova e rinnovata cooperazione. Infatti, se si vogliono aiutare le democrazie e i processi di liberalizzazione, bisogna coinvolgere la Cina. La politica dello scontro è assolutamente sbagliata. Negli ultimi tempi assistiamo ad una stretta de parte della Cina, derivante proprio dalle conseguenze delle relazioni internazionali; fino a qualche anno fa, la potenza cinese si era mostrata più aperta al dialogo.
“Confrontarsi pacificamente con la Cina non significa subire il fascino dell’autoritarismo, ma capirne il fenomeno culturale e le radici” afferma.
Un grave errore di analisi secondo D’Alema è l’idea che si possa applicare alla Cina la stessa chiave analitica con cui si analizzò l’URSS. “La Cina non è la nuova versione asiatica dell’impero sovietico”. Questo errore di analisi rivela l’incapacità di capire le fondamenta storiche della cultura cinese. Infatti “l’Occidente, in particolare quello anglosassone, non ha mai capito quasi nulla della Cina”.
Il mondo si trova ad un bivio. Questo processo di relativa de-globalizzazione può portare a due strade: una rinnovata cooperazione tra gli Stati, oppure ad una situazione di conflitto e nuova guerra fredda. Ma poiché nessun passo in avanti ci può essere in un quadro conflittuale, bisogna fare ogni sforzo per creare un quadro cooperativo e multilaterale. Un mondo in cui c’è soltanto un centro non tornerà!
La visione di D’Alema, insomma, presenta un realismo di posizioni e argomentazioni mirato a costruire un dialogo.
Quali sono le tappe fondamentali della globalizzazione?
- Nell’89 cade il muro di Berlino e si ha la fine del bipolarismo.
- La fine degli accordi di Bretton Woods del ’44 (sistema di scambi fissi tra le valute del mondo basato sul dollaro, che permetteva stabilità e controllo degli scambi) e le successive due crisi petrolifere, portano ad una stagflazione economica (disoccupazione+inflazione). Ma le politiche e le propagande attuate dal presidente americano Reagan, insieme al primo ministro inglese Thatcher pongono le basi per un mercato globale.
- Il 15 aprile 1994 a Marrakech viene disegnato il World Trade, paradigma della globalizzazione. L’accordo sancisce la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Da questo momento la fabbrica del mondo si sposta in Asia.
- Nel dicembre 2001 la Cina entra nel WTO e da quel giorno il mondo subisce il più grande cambiamento economico nella storia recente.
- Nel 2007 negli USA l’American Home Mortage e la Lehman Brothers falliscono. La FED e la BCE iniettano 120 miliardi di euro nel sistema bancario per evitare la liquidità generale, ma è l’inizio del tracollo finanziario. Siamo nel 2008: è l’inizio della prima crisi. Già negli anni del 2008-2009 la crescente disuguaglianza interna agli USA ha messo in risalto la disuguaglianza tra le nazioni dell’UE.
- Arriviamo agli anni ’20 del nuovo millennio con una seconda crisi che si prospetta ancora più forte a causa dell’incertezza circa l’evoluzione della pandemia.
Nel 2008 e nel 2009 quando ci si interrogava su come reagire alla crisi, si confrontavano due visioni nel G7 e nel G20. Si poneva il problema della necessità di stabilire le regole dell’economia, poiché non era possibile agire solo sugli effetti, ma bisognava occuparsi anche delle cause. La Global Legal Standard era la bozza di un trattato multilaterale, stesa su iniziativa del governo italiano. Questa visione si confrontava con il Financial Stability Board presieduto da Mario Draghi nel 2009, che essenzialmente sosteneva che le regole per l’economia non erano necessarie, ma erano sufficienti degli adattamenti per la finanza. Quest’ultima visione vince e la finanza si sviluppa. Per esattamente dieci anni queste scelte hanno dato al mondo una progressiva globalizzazione, ma oggi torniamo al punto di partenza.
La promessa di una società più ricca per tutti è diventata un vantaggio di pochi. Oggi assistiamo a povertà e disuguaglianza tra nazioni e generazioni, ad una progressiva polarizzazione della ricchezza, non solo tra le nazioni del mondo, ma anche all’interno dell’UE stessa tra nord e sud. I paesi devastati dalla precedente crisi sono stati trattati con distacco e l’Europa di fronte a questo sbilanciamento si è mostrata indifferente.
In effetti, in particolare Angela Merkel è sempre stata più orientata a pensare alle priorità dell’economia tedesca, piuttosto che a quelle dell’integrazione europea. C’è una palese alterazione del concetto di uguaglianza.
Ma nella nuova crisi economica dovuta al coronavirus, l’alleanza di Italia, Spagna e Francia ha avuto successo; si è creata una comunanza di interessi.

Secondo il politico ed economista italiano da sempre di corrente filoeuropea Romano Prodi, la Merkel ha capito che il futuro della Germania è legato all’Europa. “Ha perciò guardato al futuro del suo stato e non ai suoi banchieri”; ha intuito dove l’Europa si stava avviando e ha capito che l’unico modo per uscire dalla crisi era mantenere l’Europa unita, anche se questo significava “donare denaro alle economie indebolite del Sud… La Germania da sola, di fronte a Cina e Stati Uniti non può nulla, ma soltanto insieme all’Europa, seppur in maniera più bilanciata con gli altri paesi europei, può ancora giocare un ruolo di leadership nel mondo”.
L’Unione Europea deve ristabilire la sua rotta originaria, ma prima deve riequilibrare la solidarietà e la produttività al suo interno.
La potenza dominante rimane comunque quella americana, ma in un nuovo ordine mondiale post covid, non può essere assente la Cina, anche se dal 2013 con la nuova presidenza di Xi Jinping ha assunto una proiezione geopolitica piuttosto imperialistica. Questo è chiaramente il senso del reticolo della Via della Seta. Nel nuovo ordine non potrà mancare l’Europa, seppur con le sue enormi difficoltà. “L’Europa ha perso l’Inghilterra e gli oceani, quindi ha una dimensione continentale limitata rispetto a quella della sua storia” afferma Prodi.
Quale ruolo assumeranno gli USA in un rinnovato ordine mondiale?
Secondo Giampiero Massolo parlare di cosa succederà alle elezioni di novembre, è ancora prematuro, ma gli Stati Uniti sono tutt’altro che ritirati dallo scenario mondiale, anzi sono unilateralmente presenti. “Questo non cambierà, chiunque diventi il presidente degli Stati Uniti”. Non sono disposti a cedere la loro leadership. La sfida per l’egemonia con la Cina, è sfida sia per Trump, che per Biden.
“Trump dichiaratamente non ha mai voluto essere il presidente di tutti gli americani, ma soltanto della sua constituency, ma questa constituency covid o non covid, non sembra essere stata particolarmente scalfita, nonostante quello che sta succedendo” ha detto Massolo. Dunque Trump continuerà a parlare alla sua audience, poiché non ha alcuna ragione di invertire il senso di marcia. Trump ha vinto il suo primo mandato ponendosi a favore del neoprotezionismo, con una linea puramente contenitiva, e di particolare respingimento nei confronti della Cina, vista come nemico strategico degli Stati Uniti. Non ha mai negato gli squilibri prodotti dalla globalizzazione. E attraverso l’utilizzo dell’arma spregiudicata del commercio ha cercato di combattere questa guerra egemonica, senza però preoccuparsi del fatto che le sue decisioni rischierebbero di portare ad una de-globalizzazione.

Secondo Trump, l’America deve essere libera da vincoli e chiarissimi sono i suoi slogan: “America First” – “Make America Great Again”. In questi mesi, la presidenza Trump, è stata messa in difficoltà dal Covid. E il potere della Cina, dopo la pandemia, non diminuirà; anzi, la Cina si è già rimessa quasi allo stesso livello di prima, pertanto se l’Europa non accelera la sua ripresa, vedremo presto una Cina ancora più assertiva e forte. Nonostante questo il gigante cinese, non è ancora in grado di contrastare l’egemonia americana, anche se ha “l’esigenza di affermare se stessa e soprattutto e di rafforzare le proprie politiche di nazionalismo; per dirla in termini trumpani, di China First!” afferma Massolo.
Proprio perché non è ancora in grado di insidiarsi al primo posto, tenta più che altro di rimodulare le regole delle relazioni internazionali, per evitare che siano troppe costrittive nei suoi confronti, impedendole quindi di sviluppare liberamente le sue funzioni di visibile crescente assertività, sotto il pretesto dell’armonia.
In questo quadro, per Massolo non è sbagliata l’idea per l’ltalia di avere un rapporto con la Cina, attraverso l’Europa, ma l‘Italia deve sapere da dove viene. “Non c’è nulla di male nel fare dei pezzi di strada insieme, ma è importante fare delle constatazioni sul radicamento dell’Italia nell’Occidente. Se si perde di vista questo sunto fondamentale, allora si dà l’impressione che in realtà sotto sotto, con una giustificata e motivata collaborazione, ci possano essere delle ragioni strutturali, che sarebbe meglio per l’Italia che non ci siano”.
Totale o parziale de-globalizzazione?
Giulio Tremonti osserva che la borsa americana ogni giorno si muove con scarti spaventosi senza alcun collegamento tra la moneta e la realtà. E paragona gli anni ’20 del XXI secolo al ’29 del secolo precedente. “L’enorme rischio di questi anni ’20 è che si ripeti il rischio dei vecchi anni ’20” afferma. Per Tremonti ci troviamo di fronte ad una de-globalizzazione.

Ma di diversa opinione è Romano Prodi, che afferma che dopo il coronavirus non avremo affatto una de-globalizzazione, perché l’intreccio è troppo forte, avremo piuttosto una globalizzazione diversa. Gli americani non possono rinunciare al loro mercato cinese e alle loro multinazionali in Cina. “Se questi intrecci si rompessero, si spaccherebbe tutto” ha affermato. Piuttosto avremo una de-globalizzazione parziale. Le 3 grandi economie (UE,USA,Cina) ci saranno e conserveranno un commercio internazionale.
Prodi sottolinea anche che il coronavirus, ha accelerato il ruolo delle grandi società che compongono la rete del mondo, società che governano la connettività come Google, Amazon, Alibaba. Questi colossi hanno acquistato in questi mesi, una potenza tale da squilibrare ulteriormente il mondo, quindi le differenze cresceranno ancora di più. “Se l’Europa non si mette assieme, è fritta” ha preannunciato.
Prodi boccia anche una Bretton Woods futura, da molti desiderata per assestare la situazione. “È impossibile” spiega “la Bretton Woods di oggi presume un accordo che non c’è… La tensione anticinese in America e la tensione antiamericana in Cina è crescente, e al di là delle elezioni americane di novembre, la situazione non cambierà: semplicemente i democratici saranno più educati”. Prodi conferma che gli Stati Uniti non sono disposti a cedere il loro ruolo di leadership. Anche l’ambasciatore italiano a Washington, in un recente incontro circa le previsioni dell’economia americana, aveva annunciato l’irrinunciabilità della leadership USA, che rimane “una decisione condivisa degli Stati Uniti, anche per coloro che declinano questa scelta, in maniera protettiva del mercato interno”.
In conclusione, le parole dell’ex presidente americano Barack Obama, all’elezione del neoeletto presidente Donald Trump nel 2016, risuonano oggi più forte che mai: “non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo”, di un mondo integrale e globale, costruito sull’utopia, si potrebbe aggiungere.
“La sinistra nel secolo scorso, ha subito il fascino del liberismo, ma lo stesso Bill Clinton, a suo tempo, è tornato su quelle misure di estrema liberalizzazione finanziaria, sostenendo che era stata sottovalutata la necessità di una regulation e del ruolo dello Stato… La differenza è che l’America di Clinton appariva come una grande potenza, che si faceva carico dell’esigenza di governare il mondo. Mentre l’”America First” di Trump non ha nessun fascino. Il chiaro messaggio dell’America odierna è: ognuno protegga gli interessi propri” spiega D’Alema.
La democrazia ha perso fascino, non per colpa della Cina, ma perché non produce né classi dirigenti, né stabilità e nemmeno inclusione sociale. In sostanza non produce più leadership.

In effetti gli Stati Uniti hanno perso molto della loro capacità persuasiva, di influire sulle preferenze e gli interessi degli altri stati. Per essere un egemone, non bastano le risorse materiali che costituiscono l’hard power, ma è necessario possedere anche il soft power, la capacità di attrarre e sedurre. Con la crisi finanziaria del 2008-2009 si è verificata anche la crisi di fiducia nell'”American Way”. E’ necessario che i paesi alleati ammirino il valore dell’egemone ed emulino il suo esempio. Lo scenario attuale paragonato con quello immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale è molto diverso. All’epoca gli USA godevano di un forte soft power, erano attrattivi per il loro modello di vita.
Dunque la vera crisi dell’Occidente avviene perché gli Stati Uniti non hanno più una leadership morale e ogni giorno rischia un incidente con l’Europa, in cui, a sua volta, ogni regno è diviso al suo interno. Dunque è la mancanza di una vera cooperazione che sta facendo crollare il mondo promesso. A questo si aggiunge il fatto che l’Occidente non si trova più ad avere davanti solo una grande potenza militare come la Russia, ma anche una potenza economica rappresentata dalla Cina.
Scontato è citare il contributo del terrorismo jihadista come ulteriore elemento di minaccia all’ordine liberale, scosso per la prima volta dopo gli attacchi dell’11/09, e che hanno tolto senso di sicurezza e invincibilità all’Occidente. L’idea, dopo l’attentato all’America, era quella di trasformare il Medio Oriente in un’area di controllo USA; ma la conseguenza è stata l’alimentarsi del sentimento anti-americano. Si potrebbe addirittura affermare che i conflitti in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003 hanno rivelato la vulnerabilità dell’Occidente. In particolare in Afghanistan, l’Occidente non ha sconfitto una migliaia di insorti, per giunta poco armati e senza alcun consenso internazionale. Questo motivo ha incoraggiato altri gruppi a colpire l’Occidente in questi anni.
Molti sono gli elementi che contribuiscono alla crisi dell’attuale ordine mondiale, e altrettanto molteplici sono i fattori che detteranno le sorti del panorama internazionale dopo la pandemia. Il problema centrale rimane la solitudine del mercato, diventato l’unico parametro per attribuire valore e moltiplicatore di ineguaglianze.
Intanto anche la più grande Organizzazione Internazionale, l’ONU, è in crisi – l’organo che avrebbe dovuto favorire la risoluzione pacifica delle controversie internazionali, garantendo pace, sicurezza e cooperazione internazionale. I leader dei paesi membri si riuniranno il prossimo 21 settembre per reinventare il mondo che condividiamo. I lavori per la “UN-75 Declaration” delle Nazioni Unite sono in corso, come annunciato il 26 giugno dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in occasione del 75° anniversario della Carta dell’ONU.