Il Padrino dell’Antimafia – una cronaca Italiana sul potere infetto (Zolfo Editore) è un libro scritto da Attilio Bolzoni, giornalista di “Repubblica” che scrive di mafia sin dalla fine degli anni ’70. Ci sono storie che si materializzano sui fogli di carta in modo del tutto casuale, grazie a piccoli dettagli che apparentemente possono sembrare insignificanti ma in realtà non lo sono affatto.
Era il settembre del 2014 e Bolzoni si trovava a Caltanissetta, nella sua casa, dove è cresciuto. La sua terra, con quei profumi inconfondibili, quel fragore, quelle voci che si rincorrono tra le strade. Voci che spesso appartengono al folklore, ma altre volte invece appartengono al chiacchiericcio di un paese che sussurra sottovoce una realtà che si manifesta sotto gli occhi di tutti in modo ostinato e contrario rispetto a quella che è realmente. Le giornate di Attilio trascorrevano velocemente, leggendo i giornali locali, i libri o facendo rincorrere i polpastrelli sul tablet, apprestando attenzione alle notizie nazionali.
Apparentemente tutto normale. A Bolzoni piacciono particolarmente i giornali siciliani come La Sicilia e Il Giornale di Sicilia, ci sono sempre delle sorprese dentro quelle pagine, ci sono sempre notizie che raccontano tutto e altre ancora che forse chiedono a gran voce di essere raccontate e approfondite secondo un sottotesto.
Mentre il sole irrompeva prepotentemente sulla fragile stabilità di una stagione che volgeva le spalle all’estate, gli occhi del bravo cronista cadevano inevitabilmente sulle pagine di cronaca, scovando notizie inaspettate ma importanti. Sfogliando Il Giornale di Sicilia, proprio come faceva abitualmente negli anni ’70 e ’80, quando la Sicilia era in piena guerra di mafia, Bolzoni inizia a notare la mancanza di una notizia importante a cui i quotidiani, le TV, i settimanali avevano dato anche amplio spazio precedentemente, ovvero la rivoluzione degli industriali siciliani, capitanata da Ivan Lo Bello e Calogero Antonio Montante che si erano presentato in piazza in nome della legalità e dell’Antimafia, appena qualche anno prima. Ma dopo qualche pagina, quell’assenza si trasforma in una presenza quasi ingombrante e che non era passata certamente inosservata agli occhi di Bolzoni: non c’erano più foto in primo piano come quelle che campeggiava da decenni con il Procuratore capo di Caltanissetta in compagnia del vicepresidente di Confindustria con delega alla legalità Calogero Montante. Niente più foto in prima pagina, niente più articoli sui giornali in bella vista o rubriche a tema. Niente di niente! Per un giornalista attento come Bolzoni, quello era un segnale mancante che raccontava una contro lettura della storia.
“C’è cosa”, pensa Attilio, così iniziano gli approfondimenti…
Per questo abbiamo pensato di intervistare Attilio Bolzoni, per saperne di più su questa “cosa loro”.
Come nasce “Il padrino dell’Antimafia”?
“Lette le carte giudiziaria, siamo nel 2018, anche perché ero parte civile nel processo quindi ho avuto un accesso molto facile. Provavo vergogna per alcuni funzionari dello Stato, colleghi, magistrati che erano tutti alla corte di questo signore. All’inizio di novembre, in quel 2018, ho visto che Montante ha scelto il rito abbreviato, un processo a porte chiuse. Improvvisamente mi si è accesa una lampadina e mi son detto che dovevo scrivere un libro nonostante il fatto che fossi profondamente amareggiato, che abbia provato veramente vergogna per tutto quel reticolo di complicità morali della vicenda. Così ho cominciato a scrivere il libro ai primi di novembre e l’ho consegnato a Lillo a fine febbraio. A marzo è uscito”.
Un libro che è nato in modo casuale, grazie anche alla lettura delle “non-notizie”…
“Vedevo sempre i Magistrati a braccetto con Montante in tutte le salse e in tutti i giornali, soprattutto sul Giornale di Sicilia, la cronaca locale. Non c’era giorno, non c’era settimana dove non c’era una manifestazione in favore della legalità con i magistrati e improvvisamente, nell’estate del 2015, non ho più visto niente. Mi son detto “qua c’è cosa!”. La notizia che non c’è per me era una notizia rumorosissima. Da cinque anni lo dipingevano come il campione della legalità, il faro dell’antimafia in Italia, un signore, che era considerato nel cuore di un boss di cosa nostra come Don Paolino Arnone, della famiglia mafiosa di Serradifalco. In pochi anni, con la complicità di ministri, magistrati, giornalisti, prefetti e questori, Montante è diventato il faro dell’Antimafia in Italia. Mi è venuta l’illuminazione e mi son detto: che sta succedendo? Così ho cominciato ad occuparmi di questa storia”.
“Mafia incensurata”, è una definizione che calza a pennello in molte storie passate e presenti di questo paese. Se esiste la “mafia incensurata”, alla luce di quanto narrato nel libro, questo meccanismo può coesistere con una “antimafia incensurata”? Come fare un distinguo?
“Intanto la “mafia incensurata” è quando uccidono il Generale Dalla Chiesa ad esempio, o l’onorevole Pio La Torre, o Boris Giuliano, o il Procuratore Costa, o il Consigliere Istruttore Terranova, o il Piersanti Mattarella. La mafia per lo Stato italiano non esisteva perché non esisteva il reato di associazione mafiosa. Come sai, il parlamento ha deciso che ci doveva essere questo reato il 10 settembre del 1982, una settimana dopo l’uccisione di Dalla Chiesa. Per lo Stato Italiano la mafia non esisteva quindi li ha uccisi la mafia tutti quei personaggi che ti ho elencato, ma non era mafia per lo Stato italiano. La mafia -per lo Stato italiano- esiste dal 31 gennaio 1992, quando la Cassazione ha messo il bollo al Maxiprocesso. E’ la prima volta che viene scolpita la parola mafia nella giurisprudenza italiana. Era una mafia incensurata. I Salvo, Nino e Ignazio, erano gli uomini più potenti della Sicilia, polmone finanziario di quella DC legata ad Andreotti, ma era una mafia incensurata fino a quando non è arrivato il Dott. Falcone nell’84. Mafia incensurata sono questi gruppi di potere di origine che hanno sempre qualche legame con ambienti criminali, con le classi pericolose, ma che hanno una fedina penale candidissima. Qual è stato secondo me l’errore degli apparati Antimafia? Che sono stati molto efficienti sulla mafia nota e sono stati molto distratti sulla mafia ignota. Quando gli dai i Corleonesi in pasto o il Don della borgata in pasto, è implacabile la macchina poliziesca giudiziaria. La mafia è tornata la stessa, quella di sempre, quindi difficilmente identificabile o difficilmente aggredibile. Ecco perché parlo di “mafia incensurata”. Il giudice di Caltanissetta, la Luparello, ha trovato un’espressione più felice della mia: l’ha chiamata “mafia trasparente”. Si, c’è anche un’antimafia incensurata, che era quella di Montante ma non solo quella. Che però non è mafia quella, non puoi definirla mafia perché non sono mafiosi per lo Stato italiano”.
Hai trovato difficoltà nello scrivere libro e nel reperire fonti?
“A tratti perché all’inizio –essendo originario di Caltanissetta- avevo tante persone amiche che mi hanno raccontato un sacco di cose. Alcune volte sono stati molto generosi a darmi informazioni, ad un certo punto hanno avuto paura”.
Chi sono Alfonso Cicero e Marco Venturi?
“Le dichiarazioni che loro hanno fatto dall’interno secondo me sono state fondamentali per l’indagine che poi ha portato all’arresto di Montante. Sono voci dall’interno e hanno fornito ai magistrati –con riscontri- uno spaccato spaventoso di che cosa succedeva dentro quel mondo dell’Antimafia farlocca. L’indagine su Montante era iniziata per concorso esterno in associazione mafiosa. Questa indagine aveva dichiarazioni di molti pentiti però non aveva una contemporaneità, erano fatti avvenuti molti anni prima”.
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