«La seconda guerra fredda non ha ancora una data di inizio ma è in pieno svolgimento sulle scie delle ferite della globalizzazione.» Nel suo Assedio all’Occidente, (La Nave di Teseo, 2019) Maurizio Molinari analizza perfettamente la posizione geopolitica europea del nostro tempo: un’Europa di coccio tra botti d’acciaio; un vaso fragile compresso tra Est ed Ovest; oggi come sempre. Nello scontro tra titani – Stati Uniti e Cina – il campo di battaglia è ancora il Vecchio Continente: ancora l’Europa, ancora oggi, a trent’anni dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine del mondo a blocchi. La guerra a bassa intensità che si concluse nel 1989 e siglò la pace nel continente, sembra oggi riproporsi sotto altre vesti: una guerra asimmetrica, ibrida, fatta con armi non convenzionali, al centro della quale stanno problemi come le diseguaglianze, le migrazioni di massa, l’esposizione alle fakenews, i separatismi interni ai paesi dell’UE.
Difficile immaginare un Occidente sotto attacco se l’Europa – «protagonista debole e vulnerabile», scrive Molinari – fosse forte e avesse una visione di contenuto strategico in termini geopolitici. In ritardo dal punto di vista culturale nel comprendere le diverse esigenze di molti cittadini impoveriti dalla malagestione della globalizzazione da parte dei loro stati, l’UE in particolare sembra impotente rispetto alle nuove sfide imposte dalla digitalizzazione. E leader “vocali” come Emmanuel Macron – il più forte e secondo solo ad una fragile Angela Merkel – non perdono occasione per sottolinearlo e secondo molti sarebbero proprio loro gli unici intenzionati a difendere la comunità europea dai predatori affamati che la minacciano. Predatori che vengono dall’Oriente e che, incarnati nelle figure di Vladimir Putin (dedito ad annessioni nell’Europa dell’Est) e Xi Jinping (autore della colonizzazione comprata dal basso valore dello Yuan) guidano l’assalto l’Ovest. I due leader – e il primo è più debole di quanto si pensi, mentre il secondo è stato per troppo tempo ignorato – si caratterizzano per l’autoesaltazione e centralità assoluta nei rispettivi sistemi statali, nonché il fare autoritario nella conduzione della loro politica estera.

A Putin – «leader incontrastato in patria, spietato contro gli avversari interni e abile stratega nel portare scompiglio in Occidente» – interessano i territori delle fu-repubbliche dell’URSS: lo Zar del Cremlino non ha mai digerito il collasso dell’Unione Sovietica. Osteggiato e temuto, ammirato e adulato, ha saputo polarizzare il dibattito europeo, nonché il sostegno dei leader – e leaderini – nei suoi confronti. A Jinping, d’altra parte, interessa l’annessione di infrastrutture marittime e terrestri in Europa, in cui infiltrare cellule controllate da Pechino, creando così un vero e proprio network che colleghi stati amici con ferrovie, oleodotti e autostrade. Aggressivo militarmente con i paesi limitrofi, Jinping punta sull’Intelligenza Artificiale (AI) per battere gli Stati Uniti nell’high-tech: ed è disposto anche a continuare a violare le leggi internazionali sul commercio.
Ma le minacce all’Occidente non sono imputabili solo a Cina e Russia: a cascata, anche i loro alleati rappresentano attori problematici per l’Europa. Parliamo in particolare della Siria (per la minaccia terroristica, nonostante la sconfitta del Daesh), dell’Iran (per lo sviluppo della bomba atomica e l’odio per Israele, nonostante gli accordi del 2015 sul nucleare) e della Turchia (per il ruolo ambiguo neo-ottomano a cavallo tra Est ed Ovest, nonostante l’adesione alla NATO). Sono molti gli stati extra-UE che non possono che trarre vantaggi dall’indebolimento del Vecchio Continente. Molinari si riferisce in particolare all’Arabia Saudita di Mohammad bin Salman – e il Medio Oriente è un’area essenziale nello scacchiere della nuova guerra fredda – e alla Corea del Nord di Kim Jong Un, secondo il quale, affinché una dittatura rimanga in piedi, questa ha bisogno dell’ordigno nucleare, altrimenti il fato à-la-Saddam Hussein e Muʿammar Gheddafi è prossimo.
Attacchi all’Occidente, attacchi trasversali, attacchi ovunque. «E i duelli più duri avvengono nel cyberspazio», avverte Molinari; anche grazie all’importanza sempre più strategica dell’economia digitale. «Gli stati nazionali dell’Unione Europea […] hanno a disposizione un’opportunità figlia del nostro tempo: definire e difendere la propria sovranità digitale per andare incontro ai bisogni delle nuove generazioni di cittadini.» Sarebbe pertanto urgente per l’Europa e i paesi democratici del blocco atlantico la necessità di «dotarsi di nuovi sistemi di sicurezza», nonché di un «arsenale dei diritti» (il coraggio di battersi per i diritti fondamentali degli individui, negati in Cina, ad esempio), per far fronte al preoccupante numero non solo dell’influenza dei regimi autoritari, ma anche dell’ispirazione che questi esercitano in diversi partiti dei paesi occidentali.

Se l’Occidente è sotto attacco da giganti geopolitici esteri, occorre ricordare che la fronda interna – in gran parte, sponsorizzata proprio da quella esterna e inserita nella macro-definizione di “populismo” – fa di tutto per indebolire il ramo europeo su cui siede, sbilanciando i paesi di riferimento nelle fauci post-sovietiche e neo-“capital-comuniste”. «Sul fronte interno i partiti populisti e sovranisti cavalcano lo scontento della classe media», scrive Molinari: allusione ai partiti demagogici spagnoli, ungheresi, italiani, austriaci, polacchi e tedeschi; alcuni dei quali impegnati in pericolose tresche informatiche con Mosca. Pertanto, attacchi cibernetici, interferenze e manipolazioni nei processi elettorali alle origini delle fortune di diversi attori in Occidente, non sono una novità: molti sono coordinati proprio dall’estero (un caso su tutti «la conferma dell’esistenza di un’area grigia nei rapporti fra la Lega e il Cremlino») e l’esposizione europea a tali attacchi è in crescendo.
A tal proposito, l’Italia (oggi, come spesso se non sempre, «il grande malato d’Europa» e il «fanalino di coda nel processo di sviluppo digitale dell’Europa») ha molte carte da giocare negli assetti internazionali, ma come l’Europa nel suo complesso, è debole. Quest’ultima, ad esempio, ha ignorato per anni che nella Siria che aveva ridisegnato un secolo prima con gli accordi di Sykes-Picot, il regime di Bashar al-Assad ha fatto centinaia di migliaia di vittime dal 2011; nonché ha voltato le spalle alle esigenze dei popoli curdi e alle difficoltà di Israele; quindi ha ignorato i recenti fermenti hongkonghesi. E per tutto questo, paga oggi un prezzo altissimo: quello dell’incertezza geopolitica.
Cosa fa – e cosa può fare quindi – l’Occidente odierno di fronte all’assedio russo-cinese e dei rispettivi alleati? Ha le mani legate, tentenna: «Tanto più Europa e Stati Uniti hanno sistemi politici indeboliti, leader incerti e vulnerabili, parlamenti paralizzati e inefficaci, tanto più le maggiori autocrazie del pianeta puntano a sfruttare la comunicazione di massa per vantare la loro superiorità.» Secondo Molinari, è solo tramite il rinforzamento del legame tra cittadini e istituzioni, la difesa dei diritti fondamentali degli individui, l’innovazione del mercato del lavoro, la governance globale, lo sforzo per difendere il ceto medio dalla crisi economica, che l’Occidente si difenderà in maniera efficace nell’era di una nuova guerra fredda.
Discussion about this post