Blu. Ovunque: sulle magliette dei volontari, ai corner delle strade, tra i viottoli della città. Mantova così solitamente tranquilla si anima. Anche gli angoli più nascosti celano sorprese letterarie.
Si apre con questa immagine il Festivaletteratura 2019, una delle rassegne più importanti dedicati ai libri e ai loro autori. Oltre 300 incontri, divisi tra dialoghi con gli scrittori, “lavagne” estemporanee e laboratori.
Più di 70 autori stranieri, record assoluto per la manifestazione, che di anno in anno accresce il proprio prestigio, consolidando la propria dimensione internazionale e permettendo a chi viene a Mantova di ascoltare voci e suggestioni di realtà cosmopolite.
E questa edizione sembra proseguire proprio all’insegna del dialogo: molti eventi in lingua permettono a chi non ha bisogno di traduzione di godersi le diversità del linguaggio e le metafore che molte volte si perdono nel passaggio da una lingua all’altra.
La prima giornata: Piazza Castello vive con Elif Shafak

Protagonista indiscussa del prima giornata è sicuramente Elif Shafak, autrice turca contemporanea che attraverso i suoi personaggi femminili traccia un ritratto vivido e lucido della suo paese natale.
Lasciata Istanbul e stabilitasi a Londra con la famiglia, l’autrice parla di una “identità da cittadina del mondo”, che non può e non vuole dimenticare le proprie origini e che, proprio per questo, “riesce ad avere a cuore molte cose contemporaneamente”.
Il suo ultimo libro celebra la diversità, partendo dalla storia di una donna uccisa e abbandonata tra i rifiuti, ispirata a un fatto di cronaca turca realmente accaduto. Ed è proprio l’analisi di un’imperante misoginia e sessismo che l’autrice sceglie come punto di partenza per tracciare con contorni molto chiari e vividi le politiche populiste che segnano questo periodo storico.
“Quando il populismo si afferma diventa antiprogressista e anti intellettuale e nel lungo periodo, almeno frontalmente, anti democratico. I primi ad essere a rischio sono le donne e le minoranze”.
Elif parla della necessità di personalità come Erdogan in Turchia e Chávez in Venezuela di ergersi a simboli del popolo per legittimarsi, identificando così l’attacco nei loro confronti come un attacco alla società civile.
Ma come è possibile essere simboli univoci di una realtà così sfaccettata e diversa?
Se ci riflettiamo quale simbolo possiamo scegliere: la società è donna, uomo, lavoratore, omosessuale, disoccupato? E dove esiste allora legittimazione se non c’è inclusività?
E l’autrice si spinge più lontano, invitando le donne a non seguire un modello imposto dalla società maschilista, che ci vuole forti e senza emozioni, ma a riscoprire il proprio lato più intimo e fragile.
“Come donne, siamo portate a pensare che dobbiamo sopprimere le nostre emozioni. In realtà io penso sempre di dover connettere mente e cuore”.
Il dialogo è uguaglianza per Ali Smith

Ali Smith, autrice tra le più importanti della letteratura inglese contemporanea, chiude la prima giornata dedicata al Festival.
Nonostante siano donne a parlare, il punto non rimane solo l’empowerment femminile, ma la necessità di aprirsi al dialogo. Si devono ricucire gli strappi causati da divergenze e diversità, migliorando la propria predisposizione all’ascolto.
“Siamo tutti uguali: ci raccontiamo. Nel raccontare una storia c’è sempre vita. Senza dialogo siamo nulla”.
Dallo scambio nasce una forza, che l’autrice chiama “speranza” che altri non è che la narrazione , che deve diventare coraggio nel saper ascoltare voci che non sono la nostra.
La letteratura è così attuale proprio perché il parlato è sempre specchio del linguaggio del tempo in cui viviamo.
Un messaggio di forza e sicurezza che non deve dimenticare però il lato più sensibile e vulnerabile dell’animo umano, invitandoci ad aprire non solo le orecchie e gli occhi “ma ogni singolo poro della pelle”.
Questa edizione continua con grandi nomi: Margaret Atwood, autrice canadese nota per il racconto dell’ancella; il tedesco Bernhard Schlink e lo spagnolo Manuel Vilas.
Ma anche grandi ritorni, come il Nobel nigeriano Wole Soyinka; Ian McEewan e Abraham B. Yehoshua, che hanno tenuto a battesimo il festival nel 1997; Jonathan Safran Foer e Pilar del Rio.
Seguendo il filone della narrativa, ci spostiamo verso USA e UK: Dorothy Allison, Meg Wolitzer e Joshua Cohen ci racconteranno lati dell’America di oggi, mentre Gail Honeyman e Annalena McAfee rappresenteranno la Gran Bretagna.
Larga parte viene dedicata anche all’idea di Europa e al suo destino, con riflessioni di Amin Maalouf, intellettuale di origine libanese e accademico in Francia, e Simon Schama, senza tralasciare i reportage di Navid Kermani, Francesca Mannocchi e Lorenzo Tondo.