E’ l’estate del 1961, io ho appena compiuto dieci anni e mio padre ha appena vinto al Totocalcio. Non sto scherzando, dico davvero. Mio padre ha proprio vinto al Totocalcio, facendo tredici con una sola schedina. Il fatto incredibile è accaduto lo scorso quattro giugno, esattamente all’ultima giornata di campionato.
Papà ha vinto grazie al Catania, la squadra siciliana che è andata a vincere contro la fortissima Inter che era in lizza per lo scudetto.
«Clamoroso al Cibali!», gridò il radiocronista della partita, perché nessuno avrebbe mai potuto pensare a un folle risultato del genere.
Nessuno, tranne mio padre s’intende.
«Ma perché hai puntato sul Catania?», gli ho chiesto, incuriosito.
«Perché mi piacciono molto i cannoli siciliani e pure i siciliani come persone», ha risposto lui e questa risposta in effetti non fa una piega. Forse.
Tornando alla vincita, non credo che si sia trattato di una cifra da Paperon’ de’ Paperoni, in realtà, ma di una buona cifra direi di sì, almeno a giudicare dal sorriso trentadue denti trentadue che i miei hanno sfoggiato a partire da quel momento. Oltre al sorriso ho notato anche un’altra cosa e cioè il fatto che i miei genitori non camminavano più ma che, al contrario, sorvolavano il terreno. Come se avessero le ali oppure come se, invece che due genitori, fossero una particolare specie di aliscafi viventi che invece di sorvolare il mare, sorvolavano il pavimento.
Papà ha chiesto subito a mamma che cosa desiderasse per regalo e io mi aspettavo una risposta di genere vestiario tipo pelliccia corta, pelliccia lunga, pelliccia bianca, pelliccia nera, pelliccia a pois oppure qualunque altro genere di pelliccia vi possa venire in mente. Invece mia madre pronunciò una sola stravagante parola: crociera. Fu così che, verso la metà di agosto, ci ritrovammo tutti e tre a Genova, a bordo della meravigliosa Franca C della linea Costa, pronta a partire per il suo grande viaggio nel Mediterraneo. Insieme a noi c’erano naturalmente centinaia di altre persone che agitavano tutte dei gran fazzoletti bianchi affacciandosi dal parapetto del ponte, per salutare parenti e amici. Mamma mi ha messo nella valigia una dozzina di albi illustrati di Topolino e un libro di Giulio Verne che si chiama Venti mila leghe sotto ai mari.
«Vedrai, ti piacerà», mi sussurra in un orecchio, ma io non sono troppo convinto. Tra l’altro nei giorni successivi ho molto da fare a bordo. Mi scateno in entusiasmanti partite a ping pong, tuffi nella piscinetta, giochi e scherzi con i ragazzini coetanei conosciuti lì per lì, oltre naturalmente ad appassionarmi per le visite alle bellissime città spagnole di Barcellona, Siviglia e Cadice. E’ in un fresco pomeriggio che, subito dopo pranzo, mi siedo su una delle sedie a sdraio del ponte e inizio finalmente a leggere quel libro che parla proprio del mare che ho di fronte a me. Il protagonista è il professor Aronnax, naturalista che viene incaricato di partecipare alla spedizione della nave Abramo Lincoln del capitano Farragut con il compito di annientare l’orribile mostro marino che affonda tutte le imbarcazioni che gli capitano a tiro. Ma invece il mostro che ti combina? Attacca anche la Lincolm e la distrugge. Così Aronnax, il suo cameriere Consell e il fiociniere Land si ritrovano in mezzo al mare e vengono salvati dal misterioso capitano Nemo che guida il sottomarino Nautilus a forma di mostro. Lo so, sembra un po’ complicato a raccontarlo così. Invece è affascinante, scorrevole, intrigante. E io non smetto più di leggere. Ogni tanto guardo il mare e penso che magari quel Nautilus sta ancora lì sotto e che tra poco Nemo viene a prendere anche me e mi porta a caccia nelle foreste sottomarine oppure a combattere contro i calamari giganti. Come mi piacerebbe andare ad osservare i fondali insieme a lui e scoprire il continente Atlantide scomparso.
Più leggo, più la cosa mi piace, anche se, ad un certo punto, scopro che Nemo tiene imprigionati i protagonisti dentro al sottomarino e non li fa più andare via. Questo non va, non va per niente, penso. Perché l’avventura uno se la deve scegliere da solo, non deve essere obbligata, imposta da altri. Poi, mentre mi trovo sul ponte della nave, vedo che il cielo si annuvola e all’orizzonte si intravede una nuvola nerissima e pericolosa. Nello stesso momento mi trovo al punto del libro in cui il Nautilus sta affrontando un vortice terribile da cui nessun uomo si è mai salvato. Mi vengono i brividi pensando che la cosa si stia davvero per ripetere in diretta con il sottoscritto protagonista. Così infilo il segnalibro nella pagina a cui sono arrivato e mi salvo dal vortice infilandomi subito nella saletta giochi. Meglio il ping pong, per il momento.
Come andrà a finire la storia lo scoprirò stasera, leggendo il finale direttamente nel caldo lettino della mia cabina. Grande libro davvero, però. Evviva Giulio Verne e, naturalmente, evviva anche il Catania che, vincendo quella incredibile partita, me l’ha fatto scoprire !