Alcuni giorni fa la Casa Italiana ha ospitato un dibattito con uno degli autori del libro Assassins Against the Old Order: Italian Anarchist Violence in Fin de Siècle Europe (Assassini contro il vecchio ordine. Violenza anarchica italiana nell’Europa di fine secolo). “Malgrado l’attuale situazione politica, il libro non è un invito a imitarli,” ha scherzato l’autore Fraser M. Ottanelli all’inizio dell’evento; esso rappresenta piuttosto, in un momento in cui i sistemi democratici sono in crisi e subiscono tentazioni totalitarie, un’occasione per ristudiare gli atti di ribellione del secolo scorso e usarli per meglio comprendere la nostra società.
Assassins Against the Old Order analizza la figura dell’attentatore anarchico italiano di fine ottocento, da troppo tempo ingiustamente denigrata e non adeguatamente storicizzata. Ovvio che la criminalizzassero i regimi del tempo, che si sentivano direttamente minacciati; con l’aiuto delle allora nuove scienze sociali, attribuirono gli atti di violenza all’individualismo asociale degli anarchici e a congiure internazionali di terroristi. Ottanelli (che ha completato il libro iniziato da Nunzio Pernicone, scomparso cinque anni fa), fa invece risalire la scelta della “propaganda dell’atto”, ossia della violenza come strumento di rapida diffusione di messaggi politici, alle condizioni socioeconomiche e politiche degli anarchici e alle loro radici italiane. Molti di loro vivevano in estrema povertà ed erano sottoposti alla continua repressione della polizia e dallo stato a causa delle loro convinzioni e ideali. Sempre sotto sorveglianza, ogni scusa era buona per arrestarli, spesso bastava la pacifica diffusione di volantini. Molti di loro hanno fatto ricorso alla violenza dopo anni di frustrazioni o in ritorsione degli abusi subiti da operai in lotta o altri anarchici; Michele Angiolillo, per esempio, assassinò il primo ministro spagnolo per vendicare le torture e condanne a morte di alcuni anarchici spagnoli. Ma gli anarchici non operavano in gruppo e non organizzavano congiure: glielo impedivano la loro avversione per le gerarchie, la loro fiducia nella volontà individuale e la paura di infiltrazioni.
Nel libro, Ottanelli e Pernicone individuano un rapporto genealogico fra la violenza degli eroi del Risorgimento, come Mazzini e Garibaldi, e quella degli anarchici italiani della generazione successiva, contestualizzando l’operato di questi ultimi nella storia nazionale. È significativo che mentre la violenza politica del Risorgimento sia stata giustificata e celebrata, quella degli anarchici, che agivano in modo abbastanza analogo, sia stata condannata e come velleitaria o fine a sé stessa. Ma forse ha ragione lo spettatore che alla Casa Italiana ha così commentato: “timing is everything”.
Pernicone, affermato studioso degli anarchici italiani, iniziò la ricerca per Assassins Against the Old Order come una continuazione della sua monografia del 1993, Italian Anarchism, 1864-1892, occupandosi dunque dei decenni successivi al 1892 ma preferendo, questa volta, di centrare il suo lavoro su sei figure chiave invece che sul fenomeno dell’anarchismo in generale. Oltre che uno storico era “un narratore di storie”, come lo ha definito Pernicone, e tante pagine del libro, con gli appassionanti racconti delle vite di questi uomini, lo confermano. Si viene così a scoprire, per esempio, che Sante Cesario, l’uomo che avrebbe assassinato il presidente francese Carnot nel 1894, era molto generoso e che non fumava, non beveva, non andava a donne, almeno finché non si fosse innamorato. O lo si vede camminare d’inverno per le strade di Milano e vedere una vecchia infreddolita davanti a un albergo di lusso, dove era stata messa per fare la guardia contro i ladri. Pensando alla propria madre vedova, Cesario le mise in mano alcune monete dicendo, pare, che una società che permetteva infamie del genere non meritava pietà. In questi racconti vividi e incredibilmente dettagliati i fautori della “propaganda dell’atto” trascendono la loro ideologia anarchica e vengono riportati alla loro troppo umana individualità, diventando personaggi concreti, che tentano di reagire alle condizioni ingiuste e a volte disperate della loro esistenza e dell’ambiente che li circondava.
Poco prima di morire, nel 2013, Pernicone disse a Ottanelli che sarebbe toccato a lui completare il libro e impedire che dieci anni di ricerca andassero sprecati. Ottanelli accettò l’incarico e negli anni successivi ha rivisto il manoscritto, sistemato le note, aggiunto un’introduzione e una conclusione, e soprattutto creato un filo conduttore che desse unità e finalità al libro.
La violenza politica degli anarchici italiani è inserita nella tradizione italiana del tirannicidio, ossia l’assassinio di un despota per il bene comune. In questa prospettiva gli assassini diventano giustizieri, dei “carnefici vendicatori che amministrano il castigo in nome delle vittime della violenza e oppressione dello stato.” Questa definizione viene contrapposta esplicitamente a quella del terrorismo, crimine di cui gli anarchici sono spesso stati accusati, che è invece riconosciuto come un atto violento contro sconosciuti senza distinguere fra gli innocenti e i colpevoli.” I giustizieri italiani di fine Ottocento erano molto consapevoli delle identità politiche e del simbolismo dei loro bersagli; infatti Gaetano Bresci, che aveva assassinato Umberto I, si difese affermando: “Io non ho ucciso Umberto. Ho ucciso il re.”
Inevitabile fare confronti con la violenza politica di oggi. Da decenni ormai, almeno in occidente, il terrorismo ha preso la forma di attacchi contro i civili. Forse a causa del fatto che nelle democrazie a suffragio universale è difficile distinguere i “colpevoli” dagli “innocenti”, tutti votanti e dunque complici delle azioni del Parlamento e del governo che hanno eletto. In più, a causa delle straordinarie misure di sicurezza che li circondano, è diventato quasi impossibile raggiungere i potenti, che nel passato invece potevano essere accostati (e accoltellati) con relativa facilità. Assassins Against the Old Order ci insegna ad adottare un approccio contestualizzato per capire la violenza politica, invece di limitarsi a meccaniche e stereotipate denigrazioni o glorificazioni. Il libro è piacevole e le tante storie particolari che racconta catturano il lettore. È un aspetto che è emerso nella presentazione Casa Italiana: l’importanza di rivalutare i racconti storici, nuovi viaggi nel passato che ci permettano una più accurata comprensioni più sfumate non solo delle origini della nostra società ma anche di come affrontarne i problemi.