Una scrittrice italiana a New York City. Sembra l’inizio di una favola, ma la storia di Annalisa Conti intreccia sogno, ambizione e una determinazione tutta femminile con la realtà quotidiana.
Annalisa, milanese doc, nella Grande Mela da 7 anni, scrive di persone come lei, alle prese con le sfide, la ricerca della felicità, i successi, i fallimenti che si interfacciano con il quotidiano, creando personaggi in cui ci si può riconoscere facilmente.
Abbiamo intervistato l’autrice a pochi giorni dall’uscita del suo terzo romanzo, Nine.
Da quanti anni vivi a New York e dove sei nata?
“Abito a New York da quasi sette anni, da settembre 2011. Mi sono trasferita qui da Milano, città in cui sono nata, ho studiato ingegneria aerospaziale al Politecnico, e ho lavorato per qualche anno dopo la laurea per una società americana di management consulting”.
Cosa ti ha portato a NYC?
“Ho sempre avuto in me il sogno americano. Da desiderio adolescenziale, nato e maturato tra i libri e i film made in USA, è diventato un vero e proprio progetto di vita. Ad inizio 2011 ero in consulenza già da qualche anno e, come spesso accade nel settore, a quel punto la progressione piuttosto naturale della carriera prevedeva un MBA, per poi rientrare in azienda con un profilo più elevato. Da sempre decisa a fare le cose di testa mia, ho invece chiesto un trasferimento in un ufficio americano, per sostituire i due anni in azienda con un’esperienza comunque diversa. Una volta accettata la mia candidatura all’ufficio di New York, il più era fatto! Qualche mese per ottenere il visto, chiudere qualche progetto per l’ufficio di Milano, incontrare a Londra quello che qualche anno dopo sarebbe diventato mio marito, e sono sbarcata nella città che non dorme mai”.
Da scrittrice pensi sia una città evocativa, da cui trai ispirazione visto che la usi come location per ambientare le tue storie? Di questa città cosa è suggestivo per te quando scrivi?
“New York non è per tutti. Ha un’energia viscerale, violenta, che trascina in un vortice di incontri, persone, eventi, lavoro, opportunità. Per me, iperattiva da sempre, è un vortice ascendente, di emozioni incessanti e novità da rincorrere, ma per altri può essere ingestibile, esasperante.
La mia New York è la città in cui tutto è possibile: puoi svegliarti la mattina alle 6 e andare a correre in un Central Park affollatissimo; puoi andare al cinema una domenica pomeriggio e sederti dietro a Ethan Hawke, o attraversare la strada e incrociare Lady Gaga; puoi andare a teatro a Broadway e trovare sul palco Bruce Willis o Cate Blanchett; puoi essere un’ingegnere italiana che lavora in consulenza e diventare scrittrice in inglese.
La mia New York è la città in cui puoi incontrare persone che vengono da ogni parte del mondo, le cui storie incredibili sono la mia ispirazione quotidiana. Il mio primo romanzo, All The People, é proprio un omaggio alla città di New York ed a tutte le persone che la abitano, alle loro verità, i loro sogni, le loro tragedie”.
I tuoi romanzi hanno protagoniste femminili che affrontano il quotidiano con coraggio, quasi come super eroine. Perché questa scelta?
“I concetti della protagonista femminile e del supereroe sono a me molto cari, come emerge da molti degli scritti raccolti nel mio sito, nella sezione Other Writing.
Scrivo perché sento il bisogno di prendere un pezzo di me, di immergerlo nella realtà quotidiana esterna che osservo, e trasformarlo in una storia in cui i lettori possano identificarsi. Spesso queste storie si traducono in storie di o con donne, forse proprio perché il punto di partenza sono io: è più un risultato accidentale, piuttosto che una scelta consapevole. Quando scrivo non cerco mai la storia tipica o la protagonista tipica, non mi chiedo mai “cosa farebbe una donna in questo contesto?”, né al contrario mi dico mai “questo è troppo, questo non succederebbe mai ad una donna”. I miei personaggi sono esseri umani a tutto tondo, donne moderne che non vogliono identificarsi o sentirsi messe in una nicchia semplicemente in quanto donne, ma vogliono essere libere di esprimersi come sono, indipendenti e lontane da stereotipi. Credo che sia importante sottolineare questo concetto di femminismo moderno e di donna moderna. Come dici tu, le mie sono donne che affrontano gli ostacoli della vita con coraggio, proprio come un eroe di un film d’azione affronta un’ennesima sparatoria. In fondo, le mie sono storie di donne ma non espressamente per donne.
In quanto ai supereroi, proprio il Problema del Supereroe è all’origine della mia serie di racconti The W Series, che cerca di portare una soluzione moderna alla questione. Di questo scrivo nel primo primo episodio della serie, Wrong Day For A Kill”.
Pensi esista ancora una letteratura di genere, cioè romanzi di donne per lettrici e romanzi scritti da uomini… per tutti? In sostanza, é vero che gli uomini preferiscono autori maschi?
“Il tema “uomini vs. donne” mi interessa moltissimo personalmente, da un punto di vista sociale e antropologico. Ricerche recenti hanno dimostrato che non solo il cervello delle donne e quello degli uomini sono assolutamente identici, e che non c’è nessuna superiorità maschile o differenziazione nelle capacità intellettuali, ma anche che la società da sempre condiziona le donne ad un ruolo subordinato nei confronti degli uomini. E purtroppo le cose non stanno cambiando così rapidamente come dovrebbero, se si pensa alla misoginia quotidiana, ai troll sui social media, e alla necessità di campagne come #metoo e #timesup.
Sulla stessa linea purtroppo si posiziona il marketing letterario: le grandi case editrici continuano a spingere certi temi (la famiglia, i sentimenti, le storie personali) e la maggior parte delle autrici verso un pubblico femminile, lasciando la letteratura di genere (thriller, fantascienza, azione) agli uomini e per gli uomini. Il commento migliore l’ho sentito un paio d’anni fa ad una conferenza di scrittori qui a New York, durante un panel. Alla domanda dal pubblico “Come definite il genere Women’s Fiction?”, una delle autrici nel panel ha risposto: “Women’s Fiction è il termine che le grandi case editrici utilizzano per descrivere un romanzo che non ha un genere specifico, come il giallo o il romanzo rosa, e che è stato scritto da una donna: se Hemingway fosse stato una donna, anche i suoi romanzi sarebbero stati classificati come Women’s Fiction”. Quindi non credo che gli uomini e le donne preferiscano generi o tipi di letture diversi, credo che siano semplicemente abituati a leggere libri diversi, con protagonisti diversi. In modo simile, film con protagonisti maschili sono generalmente consumati da uomini e donne, ma film con protagoniste o un cast di donne sono spesso pensati per un pubblico femminile – perché è da sempre così, e Hollywood non è ancora pronta a cambiare”.
Quindi i tuoi romanzi non sono solo per donne?
“Certamente no. Il protagonista di All The People è un uomo; la voce narrante di Africa è una donna, ma il vero protagonista è il viaggio, fisico ed emozionale; la storia raccontata in Nine è molto “femminile”, ma molti uomini dovrebbero leggerla! La mia serie di racconti The W Series è ancora più unisex: è proprio pensata per chiunque ami le storie di supereroi; è più una graphic novel che una collezione di racconti, come sarà evidente nella raccolta stampata dei primi dieci numeri, in uscita il 30 Ottobre. Insieme alla mie due collaboratrici italiane che vivono a New York, Maria Lorenza Veltri , publicist e Valeria Frustaci, illustratrice, stiamo lavorando alle cover”.
Veniamo al libro Nine, uscito il 24 luglio. Parli dei lati più controversi della maternità, anche quelli più difficili per la psicologia femminile. Come mai questa scelta?
“L’ispirazione per Nine, nasce dalla mia esperienza personale, dalle mie osservazioni, sentimenti ed emozioni durante la mia gravidanza. In questo periodo per la prima volta mi sono sentita rinchiusa in quella nicchia di cui parlavo prima, identificata e classificata dalla società come Donna.
Dico per la prima volta perché, avendo studiato ingegneria ed avendo poi lavorato a lungo in un ambiente a maggioranza maschile come la consulenza, sono sempre stata abituata ad essere circondata da uomini, e mi sono sempre sentita uno del gruppo. Parlavo come loro, lavoravo sedici ore al giorno come loro, ero uno di loro. Gli episodi di sessismo, e ce ne sono stati, mi scivolavano sulla pelle, e li attribuivo all’ignoranza di chi non era come noi: giovane, determinato, con le palle.
Ma quando sei incinta non c’è dubbio: sei una donna, non sei più una del gruppo, non sei più una di loro. Ho percepito un cambiamento radicale nello sguardo della società verso di me, e durante tutti i miei nove mesi ho osservato a mia volta i comportamenti e le reazioni delle persone che mi circondavano. Cosa ci si aspetta da una donna incinta? Da una madre o da un genitore in generale? Quanto deve cambiare la vita dopo che si hanno figli? Quali lati della gravidanza e della maternità sono i più glamour, condivisi ed esaltati, e quali invece sono nascosti, dimenticati? Questi lati più oscuri mi hanno particolarmente affascinata, quell’alone di mistero e di verità non dette che circonda la gravidanza ed il diventare madre: bisogna annullarsi in favore dei figli? Come cambia e talvolta si deteriora la relazione tra marito e moglie? Come si attraversano i momenti difficili della gravidanza? Come si affrontano le complicazioni e le lore conseguenze, potenzialmente anche gravi? Per questo Nine contiene alcuni momenti bui: la gravidanza non è una passeggiata, e anche diventare genitori è una scelta impegnativa ed un mestiere in cui non ci sono ferie. Volevo scrivere un libro che potesse parlare a chi ha le mie stesse domande, a chi, come me, vuole restare se stesso, uomo o donna, anche dopo aver avuto figli. Ma anche alle donne che abbracciano il proprio ruolo di madre, ma sono aperte a prospettive diverse; a chi aspetta un figlio e ha mille domande; a chi vuole avere figli e ha mille domande; a chi non vuole avere figli e magari non ha nessuna domanda ma qualche curiosità”.
Quali sono le tue fonti di ispirazione letteraria?
“Sono da sempre onnivora in fatto di letteratura: dalla fantascienza di ogni tipo, al fantasy, ai thriller, ai grandi classici, non mi tiro mai indietro di fronte a nulla. Jane Austen mi è sempre stata cara, per quel suo modo di guardare alla realtà con candore e sottile umorismo, così come Italo Calvino, il suo realismo surreale e la sua creatività senza argini. Negli ultimi anni ho letto con entusiasmo i romanzi del ciclo de L’Amica Geniale di Elena Ferrante, maestra indiscussa dell’utilizzare l’evoluzione e la crescita, anche fisica, dei personaggi per guidare il filo della narrazione. Mi piacciono molto anche i romanzi di Gillian Flynn, per il modo in cui esplora senza pregiudizi gli angoli più bui e terrificanti dell’animo umano”.
Farai un tour di presentazione di Nine? Se si puoi già anticiparci dove e quando?
“Sono previsti degli eventi di presentazione con la mia community online e stiamo attivamente cercando dei partners che mi accolgano per presentare Nine in città. Non ci sono ancora delle date certe, ma un buon modo per restare aggiornati è sottoscrivere alla mia newsletter e stare in contatto tramite la mia pagina Facebook dove posto regolarmente tutte le novità”.