Il tema della violenza nelle aule è un classico del cinema e della narrativa a sfondo scolastico, almeno da Blackboard Jungle (in italiano Il seme della violenza) in poi. Nel romanzo di Evan Hunter, pubblicato nel 1954, portato sul grande schermo due anni dopo da Richard Brooks (con un grande Sidney Poitier), un insegnante volonteroso si scontra con una classe di studenti borderline in un quartiere popolare di New York.

Oltre alle minacce “fisiche”, dovrà misurarsi con pesanti accuse diffamatorie riguardanti il pregiudizio razziale e la sua condotta con le colleghe.
La vita finora di Raul Montanari si colloca su questo filone, intrecciando la denuncia sociale ad elementi propri del thriller. La novità è data dal fatto che stavolta i giovani difficili non vivono nel ghetto di una grande metropoli ma in montagna, sulle Alpi lombarde.
E’ un momento fortunato in Italia per i romanzi ambientati alle alte quote: pensiamo a Le otto montagne di Paolo Cognetti o a Resto qui di Marco Balzano, che abbiamo a suo tempo recensito in questa rubrica, per non dire di Mauro Corona o di certi racconti di Erri De Luca.
Il romanzo di Montanari, in ogni modo, si discosta dagli stilemi del genere, ovvero sia dall’impianto “naturalista/intimista”, suggerito dalla bellezza e la solennità del’ambiente naturale, sia da quello a sfondo storico, spesso utilizzato per denunciare le ferite inflitte dall’uomo all’ambiente oppure per raccontare, della montagna, vicende specifiche legate per esempio alla Grande Guerra (sulla scorta dei grandi romanzi di Lussu, Rigoni Stern e così via).
Gli ingredienti, qui – forse un po’ “tipici” ma indubbiamente efficaci – sono invece proprio quelli della narrativa che affronta i conflitti generazionali, ed in generale il rapporto bene/male, nell’era delle comunicazioni di massa. Abbiamo innanzitutto Rudi, sedici anni, un leader negativo, un giovane intelligente e privo di morale, che tiene in pugno il resto della banda, comprese anche due ragazze. A fargli da contraltare, un professore di Milano, Marco Laurenti, che, dopo la fine di una relazione amorosa, decide di accettare l’incarico ad insegnare in un paesino in cima ad una valle isolata, anche se la sorella, a cui è molto legato, lo vorrebbe negli Stati Uniti.

Il rapporto fra questi due poli è caratterizzato fin dall’inizio dalle provocazioni gratuite e dal comportamento deviante di una parte degli studenti della piccola scuola, che riecheggiano le cronache mediatiche di questi giorni (basti pensare all’episodio dello studente di Lucca che sfida il professore davanti a tutta la classe, chiedendogli persino di inginocchiarsi). Fra gli elementi di contorno, il ricorso – strumentale – al satanismo, per giustificare orge a base di cocaina e sesso, i racconti di un prete che la sa lunga sulle vicende passate e presenti del paese, e la presenza inquietante di un ex ufficiale serbo, ritiratosi a vivere in solitudine e semiclandestinità in cima alla valle.
Montanari è molto bravo a tenere il lettore sulla corda e ad aggiungere via via sempre nuovi elementi di suspance. Quello che rende il suo romanzo interessante sono però soprattutto le ambiguità, le sfumature. La dialettica bene-male è più sofisticata di quanto non possa sembrare a prima vista. Ogni personaggio ha delle zone d’ombra. Per il professore, sono rappresentate soprattutto dal suo passato, dal rapporto non risolto con i genitori. Per il prete, la più classica delle difficoltà che chi ha scelto la sua strada deve saper fronteggiare. Ma, come avrete immaginato, anche il serbo è tormentato dai suoi fantasmi (e che fantasmi! Parliamo nientemeno che delle famigerate Tigri di Arkan, il più feroce corpo paramilitare comparso sulla scena delle Guerre balcaniche degli anni 90). Mentre i genitori degli studenti devianti sono spesso peggiori dei loro figli, pur rivestendo posizioni di rilievo all’interno del microcosmo del paese.

Quanto alla montagna qui perde tutta la solennità, e con essa anche il suo isolamento. Certo, il percorso per arrivare al paese, alla testata della valle, può anche avere le sembianze del viaggio iniziatico, dal caos e dalla complessità di Milano alla “purezza” delle alte quote. Ma ciò che il professore trova oltre l’ultima galleria sono i cascami della peggiore subcultura “urbana”, arricchiti dalle opportunità offerte dalla rete: droga, prepotenza, machismo, bullismo, disprezzo per la vita, reificazione della donna e così via. Assieme anche alle scorie di una delle più tragiche vicende storiche del recente passato.
Sembra che Montanari voglia dirci che nell’era “globale” non ci sono rifugi o zone franche, si è sempre in qualche modo connessi. E si è sempre esposti alla seduzione del male. In La vita finora, peraltro, il male assume una duplice veste: quella se vogliamo più “tradizionale”, generata dalla guerra, e quella che scaturisce dalla impossibilità, per i giovani (specie se presi in gruppo) di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
E il bene? E’ l’ottimismo della volontà con cui un pugno di persone cercano di fare il possibile per “salvare” almeno una ragazza, la più debole, dal branco. E’ unito a tanti dubbi, a tanto pessimismo della ragione, a tanta disillusione. Ma c’è, tremola e brilla come la fiamma di una candela nella bufera. E tanto basta.