Una scoperta continua, alla ricerca di quel qualcosa che metta insieme i pezzi del grande e apparentemente macchinoso enigma chiamato vita. Il viaggio di Runk è una piccola finestra dalla quale scrutare il mondo attraverso lo sguardo di un robottino, un robot in apparenza uguale a tutti gli altri, ma con un difetto di fabbrica: una gambetta male assemblata che combinata alla sua sensibilità lo renderà unico e inaspettatamente prezioso per chiunque vi entri in contatto. Scartato e poi casualmente ripescato dal camion dei rifiuti, Runk vivrà mille e più avventure attraversando i decenni, le errate convinzioni, persino l’oceano. Incapace di muoversi e di parlare, il robottino è però in grado di osservare tutto ciò che lo circonda senza alcun filtro, come solo lo sguardo puro di un bambino sa fare. Sullo sfondo, temi universali quali l’amicizia, la guerra, le discriminazioni, lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo, i sogni dimenticati. Ambientato tra New York, Roma e Palermo, il secondo romanzo di Annalisa Arcoleo è un invito ad andare oltre: oltre le apparenze, oltre le spicciole etichettature, oltre il quotidiano e affannoso peregrinare dell’uomo, ormai incapace di guardare le stelle e di dar fiato alla propria voce interiore, recuperando il senso più autentico delle cose.
Annalisa, perché hai scelto proprio un robot per svelare la bellezza del mondo in questa storia?
“Il robottino di nome Runk è stato inserito all’interno del primo romanzo (Runk – Una Vita in Trenta Giorni) quasi per caso: il protagonista del primo libro è Mario Galanti, un trentacinquenne che si accorge troppo tardi – ma fortunatamente in tempo – di stare sprecando la sua vita, e decide di correre ai ripari. Uno dei suoi giocattoli di infanzia è proprio Runk che, paradossalmente, sembra rappresentare proprio l’omologazione di Mario alla società quasi robotica e piena di schemi di oggi. Questo robottino, messo in copertina dalla casa editrice AlterEgo e disegnato dal grafico Luca Verduchi, ha suscitato l’interesse dei lettori, tanto da farmi pensare di scrivere un secondo romanzo incentrato su di lui, sul suo difetto fisico (una gamba più corta), sul suo essere un osservatore silenzioso, e sulla sua crescita interiore. In disaccordo con il suo aspetto spigoloso e con il fatto di essere prodotto in serie, Runk è un pezzo unico, e non solo per il difetto di fabbrica, ma per la sensibilità che lo distacca dagli altri giocattoli. Ho scelto di raccontare la sua scoperta del mondo come se fosse un bambino: entusiasta di ciò che incontra per la prima volta, consapevole nei suoi pensieri – seppur non sia animato – di quanta bellezza ci sia, e di quanto gli uomini purtroppo spesso se ne dimentichino”.

All’inizio del libro c’è una frase, in cui dici che non vi è “nessun luogo che noi possediamo veramente”. Mentre Runk, robottino-girovago che passa di mano in mano, di famiglia in famiglia, pensa che l’unica cosa che ci accomuna sia lo stesso cielo. E’ davvero così?
“Il viaggio intrapreso da Runk è strettamente legato alla voglia di scoprire il mondo e l’umanità, passaggi necessari per arrivare a capire il suo scopo. Si accorgerà di quanto varie siano, nel bene e nel male, le emozioni che si possono provare, e di come esse unite a convinzioni sbagliate possano essere pericolose. Si accorge che gli uomini non guardano più le stelle perché aspirano a dominarle, ed essendo esse troppo in alto, questo non è possibile, così le ignorano. Dominare e possedere è tutto ciò che sembra interessare alcuni uomini. Ma come si può possedere un luogo? L’essere umano ha sempre conquistato, si è da sempre sentito il padrone. Ma ancora non ci è chiaro che non siamo al di sopra di tutto ciò che ci circonda: ne facciamo parte. L’approccio di Runk di fronte a qualcosa di nuovo, che sia un luogo o un animale o il cielo e le stelle, non è aggressivo; non pensa di dominare, bensì di capire. Vuole conoscere, vuole imparare, vuole migliorarsi attraverso tutto questo. “Le stelle sono messe lì e nessuno sembra accorgersene”, dice il robottino. Il cielo non è l’unica cosa che ci accomuna, siamo tutti parte della stessa cosa. Però è lì per tutti, da qualsiasi parte del mondo lo stai guardando, anche lui osservatore e guardiano silenzioso”.
Le avventure di Runk sono ambientate in tre città diverse: Palermo, Roma e New York. Cosa le accomuna, se c’è, e quanto e in che modo hanno influito nel tuo percorso?
“Ho scelto queste tre città proprio perché diversissime e complementari tra loro. Ognuno di questi luoghi è stato come il pezzo di puzzle da trovare per formare ciò che volevo essere. In Sicilia sono nata e cresciuta: una terra semplice, genuina, fatta di persone che hanno dei valori fortissimi, in cui la famiglia è ciò che di più importante possa esistere. La cosa curiosa è che per “famiglia” non si intende solo quella di appartenenza o quella acquisita, ma anche gli amici. E questo insieme di cose formano la base che sarà sempre la parte predominante in me. Roma è stata la città in cui mi sono trasferita dopo il liceo e quella in cui vivo. La associo maggiormente al mio lavoro e alle mie passioni, perché è qui che ho iniziato i miei studi di cinema e scrittura. Passare da Palermo a Roma è stato il passo che mi ha fatto sentire, per la prima volta, che quelle passioni si sarebbero potute trasformare in realtà. Avere l’opportunità di studiare all’interno degli Studios di Cinecittà è stato come essere catapultata sui set che sognavo e guardavo in televisione. E poi c’è stata New York, chiamata non a caso “la città dei sogni”, una metropoli piena di contraddizioni, di esagerazioni, di luci e rumore, in cui tutto cessa una volta entrati nel cuore di Manhattan, a Central Park. Penso non esista una città uguale in tutto il mondo, perché New York è un’anima a sé. Nel caso di Runk, il percorso è stato inverso come mappa (prima New York, poi Roma e infine la Sicilia), ma uguale come completezza di esperienza. Doveva rendersi conto della diversità di culture, luoghi e pensieri per essere pronto a ciò che – o meglio a chi – lo stava aspettando”.

Tu sei palermitana e alla fine è in Sicilia che si conclude (e si avvia a un nuovo inizio) il viaggio di Runk e degli altri protagonisti: quanto sei legata alla tua isola e come vivi il fatto di essere lontana: come una scelta o una costrizione?
“La Sicilia è una terra meravigliosa, da cui ho preso moltissimo della mia personalità e dei valori in cui credo. Tutto questo l’ho portato sempre con me anche a Roma e a New York, e mai lo perderò. Però, per il tipo di persona che sono, mi sono sentita sempre un po’ “stretta” a Palermo: ho sempre voluto conoscere di più, vedere di più e completarmi quanto più possibile. Per me questo è fattibile solo attraverso viaggi, mentalità aperta e curiosità. Adesso, dopo aver girato parecchio, sento che la mia casa è a Roma, perché qui ho trovato l’equilibrio che stavo cercando. Gli affetti che ho in Sicilia non sono assolutamente in discussione, perché superano di gran lunga le distanze. Ma ciò che ho qui è il mio presente e il mio futuro”.
“Il viaggio di Runk” è un invito a non fermarsi alle apparenze, ad andare oltre le etichettature della società: un messaggio sempre attuale, ma ancor di più, forse, in questi ultimi tempi in cui il diverso nelle sue mille forme e nei tanti nomi che gli vengono attribuiti fa paura. Come riuscire a trasmettere in maniera semplice questi messaggi?
“Immaginate una serie di robottini tutti uguali, tutti in fila, perfetti. E poi c’è Runk, con il corpicino leggermente piegato di lato perché, a causa della sua gambetta più corta, non è in grado di rimanere sull’attenti come gli altri – o più precisamente, di omologarsi alla massa. Vi farebbe paura? Forse no, ma sicuramente non sarebbe quello che scegliereste di comprare in negozio. Ecco, io scelgo sempre l’oggetto con un difetto. Perché probabilmente non lo comprerebbe nessun altro. E il risultato è che in casa mia c’è sempre qualcosa di unico. Quello che cerco di far capire nel libro riguardo il tema della diversità, è che la nostra società si basa troppo sulle apparenze e poco sul contenuto. Se quel giocattolo è in grado di rendere felici i bambini esattamente come tutti gli altri, perché gettarlo via?”
Il tuo libro è stato scelto per iniziare un ciclo di incontri tra scrittori e bambini del reparto di Oncologia Pediatrica all’Ospedale Umberto I di Roma. Com’è andata e quale pensi sia la forza del libro nel comunicare con loro?
“Essere scelta dalla Onlus Io, Domani come prima scrittrice per un incontro con gli ospiti del reparto è stato l’onore più grande. In primo luogo perché ho avuto la conferma che il messaggio del mio libro è arrivato: pensare a quel robottino che non stacca gli occhi dal cielo, nemmeno quando si trova gettato tra i rifiuti fuori la fabbrica, è l’immagine che vorrei rimanesse più ferma nel lettore. Perché che siano un paio di occhi o una stella, tutti noi abbiamo quell’ancora a cui aggrapparci, anche solo immaginandola, nei momenti più bui, quella cosa o persona che ci salva immediatamente. Il secondo motivo è strettamente legato ai guerrieri che ho avuto la fortuna di incontrare. Gli ospiti del reparto che con la loro forza non fanno che aiutare noi, perché ci arricchiscono e ci dimostrano che sorridere alla vita nonostante le difficoltà è possibile. E poi i volontari, coloro che non solo riescono per qualche ora al giorno a far volare via da quelle mura gli ospiti con la fantasia, ma che grazie al loro lavoro e alle donazioni di chi li sostiene attraverso il loro sito ufficiale, sono stati in grado di regalare un ambiente confortevole e colorato eseguendo vere e proprie opere di ristrutturazione all’interno della struttura. Per questo ci terrei molto a ricordare che, quando non è possibile donare un’ora del proprio tempo agli altri, si può sempre agire in altri modi. Un piccolissimo aiuto sommato a tutti gli altri diventa enorme”.