Tratto dal musical, scritto diretto e interpretato da Claudio Tortora – Compagnia delle Arti -, il libro Vita d’artista. il mito Charlie Chaplin è un viaggio nel mondo di Chaplin. L’infanzia difficile, gli esordi teatrali, le clamorose vicende personali. Chaplin e l’America, quell‘America che prima lo accoglie, gli apre le porte della notorietà fino a perseguitarlo tra inchieste, pregiudizi e poi, l‘espulsione. Claudio Tortora, un italiano che da appena 50 anni, tra teatro e un Festival Internazionale, il Premio Charlot, ha fatto di Chaplin la sua icona artistica, una fonte di ispirazione. Il libro, edito dalla LFA Publisher di Napoli, con l’introduzione del professore Michele Ingenito e prefazione del critico cinematografico Valerio Caprara, sarà pubblicato in inglese nel mese di luglio. Nel libro di Claudio Tortora, scrive Caprara, ciò che davvero emerge con prepotenza da Vita d’artista, anche grazie al fantasmatico incombere della memoria materna, è la struggente illusione di potersi reinventare nel tempo e di salvarsi dall’oblio e l’annichilimento della carne affidandosi al dialogo instaurato dalla propria vocazione, dal proprio talento e dalla propria coscienza con i cento fiori della vita. L’icona di Chaplin appartiene al sistema solare del Novecento, ma un contributo così strenuo e sincero ci fa sembrare di poterla stringere tra le mani ogni volta che ne sentiremo il bisogno”.
Un incontro e una conversazione, intensa e vibrante con l’autore e “Chaplin”.
Quando ha incontrato “Chaplin”?
“Da bambino. Vidi il film the Kid (il Monello) ed il personaggio Charlot entrò nel mio cuore”.
Un colpo di fulmine determinante per la sua vita artistica. Nel libro, lei segue un “copione teatrale”: date, eventi precisi. Vere e proprie sequenze. Come inizia?
“Parto dall’infanzia. Charlie Spencer Chaplin nasce a Londra nel 1889 nel sobborgo di Walworth, a East Lane, angolo Brandon Street. Un’infanzia difficile segnata dalla figura materna, tra povertà, orfanotrofi e l’abbandono del padre, Charles Chaplin, un attore di varietà con il vizio dell’alcol; la madre, Hannah Harriette Hill, un’attrice conosciuta come Lily Harley. Un figura importante per Chaplin che, sin da piccolo, si prende cura della madre fino alla fine dei suoi giorni negli Stati Uniti”
Come inizia la sua carriera?
“A soli cinque anni, debutta al Canteen di Aldershot, con una canzoncina, sostituendo la madre ammalata. A 12 anni è un attore professionista: da quell’esordio la sua carriera artistica prosegue senza sosta, con la presenza costante del fratello Sidney. Un rapporto importante quello con suo fratello. L’incontro fortunato, determinante è con l’impresario Karno, arrivano le tournée teatrali in Europa con i Silent Comedians e arriva anche il successo. Tra i vari personaggi che Chaplin inventa e interpreta, senza dubbio sarà l: il successo arriva, tra i tanti personaggi che Chaplin inventa e interpreta, con “l’ubriaco”. Chaplin non è stato mai davvero felice, nonostante la ricchezza, la fama almeno fino a quando non approda nei quieti lidi della vecchiaia. Chaplin insegue il sogno, e quando lo raggiunge proiettandosi nella propria opera, si scioglie finalmente dai lacci della carne per sublimarsi in un personaggio che fosse “pura idea””.
Da Londra a New York, primi anni ‘20. Il sogno americano, la “grande immigrazione” diventano determinanti per la carriera di Chaplin. Che cosa cambia nella sua vita d’artista?
“A New York arriva la notorietà e la fama: un noto produttore cinematografico, Max Sennet, lo adocchia subito, e lo scrittura per il personaggio dell’ubriaco. Gira tanti film e quando gli viene chiesto un nuovo personaggio ecco che Chaplin inventa il grande mito: nasce “Charlot”. E’ un susseguirsi di successi, passa alla Essenay di Bronco Billy e gira circa 38 film in 8 anni. In seguito, decide di mettere su una sua casa di produzione, la United Artist in società con Dug Fayrnanks, attore celebre di quei tempi e la produttrice Mary Pickford: da qui il Monello 1921, La febbre dell’oro 1925, il Circo 1928, Luci della città 1931, Tempi moderni 1936, Il Dittatore 1940, Luci della ribalta 1951. Poi i film prodotti in Inghilterra, Un re a New York e la Contessa di Hong Kong con Sofia Loren e Marlon Brando 1967″.
Nel libro, così come a teatro, Lei tocca molti punti delicati della sua vita: le donne, i pregiudizi, le accuse, l’Oscar per la Carriera, il ritiro di Chaplin in Svizzera.
“Sì. Ripercorro questo spaccato di vita di Chaplin. Parallelamente al successo, nascono tante traversie concomitanti. Sono molti gli incontri con donne giovanissime, che lo porteranno ad affrontare situazioni difficili fatte di matrimoni falliti ed incontri amorosi deludenti. La vera persecuzione sia giudiziaria che umana, è quella dell’FBI, che si accanisce su di lui: Edgar Hoover, Capo de FBI, che seguirà molti anni dopo l’assassinio di J.F Kennedy, oltre ad indicarlo come un pericoloso seduttore di minorenni, lo addita come un filo-comunista, che attenta ai valori ideali dell’America che lo ha adottato. Tutto si conclude intorno al 1950 con la sua espulsione dagli Stati Uniti ma anche con l’incontro con la donna della sua vita, Oona o’Neil, dalla quale avrà sette figli che cresceranno in Svizzera a Vevey, nel suo castello Manoir de Ban dove vivrà il suo più che ventennale esilio. Un uomo libero fino alla fine”.
Libertà e sentimenti. Secondo Lei, Chaplin, che rapporto aveva con la sua emotività e quella degli altri?
“Non è stato un percorso facile fino a quando non ha incontrato il vero amore della sua vita Oona. Fino ad età matura, l’amore a mio avviso, lui lo ha visto e frequentato solo tra una pausa di un film ed un altro. Una figura che io personalmente ho immaginato nel libro e a teatro, e che ha avuto molta rilevanza nella sua vita, è stata quella della mamma. La mamma lo ha catturato emotivamente, sentimenti forti e contrastanti, fino a portarsi dentro la malinconia ed il sorriso, linfa vitale per tutto quel che Chaplin ha trasmesso nei suoi capolavori”.

Come potrebbe essere Chaplin nel terzo millennio?
“Contemporaneo. Chaplin, per la sua epoca era già cinquant’anni anni avanti artisticamente, umanamente. La sua modernità è stupefacente, basti pensare a due film in particolare: “The Immigrant e il Grande Dittatore”.
Perché diventa un mito?
“A mio avviso perché è stato il grande attore capace di trasmettere emozioni senza servirsi della parola, ma del gesto e della espressione mimica: quando passa al sonoro con le grandi interpretazioni del Dittatore, di cui ne fa una satira tagliente deridendolo nel contempo con intuizioni geniali, Chaplin entra nel mito. Il suo talento va oltre il confine del tempo. Chaplin possiede una sua innata capacità imprenditoriale, e quel suo modo disincantato di vedere la vita e di sognarla sempre come un grande bambino”.
Un contrasto forte. Come la sua vita, del resto. Chissà invece cosa penserebbe oggi Chaplin dei tempi moderni. Dell’America di oggi, da Obama a Trump. Ecco…Trump…
“Immagino che a Trump dedicherebbe un suo pensiero, questo: “la vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Perciò canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente ogni momento della tua vita, prima che cali su di essa il sipario e l’opera finisca, questa volta…senza applausi“. Forse questa frase potrebbe far riflettere un po’ di più il nuovo Presidente”.
Vita d’Artista. Il Mito Charlie Chaplin…sogna Broadway?
“Per adesso sono molto soddisfatto di aver scritto questo libro. Cosa potrà venire? Non lo so. La vita di un grande artista, credo il più importante del ‘900, suscita molto interesse per l’intensità artistica, umana e sociale. Ma soprattutto perché sembra essere stata vissuta come un copione già scritto…! Basti pensare alla sua vita…sequenze precise: Chaplin che inizia a cantare giovanissimo in un locale di secondo ordine a Londra, il successo, New York, l’Oscar, la Svizzera e Charlot che lascia “questa vita” circondato dalle grida di gioia dei suoi nipoti mentre aprono i regali, la notte di Natale…”.
A proposito di doni. E’ vero che Eugene Chaplin le ha donato qualcosa di prezioso? Quale?
“Sì. Un filmato originale di Charlie Chaplin che conservo gelosamente, che ritrae momenti della sua vita familiare: a parlare e a commentare, è proprio suo figlio Eugenie che, allo al Premio Charlot, dal 22 al 26 luglio a Salerno, sarà presente con tutta la sua famiglia. Nel libro ho pubblicato anche la lettera dell’Associazione Figli di Chaplin di Parigi, parole molto significative per me. E finalmente a luglio la versione in inglese del libro”.
Un saluto, come a teatro, si abbassano le luci. Charlot, il Monello…
“Gli occhi di un bambino innocente che si confrontano con la ferocia di un uomo che avrebbe voluto governare il mondo”.
Il mondo e gli occhi di un bambino. Come solo i bambini sanno fare. Piccoli, grandi Monelli come Charlot.