“I migranti sono gli attori più importanti del cambiamento in atto nel mondo occidentale. Sono poveri ma ricchi di valori e vanno a salvare i ricchi del nord dall’impoverimento causato dal materialismo imperante”: così padre Alejandro Solalinde, 72enne sacerdote messicano candidato al premio Nobel per la pace 2017 e che ha fondato nel 2007 a Ixtepec, nel sud del Paese, “Hermanos en el Camino”, un centro di aiuto per i migranti diretti negli Stati Uniti. Dal 2011 è costretto a vivere sotto scorta a causa delle minacce di morte ricevuto dai narcotrafficanti (su di lui pende una taglia da 1 milione di dollari), per aver sottratto loro il lucrosissimo mercato dei sequestri dei migranti, con i riscatti chiesti poi alle famiglie o come “serbatoio” di organi per il mercato dei trapianti (l’anno scorso nelle cittadine di El patrocinio e Colinas de Santa Fe sono state ritrovate due fosse comuni con 7mila cadaveri e 14mila resti umani).
Padre Solalinde, invitato dal Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), Amnesty International e l’associazione Libera, ha appena concluso un lungo tour italiano per presentare il libro I narcos mi vogliono morto – Messico, un prete contro i trafficanti di uomini, scritto da Lucia Capuzzi, giornalista dell‘Avvenire.
Una dura lotta, quella contro i narcos messicani, che non si fanno scrupoli di uccidere chiunque intralci i loro piani: dal 2000 sono 120 i giornalisti uccisi e 45 i sacerdoti, l’ultimo il 27 marzo scorso. Negli ultimi anni sono state 250 mila le vittime civili dei narcos e 150 mila i migranti scomparsi. “Lo Stato messicano è complice – ha affermato Lucia Capuzzi – e il 98% dei crimini restano impuniti. Il Messico è l’esempio di cosa può succedere allo Stato quando si permette alle organizzazioni criminali di infiltrarsi nelle istituzioni. La ‘ndrangheta italiana riceve la cocaina e la smercia in tutta Europa, perciò il Messico ci riguarda tutti”.
Una realtà agghiacciante, quella messicana, che però non scoraggia padre Alejandro: “Non demordo, non ho paura di morire perché la mia vita è nelle mani di Dio – ha detto. Non sono un supereroe. Non posso tacere, anzi continuerò a gridare ancora più forte, per far ascoltare il grido di quanti non hanno più voce. E’ la Grazia a spronarmi, ad educarmi aduna fede incarnata nella storia. Se non denunciassi gli abusi sui più indifesi tradirei il mio ministero”.
Nel corso dei suoi incontri, padre Alejandro Solalinde ha parlato anche di Trump, che anche contro i migranti ha costruito il proprio successo promettendo di ultimare il muro al confine tra Stati Uniti e Messico. Il presidente-magnate è considerato un’opportunità: “Dio, naturalmente, ama anche Trump, pur non amando le sue idee. La sua politica così aspra contro i migranti, ma anche contro le donne – ha spiegato il sacerdote messicano -, sta permettendo, sia negli Usa sia nei paesi dell’America Latina, una nuova presa di coscienza, un nuovo risveglio delle battaglie per la difesa dei diritti delle persone. Muro o non muro, Trump perderà la guerra con i migranti: questi sono più forti perché Dio cammina con loro”.
Sulla paura dei migranti, su cui fanno leva in molti Paesi occidentali le forze conservatrici di destra, padre Alejandro puntualizza: “Il neoliberismo selvaggio, con la sua “religione del denaro”, ci ha anestetizzato il cuore. Temiamo di perdere il benessere e così la paura ci paralizza, facendo così il gioco di questo sistema disumanizzante. ‘Non dobbiamo farli entrare, se no a noi che resta?’ ci dicono alcuni. Chiusi a doppia mandata, ci illudiamo di vivere. Non è però troppo tardi. Possiamo e dobbiamo avere il coraggio di rischiare un po’ del nostro benessere per restare umani. Non più noi o voi, ma noi e voi, insieme. O ci salviamo tutti o tutti verremo travolti. E’ una scommessa forte, ma ne sono sempre più convinto: ne vale la pena”.
Al collo Padre Solalinde ha una croce concava disegnata da un artista messicano, Martin Chivas, più di 20 anni fa. Concava come simbolo di gesù che dalla croce si protende per abbracciare tutta l’umanità. “Lui ci ha amato per primo e cerco così di non dimenticarlo – scrive nel libro -. Non si può amare Dio in teoria. Si ama Dio cooperando con Lui alla costruzione del Regno”. Che passa quindi anche dalla difesa dei martoriati e ingiustamente colpevolizzati migranti, che – spiega padre Alejandro – “rappresentano oggi l’irruzione di Dio nella storia, perché diventano strumento di salvezza”.
E’ da anni sotto scorta, ma come mai è ancora vivo nonostante la cospicua taglia che pende sul suo capo? “Ho una teoria – spiega il sacerdote messicano -. Il crimine organizzato non agisce solo: non potrebbe altrimenti arrivare fin dove arriva. Gode di complicità politiche. I trafficanti non si farebbero troppi problemi a premere il grilletto contro un sacerdote: i politici loro amici, però, non vogliono uno scandalo”.