Perché una persona che sa di avere incontrato l’amore decide consapevolmente di rinunciarvi? Andando incontro a decenni di rimpianti e ferendo anche l’altro/a?
Ruota intorno a questo interrogativo La natura dell’amore, romanzo di John Burnside, ma sarebbe meglio dire memoir, poiché nulla ci autorizza a pensare che le vicende narrate in prima persona nelle sue pagine non siano autobiografiche.
Burnside, scozzese, classe 1955, sposato, due figli, è un poeta affermato, un docente di scrittura creativa all’università di St. Andrews – ma con frequenti incursioni all’estero, in primis negli Stati Uniti – ed un esperto di lirica a sfondo ecologico. Ha però anche scritto narrativa e già altri suoi romanzi erano stati precedentemente tradotti in italiano.
Questo ultimo, edito da Fazi, può sembrare all’inizio un po’ pretestuoso, una raccolta di pensieri e brevi saggi che spaziano dal celebre blues portato al successo da Nina Simone, I put a spell on you, scritto originariamente dall’eccentrico Screamin’ Jay Hawkins, alla fotografia di Diane Arbus, dalla “sindrome della ragazza scomparsa” (Ofelia e tante altre) all’essenza del thrawn (ovvero di ciò che è contorto, strano, girato dalla parte sbagliata, per estensione anche malevolo). Tuttavia, man mano che si procede nella lettura, e nonostante le frequenti digressioni, che l’autore indica onestamente come tali, e che si alternano ai capitoli veri e propri, un quadro unitario si ricompone.
Il risultato è un lavoro complesso, sinuoso, romantico, a tratti struggente.
Il tema centrale, quello che ha orientato l’editore italiano nella scelta del titolo, è, appunto, l’amore. Ma fin dalle prime pagine emergono anche altre cose. Il contesto, ad esempio, la società britannica, o in questo caso scozzese, con il suo rigido classismo, che il protagonista, cresciuto in un prefabbricato della cittadina mineraria di Cowdenbeath e poi nella New Town di Corby, stigmatizza duramente. “Non avevo niente contro i soldi (benché pensassi che dovessero essere distribuiti in maniera più equa e ogni argomento contrario mi sembrava capzioso, vigliacco ed egoistico, a seconda di chi lo sosteneva). Tuttavia, crescendo in condizioni disagiate a Cowdenbeath e poi a Corby, mi scandalizzava il fatto che esistessero i ricchi”. Le ingiustizie della società sono quelle contro le quali la madre non si è battuta, ed è questo a far soffrire di più Burnside. Tanto più che il sogno della madre era al fondo molto modesto, una piccola casa su una strada alberata e tranquilla “che per tutta la vita lei seppe di non poter possedere”.
Ma era sempre questa madre, scomparsa troppo presto, ad ascoltare la radio mentre faceva i suoi mestieri nello spazio che veramente le apparteneva, la cucina. E la radio passava i successi dell’epoca, comprese tante canzoni d’amore, verso le quali il figlio imparò a nutrire un sentimento ambivalente: il rifiuto (nulla degli amori coniugali che vedeva attorno a sé assomigliavano alle passioni evocate da quelle canzoni) ma al tempo stesso lo stupore (perché comunque a quelle canzoni le persone come sua madre credevano, credevano che potessero esistere, nella New Town di Cornby o altrove, amori del genere, così intensi, così definitivi). “Per un verso, era naturale il pressante desiderio di prendere in giro quelle assurdità, eppure, al tempo stesso, si sentiva che dentro c’era qualcosa di vero…”.
Le canzoni producevano dunque un incantesimo, uno spell, a cui ci si poteva abbandonare. L’incantesimo a cui l’autore si è poi consegnato più di frequente nella sua vita è stato quello della rinuncia, e qui siamo al cuore del romanzo, che mette al centro una ragazza americana, Christine, incontrata a Cambridge.
Ci possono essere molte ragioni per cui una persona decide di rinunciare all’amore. Una di esse è la paura di rimanere “incastrato”, di finire con il condurre una vita infelice come quelle che tante coppie conducono nelle new town – ma anche nei paesini o nelle metropoli sfavillanti – sparse per il globo. Una variante un po’ più sofisticata è il timore dello scarto esistente fra le aspettative generate da un amore concepito come grande, maturo, propiziato dalla migliore congiunzione astrale, e la realtà, ovvero tutto ciò che accade dopo il primo bacio, dopo il momento magico del disvelamento: fraintendimenti e noia e menzogne. Un’altra ancora può essere la sensazione di inadeguatezza nei confronti dell’altro. E infine c’è, più che una paura, una propensione, inspiegabile, “perversa”: chiamiamola attrazione per la sofferenza, per il senso di perdita che si prova rinunciando a ciò che si ama, senza dare delle spiegazioni, senza nemmeno un’uscita di scena degna di questo nome. Burnside ad un certo punto, con molto coraggio, a mio modo di vedere, la definisce “la più sopraffina delle sensazioni”.
C’è molto di questa attrazione, di questo imp of the perverse, come lo ha chiamato Poe (passione per ciò che è “perverso”, thrawn, per ciò che va contro il buonsenso e la Versione Ufficiale) nel comportamento di Burnside o del suo alter-ego letterario. Del resto, la prima delle citazioni che aprono il volume, di Francis Scott Fitzgerald, è abbastanza esplicita nel rivelare ciò che Burnside pensa: “I sentimentali credono che le cose durino…i romantici sperano contro ogni speranza che non durino” (e l’autore si schiera decisamente dalla parte dei secondi).
In queste pagine, però, lo ripetiamo perché è fondamentale per approcciare correttamente il libro, c’è anche molto altro: ci sono brevi saggi, alcuni già pubblicati, perlopiù di argomento musicale o letterario, ci sono le vicende del protagonista con l’LSD e poi anche con la malattia mentale, c’è la crudeltà del microcosmo scolastico, che si accanisce sui più deboli, c’è la fascinazione per le lande desolate della Norvegia, ci sono drugstore solitari in America, come in una canzone di Tom Waits. E c’è persino il bisogno di comunità; guardato con sospetto, con scetticismo, ma tuttavia evocato.
Al fondo questo è un romanzo filosofico, non facile, non facilmente traducibile, credo. Che lascia dentro un’inspiegabile malia, un sortilegio. Uno spell.
John Burnside, La natura dell’amore, Fazi, 2017, traduzione di Giuseppe Oneto (titolo originale: I put a spell on you, 2014).