Il problema di tutto è l’AMORE che è scomparso. Perché A sta come amore, però M può stare come morte, O come odio, R come rancore, ma E – dobbiamo sperarlo – sta come emozione. Sì, è l’emozione che genera sempre l’amore. Ma sappiamo emozionarci ancora? Sappiamo innamorarci? Provare passione? Soffrire e gioire per amore?

Paola Mastrocola ci racconta L’amore prima di noi, edito da Einaudi, l’amore mitico. I miti non ci dicono come dobbiamo amare né ci indicano una via. I miti sono circolari come le rotonde stradali che tanto piacciono alla Ue e che ti permettono di imboccare qualsiasi strada, benché girare intorno ad una rotonda sia più pericoloso che girare intorno ad un mito. Anzi, più giri intorno ad un mito, più entri nella vita, come se un’atavica spirale ti risucchiasse. E credi di capire la vita fino a che un giorno non ti appare chiara la sua assurdità, perché la vita non è spiegabile.
Per quanto la psicologia si sforzi di inculcare regole esistenziali, non riuscirà mai a programmare la vita di nessuno. Ogni amore è diverso, unico, perché nasce da un’individualità, quel carattere che rende una persona diversa da tutte le altre. Ognuno di noi è singolo e quindi solo. Figurarsi poi se è una stella, un toro, un cavallo, un fiume. Apriti cielo: questo fa paura, va rimosso. Così noi abbiamo rimosso la nostra natura, giudicata non umana, non comprensibile. In fondo quando potevamo diventare animali, piante, pianeti avevamo una via d’uscita e smettevamo di girare intorno alla nostra vita senza viverla. Diventando altro, accettando il cambiamento, la metamorfosi, potevamo amare ed essere amati da un dio, da una dea. Potevamo vivere l’amore in un’altra dimensione, nel cielo o negli inferi, ma nella completezza del nostro essere.

Forse abbiamo finito di poter essere tutto quando abbiamo cominciato a segnare i torti subiti, i crediti vantati, i confini delle nostre esistenze. Quando scrivi, codifichi e delimiti, regoli e quello che rimane fuori è mostruoso ed assurdo. Non puoi più trasformarti, correre all’impazzata nei prati come se fossi un cavallo o lasciarti scorrere come acqua. Devi avere un’unica forma ben visibile e riconoscibile. Quell’altro che vorresti essere, lo nascondi dentro. Così, per paura e vergogna di se stessi, è nato l’inconscio.
E’ lì che dimorano i miti e, se riuscissimo a guardarli in faccia, potremmo far pace con noi stessi. Ognuno – e questo è il bello – deve leggere il mito a modo suo. Leggendo l’interpretazione dei miti di Paola Mastrocola talvolta ti riconosci, talaltra ti sembra incongruente. Ma cos’è l’incongruenza se non la nostra vita? L’autrice ci racconta la sua, quello che lei ha capito vivendo. Però qualche volta esita: scrive di un mito “forse” è andato così, “oppure” cosà. No, si sceglie una storia e la si racconta fino in fondo, per viverla, per farla propria. Tuttavia Paola Mastrocola è sempre lirica: fa palpitare il cuore, ci tocca il fondo. Smuove l’inconscio, e ci fa bene leggerla. Non c’è altra autrice italiana vivente che riesca a raggiungere la sua altezza e le sue profondità. Salire è facile, sprofondare più difficile, quando si parla di anima. Mastrocola narrando i miti, ci racconta l’anima e il racconto non può che essere soggettivo. Attraversa l’amore come rapimento, ombra, fuga, sguardo, eccesso, divieto, viaggio, segreto, dono, mondo.

Dafne per sfuggire ad Apollo che l’insegue prega la dea di essere trasformata e diviene un lauro: “Non ha capito che l’amore è incontrare un dio”. Clizia vorrebbe che il Sole amasse solo lei, comincia ad inseguirlo e lui la evita. Poi scopre che ama un’altra. Si vendica della rivale e il dio le risponde da uomo: “Avrei continuato ad amare anche te… bastava avere la pazienza di aspettare. E l’umiltà di non ritenersi l’unica”. Gli dei, come chi si ritiene tale, sanno mostrare “la distanza tra chi ama e chi non vuole essere amato, il confine invalicabile”. L’autrice ci rivela che “amare un essere umano è per gli dei una paura immensa”. Temono di perdere l’immortalità innamorandosi? Sì, “l’amore passa per gli occhi e essere guardati è morire, diventare l’altro, fondersi con colui che guarda. Scoprire che siamo la stessa cosa”.
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