READ THIS INTERVIEW IN ENGLISH
Tutto è pronto ormai a Cleveland, Ohio, per dare il via alla Convention Repubblicana 2016 che riempirà la città dal 18 al 21 luglio. Nonostante i più grandi del partito (Romney, McCain, e Gregg tra gli altri) abbiano già dato forfait, la convention di quest’anno ha comunque tutti i presupposti per entrare nella storia. Il protagonista, ovviamente, non può essere che lui: Donald Trump.
La VOCE di New York ha parlato con Andrew Spannaus, autore del libro appena uscito in Italia Perché vince Trump. La rivolta degli elettori e il futuro dell’America. (Ed. Mimesis, 2016). Spannaus è un giornalista e analista americano che si occupa dei rapporti strategici degli Stati Uniti con un focus particolare alle relazioni tra finanza ed economia reale. Nel 2013 ha fondato il servizio Transatlantico che fornisce analisi e consulenza di economia e geopolitica.
Nel suo saggio Spannaus spiega, con una visione lucida e disincantata, perché il successo dell’imprenditore newyorchese va ben oltre le frasi ad effetto e le dichiarazioni aggressive alle quali il suo nome è ormai invariabilmente associato. Il magnate dell’edilizia si concentra sull’economia e sulla politica estera con proposte nuove, spesso più a sinistra della sua rivale Hillary Clinton che viene invece troppo spesso definita “guerrafondaia”. L’autore analizza anche la rivoluzione tutt’ora in corso nella politica americana dove la linea che fino a pochi anni fa divideva Democratici e Repubblicani si fa sempre più spezzata, più aperta ad infiltrazioni e scambi di vedute: “La linea nella faglia dell’elettorato americano è stata spostata – afferma Spannaus – non c’è più una distinzione netta tra Repubblicani e Democratici in termini di economia e sicurezza nazionale. Prende forma una divisione diversa, tra establishment e outsiders, tra gli apparati del mondo politico e il sentire della gente comune”.
Con uno stile chiaro e immediato Andrew Spannaus fa luce su ciò di cui molti non vogliono parlare, dall’evoluzione del corso delle primarie alle proposte concrete di Trump, passando per gli errori compiuti sia dai Democratici che dai Repubblicani. E spiega perché Trump è un candidato sempre più temibile.

Spesso le idee di Trump si sono rivelate essere ben lontane dalle normali proposte del suo partito, a volte quasi “più a sinistra della Clinton”. A prescindere dal risultato, quanto profondamente queste elezioni hanno modificato il significato dei termini Democratico e Repubblicano? La divisione esiste ancora o si è sfumata irreversibilmente?
“In questo momento la politica americana si sta ridefinendo. Il successo alle primarie di Donald Trump e Bernie Sanders sta spostando la classica divisione tra Democratici e Repubblicani ad una dicotomia che si gioca tra establishment e outsiders. Per decenni i principali partiti hanno portato avanti le loro campagne elettorali basandosi sull’identità politica, creando appelli specifici rivolti ai diversi settori della popolazione e spesso basandosi su argomenti a sfondo religioso e culturale che spaccano l’opinione pubblica. Oggi, invece, ci si concentra su diversi tipi di problemi come il declino della classe media e la diffusione di sentimenti contrari alla politica estera della ‘guerra continua’ che difficilmente si accorda con gli interessi degli Stati Uniti.
Non sarà facile per l’establishment accettare questi cambiamenti e ammettere il fallimento delle proprie politiche, ma il passaggio è necessario se non vogliamo incorrere, nel futuro più prossimo, in una situazione ancora più complicata”.
Nel suo libro viene ripetuto più volte che le elezioni presidenziali del 2016 non vedono scontrarsi, come tradizione, i partiti Democratico e Repubblicano ma la vera sfida è ormai quella tra l’establishment e gli outsiders. Secondo questa nuova dicotomia Trump e Sanders si troverebbero dalla stessa parte dello scontro. Possiamo davvero accomunarli a tal punto?
“È chiaro come si sia ormai diffuso un sentimento contrario all’establishment, sia nell’ambiente politico americano che in quello europeo. Questo porta ad una nuova sorprendente convergenza di visioni tra la destra e la sinistra. Consideriamo, ad esempio, la questione del crollo finanziario: nessun banchiere è andato in prigione e anche i candidati di centro – che ricevono una parte notevole dei loro fondi da Wall Street – hanno evitato di prendere posizioni forti su questioni che riguardano il crollo di quegli istituti ormai troppo potenti per fallire o il ripristino del Glass-Steagall Act.
Ritroviamo una dinamica simile anche in politica estera. Nonostante la retorica aggressiva adottata nei confronti del terrorismo, sia Donald Trump che Ted Cruz hanno criticato la guerra in Libia ed affermato che preferirebbero negoziare con Vladimir Putin piuttosto che far scoppiare un altro conflitto armato in Siria. Sul versante democratico, invece, Bernie Sanders si è spesso scontrato con Hillary Clinton riguardo a queste tematiche. Le differenze tra Trump e Sanders, ovviamente, ci sono e sono importanti, ma su questi problemi le loro posizioni non sono così dissimili”.
Uno dei pochi punti sui quali il programma di Trump converge con la linea Repubblicana classica è l’ok al possesso personale di armi. Dati i recenti fatti di Orlando e Dallas la lobby delle armi è sottoposta a grande pressione da parte dell’opinione pubblica. Seppur porgendo le sue condoglianze alle famiglie delle vittime, Trump non desiste dalla sua posizione favorevole alla National Rifle Association (NRA) e anzi è quasi sempre riuscito abilmente a modificare la prospettiva in modo da utilizzare le stragi a suo favore. La posizione di Trump sul fattore del possesso di armi inciderà sulle percentuali ai seggi o passerà in secondo piano a causa di proposte ben più provocatorie?
“La posizione adottata da Trump rispetto al controllo delle armi si è modificata nel corso degli anni. Ciò non è sorprendente visto che la sua campagna è basata sulle paure della popolazione – alcune legittime e altre meno, secondo il mio punto di vista. Per quanto riguarda le armi ha trovato una posizione che gli permette di sostenere la linea del partito Repubblicano (e quindi così rispondere a coloro che lo accusano di non essere abbastanza conservatore) e allo stesso tempo di evitare di sollevare le antipatie della National Rifle Association, una lobby potentissima”.
Sta per cominciare la Convention Repubblicana di Cleveland: pensa che ci saranno sorprese o l’establishment del partito si piegherà al candidato che ha ricevuto il maggior numero di voti?
“Sembra che la campagna ‘Never Trump‘ (Mai Trump) sia ormai fallita. Che lo si voglia o meno come candidato ufficiale alle elezioni Presidenziali, è pericoloso credere che l’establishment del partito cambierà realmente le regole per escludere il candidato che ha ottenuto la maggioranza dei voti ai seggi. Ciò riflette l’atteggiamento che ci ha portato nella situazione attuale: l’idea che le élites possano manovrare le sorti di un paese senza dover tener conto dell’opinione pubblica. Giusto o sbagliato che sia, è il momento di capire perchè le persone votano per un outsider come Trump o il divario che c’è oggi tra i cittadini e l’establishment diventerà sempre più ampio. Non è sufficiente rispettare il principio del politically correct senza considerare le correnti che aizzano le proteste”.
La campagna di Trump è stata criticata quasi esclusivamente per il suo atteggiamento estraneo al politically-correct. Nel suo libro afferma però che quasi nessuno ha osato criticare Trump per i contenuti: questo è avvenuto perché i contenuti sono effettivamente validi, e quindi i critici non sanno realmente come rispondere, oppure perché essi sono stati messi in ombra dall’irrIverenza del candidato e dalle analisi superficiali che sono state proposte?
“È corretto e doveroso essere preoccupati per i toni offensivi sfoggiati da Trump durante le primarie. D’altro canto, però, bisogna anche considerare che per quanto riguarda i contenuti si è concentrato principalmente sull’economia toccando tematiche come l’abbassamento dei salari, l’aumento dei contratti a tempo determinato e la necessità di ricostruire un’economia forte e stabile. Non credo che Trump abbia effettivamente in mente un piano concreto per raggiungere questo obiettivo ma bisogna anche ammettere che la maggior parte dei media e delle istituzioni politiche non sono stati in grado di rispondere alle critiche fatte nei confronti di tutte quelle politiche che stanno sempre più rovinando la classe media. Cosa possono dire, infatti, gli esperti? Che la perdita di milioni di posti di lavoro nel settore industriale è positiva? È difficile trovare argomenti a favore di una politica palesemente fallita, e per questo molti preferiscono semplicemente ignorare l’argomento. Ma è chiaro che il successo di Trump va oltre le sceneggiate su cui i mezzi di comunicazione ritornano continuamente”.
I trattati commerciali: da subito Trump si è schierato con forza contro il TPP. Se questo non venisse approvato sorgerebbero problemi anche per il TTIP, il trattato che regolerebbe gli scambi tra USA e EU. Nel suo libro afferma: “Una presidenza Trump potrebbe segnare un ritorno parziale a strumenti protezionistici […] Hillary Clinton invece manterrebbe la rotta tracciata negli ultimi decenni”. Con Trump quindi i rapporti commerciali con l’Europa (e quindi l’Italia) potrebbero crollare?
“L’abbandono del così detto ‘libero commercio’ avvenuto negli ultimi decenni non deve necessariamente portare ad un collasso dei legami con l’Europa o altre aree del mondo. L’alternativa consiste nel ritorno al fortunato ‘American System’ focalizzato su investimenti produttivi e sulla protezione di un’economia reale, basata sull’effettiva produzione di beni e merci. Ciò significa imporre una regolamentazione appropriata che non favorisca soltanto coloro che si trovano ai vertici. Una corsa al ribasso basata su paghe più basse e standard inferiori non è negli interessi americani né in quelli europei.
I legami economici sono importanti e, in un mondo la Cina acquista sempre più potere, le considerazioni geopolitiche guidano il TPP e il TTIP. Il problema ora è cercare di migliorare i rapporti senza ripetere gli stessi errori che hanno portato una grossa fetta della popolazione a ritrovarsi in una situazione di immobilità e declino degli standard di vita durante gli ultimi 35 anni”.
Se Trump dovesse effettivamente vincere le elezioni di novembre, cosa pensa che farebbe nei primi 100 giorni di Presidenza?
“Trump si ritrova a dover affrontare importanti svantaggi strutturali che gli renderanno difficile entrare alla Casa Bianca. Se dovesse realmente riuscirci, sarebbe allora da vedere se egli sarà in grado di controllarsi e concentrarsi sulla sostanza o se avrà bisogno di essere controllato da altri. Credo che le istituzioni siano abbastanza forti da reggere lo shock, anche se la mia impressione è che la maggior parte dell’establishment politico pensi che alla fine tutto si risolverà positivamente soltanto perché Trump è considerato un candidato spaventoso e impreparato che non sarà in grado di vincere.
Se invece Hillary Clinton diventasse Presidente dovrà allora iniziare a prendere decisioni importanti per quanto riguarda l’economia e la politica estera: ritornare a sostenere la crescita economica, riprendere il controllo su alcune attività parassitarie nel mondo finanziario e promuovere la via diplomatica. Non sarà facile (anche perché la Clinton sembra essere di tutt’altre vedute) ma è necessario per il futuro del paese e per influenzare positivamente la direzione delle relazioni internazionali negli anni a venire”.
Trump ha recentemente annunciato che a correre con lui come Vicepresidente sarà Mike Pence, attuale governatore dell’Indiana di orientamento conservatore. La decisione era prevedibile o è stata accolta come una sorpresa?
“La scelta di un compagno è stata difficile per Donald Trump. Durante il corso delle primarie egli si è scagliato contro l’apparato del Partito Repubblicano ed è riuscito a sconfiggere una serie di candidati che l’establishment avrebbe di certo preferito. Ora, ogni tentativo di risaldare i rapporti con il partito potrebbe fargli perdere il fascino dell’outsider. In questa prospettiva Pence è stata una scelta conservatrice, un politico che rappresenta la parte più tradizionale dell’ideologia Repubblicana.
Così come Trump intende usare Pence per costruire un ponte verso il partito, Pence ha dovuto modificare alcune delle sue convinzioni per allinearsi alla campagna del Tycoon, come per esempio i temi della social security e delle guerre all’estero. Le contraddizioni abbondando in una tornata elettorale che ha scosso tutte le normali categorie”.