Un libro come questo lo capisci subito che è importante. Lo capisci già a causa della sua mole – quasi 700 pagine! – e della copertina, con quello sguardo che ti perfora. E poi il titolo, perentorio, secco. Parliamo di Congo, di David Van Reybrouck, uscito in Belgio nel 2010 e diventato immediatamente un best seller, ora disponibile finalmente anche in lingua italiana per la traduzione di Franco Paris (e in America per i tipi della HarperCollins).
È un libro di storia, sì, ma è anche un libro dal taglio giornalistico, che si legge bene quanto un romanzo. L'autore, classe 1971, storico, archeologo, figlio di un ingegnere ferroviario che trascorse 5 anni della sua vita nell'attuale Repubblica Democratica del Congo, all'epoca Zaire o ex-Congo belga, si è proposto infatti di arricchire la ricostruzione storica delle vicende di questo immenso paese, il secondo più grande del continente africano dopo il Sudan, con le testimonianze del maggior numero possibile di congolesi. In particolare la sua attenzione si è concentrata sulla gente comune, o comunque non-nota: piuttosto che ministri o signori della guerra, insegnanti, medici, responsabili di organizzazioni della società civile, venditori ambulanti e ex-bambini soldato, ceo di multinazionali ma anche piccoli imprenditori che dopo avere sognato a lungo l'Europa (o meglio, ci spiega Van Reybrouck, tre città: Bruxelles, Parigi, Londra), oggi scoprono il loro Eldorado in Cina.
L'affresco che ne esce è affascinante, e non poteva essere altrimenti, considerato l'argomento prescelto. Il Congo è un paese dalla storia complicata, oltre che particolarmente tragica. È l'ossessione di Henry Stanley, il primo bianco a esplorare il corso del grande fiume da cui questa parte di Africa prende il nome, fino alla foce sull'Atlantico, ed è il cuore di tenebra di Joseph Conrad, dove il capitano Kurtz perde la ragione (o forse, scopre qualcosa di inedito sulla sua natura e su quella dell'uomo "civilizzato" in generale). Il Congo è il possedimento privato di re Leopoldo II del Belgio, responsabile di infinite efferratezze nei confronti delle popolazioni locali, per la sua brama di caucciù, ed è il regno di Mobutu Sese Seko, "il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo", uno dei dittatori più longevi del Continente nero, insediato dalla Cia nel 1965, dopo l'eliminazione di Patrice Lumumba, e scalzato da Laurent Kabila, un oscuro signore della guerra appoggiato dai rwandesi, solo nel 1997. Il Congo è il paese delle enormi ricchezze, oro, diamanti, gomma, il prezioso coltan, indispensabile per fabbricare i microprocessori dei telefoni cellulari e dei pc (sono in Congo l'80% dei giacimenti mondiali di questa lega di columbite e tantalite), e delle enormi povertà, così scandalose ai nostri occhi.
Il Congo è il paese delle iperboli e delle stravaganze: pensiamo al mitico incontro di pugilato fra Muhammad Ali e George Foreman del 30 ottobre 1974, a Kinshasa, la capitale tentacolare, raccontato da Norman Mailer in uno dei più bei libri a carattere sportivo mai usciti, oppure pensiamo alla musica, alla rumba zairese, a star come Papa Wemba o Werrason, la cui carriera è inestricabilmente legata alle sponsorizzazioni della Heineken e al gigantesco mercato della birra Primus, per non dire dei più giovani, come Alesh, rapper di Kisangani con Lumumba del cuore. Il Congo è il paese dei record geografici: la più grande foresta pluviale del continente, un fiume secondo solo al Nilo, una biodiversità che, per quanto insidiata dall'uomo, continua a destare stupore e meraviglia (e a ispirare i romanzieri, uno per tutti Michael Crichton).
Il Congo, negli anni recenti, è stato anche teatro di una delle guerre più sanguinose combattuta sul pianeta dopo la fine della Seconda guerra mondiale (ha causato un numero di morti calcolato, all'epoca dell'uscita del libro, fra i 3 e i 5 milioni, quella che Madeleine Albright, nella sua veste di segretario di Stato USA nella seconda presidenza Clinton, definì "la prima guerra mondiale africana", per l'alto numero di paesi coinvolti (nove, dall'estremo Sud del Continente – Namibia, Zimbabwe, all'estremo Nord – Libia – passando per l'Angola, il Ciad, il Rwanda, il Burundi, l'Uganda). Una guerra causata inizialmente dai contraccolpi del genocidio rwandese del 1994, e protrattasi poi nel tempo – alcune regioni non sono ancora oggi pacificate – sostanzialmente per spartirsi il "bottino", in particolare nell'Est, nel Kivu, nell'Ituri. Del resto, molto tempo prima, all'epoca della guerra civile scatenatasi dopo l'ottenimento dell'indipendenza dal Belgio, in Congo aveva perso la vita nientemeno che un segretario generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld, nel corso di una temeraria missione di pace.
Come raccontare, dunque, una realtà del genere? Come raccontare una storia così densa, appassionante, per molti versi oscura, piena di intrighi, complotti, colpi di scena, appetiti insaziabili, corruzione elevata a sistema di vita e di governo, massacri impuniti? Come raccontare un paese che ha dato così tanto al mondo, pur essendo ancora sconosciuto ai più, se non altro perché il turismo, nel Congo, è una faccenda riservata solo a una sparuta pattuglia di intrepidi?
Van Reybrouck lo fa come i grandi scrittori, come un Saviano, ad esempio, che non a caso ha tessuto le lodi del libro. La struttura è quella del reportage a sfondo storico, su cui si inseriscono, come abbiamo detto, le testimonianze raccolte sul campo. A volte il linguaggio si impenna. Prendiamo questo passaggio, uno dei tanti dedicati dalla guerra scoppiata nel 1996: "I combattimenti erano un baccanale di sangue e di birra, un rituale dionisiaco in cui si correva, si catturava e si mordeva, una bisboccia con carne di capra arrosto, carne di ragazza tenera, urla, fumo di polvere da sparo, carne di ragazza che diventava comunque umida, te l'avevo detto, un'ebbrezza, una maledizione, un carnevale, un rovesciamento temporaneo di tutti i valori, una trasgressione consapevole, un piacere proibito, impregnato di angoscia, fremiti e umorismo, molto umorismo. La festa atroce di una vita fugace".
Altre volte l'analisi si fa puntuale, e dio solo sa quanto bisogno abbiamo di un po' di analisi sull'Africa, che ridimensioni i tanti luoghi comuni, uno per tutti quello del tribalismo, delle guerre sempre e soltanto etniche. "La violenza etnica dell'Ituri non era atavismo, né un riflesso primitivo, ma una logica conseguenza della mancanza di terre in un'economia di guerra al servizio della globalizzazione – e in tal senso annunciatrice di ciò che attende un pianeta sovrappopolato. Il Congo non è in ritardo sulla storia, è un precursore".
Un'amara profezia. Ma tra le pagine di quest'opera scorre anche dell'altro. Molto attaccamento alla vita, nonostante tutto. Nonostante, come commenta un venditore ambulante in una strada di Kinshasa, uno dei tanti testimoni intervistati dall'autore, "in Congo raramente la vita superi i 45 anni". Molta vitalità un poco saturnina, come quella che anima i tanti predicatori e profeti "di strada" o le pop band che si lanciano sfide dai palchi della capitale ma anche delle città europee, dove i ricchi congolesi hanno le loro ville e i loro conti in banca e dove i poveri approdano seguendo le vie più disparate. Molto cinismo da parte delle potenze che reggono le sorti del mondo, l'America, la Cina, in passato anche l'URSS, il Belgio, la Francia, senza contare le multinazionali i cui cartelloni pubblicitari infestano le città, Nestlé, DHL, Coca Cola, Vodacom. Molto impegno sincero e onesto da parte di persone spesso umiliate e offese – donne stuprate, uomini a cui è stato tolto tutto, famiglia, lavoro, averi, salute – che pure si impegnano testardamente, giorno dopo giorno, per far funzionare le cose, per cambiarle in meglio.
C'è anche, in fin dei conti, qualche segnale positivo: elezioni non certo risolutive, anzi (c'è un'eccessiva e un po' stolida fiducia dell'Occidente nel voto, sottolinea l'autore, come se questo fosse una bacchetta magica) ma che perlomeno sono state molto partecipate, l'arresto di qualche criminale di guerra, un impegno dell'ONU e finanche dell'Europa maggiore che in passato, una nuova generazione di congolesi che non vuole arrendersi alla violenza e alle prevaricazioni,
L'Africa, insomma. Il suo cuore pulsante. Verde, tenebroso, generoso. Indimenticabile.
David Van Reybrouck, Congo, Feltrinelli, 2014.
Negli USA: Congo, the Epic History of a People, HarperCollins, 2014.