Il titolo è suggestivo: Il desiderio di essere come tutti. È l'ultimo romanzo di Francesco Piccolo (Caserta, 1964), che ha appena vinto l' edizione 2014 del Premio Strega, un premio sempre più chiacchierato e contestato perché da anni monopolio dai maggiori gruppi editoriali italiani. Anche quest'anno le polemiche non sono mancate: particolarmente feroce quella del giornalista e critico Gian Paolo Serino sul sito Satisfiction, che ha fra l'altro smascherato la bizzarra "autocannibalizzazione" di un altro finalista, Antonio Scurati, il quale, nel suo romanzo Il padre infedele, in gara appunto per il premio, ha ripreso quasi alla lettera parte di una sua opera precedente (altri scrittori a volte lo hanno fatto, ad esempio Kundera, ma in questo caso, l'operazione è sembrata davvero incomprensibile). Sempre Serino aveva puntualmente pronosticato la vittoria di Piccolo, attribuendola in parte alle manovre delle case editrici – in questo caso Einaudi – in parte al solito familismo italiano ("chi ha lavorato a fianco di Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci assegnatrice del Premio Strega? Ma certo, la moglie di Piccolo: Gabriella d’Angelo", si legge sul blog del giornalista), in parte al tema "politicamente corretto" scelto dallo scrittore, 40 anni di storia della sinistra italiana, con al centro la figura dell'ex segretario del PCI Enrico Berlinguer, di cui quest'anno ricorre il trentennale della morte.
Fin qui la cronaca. Ma ai lettori de La VOCE le polemiche del mondo letterario italiano interesseranno fino a un certo punto. Ed allora, cosa dire di questo libro? Che in effetti è un libro piacevole, un libro riconducibile a quel filone fiorente che potremmo definire con qualche approssimazione non-fiction, a cavallo fra la memorialistica e la divulgazione storica. Piccolo, sceneggiatore cinematografico e autore televisivo oltre che scrittore prolifico, ha sempre avuto nelle sue corde un registro "basso", autobiografico, che rifugge dalle drammatizzazioni eccessive così come dall'eccessiva ricerca formale. Con questo registro, fra l'ironico e il crepuscolare, ha raccontato il post '68 in E se c'ero dormivo (altro grande titolo), così come lo stralunato approdo di un giovane italiano "alternativo di provincia" negli Stati Uniti in My name is Tanino, pellicola di Paolo Virzì del 2002 (fra le altre sceneggiature a cui ha collaborato quelle di Paz, Caos Calmo, Il Caimano, Habemus Papam).
La sua penultima opera letteraria, Momenti di trascurabile felicità, era un affettuoso elenco di pensieri e situazioni quotidiane, che richiama un po' un caso editoriale degli anni '90, La prima sorsata di birra del francese Philippe Delerm. Con questo stesso stile stavolta Piccolo ha preso di petto la politica italiana e il suo essere "comunista", nientemeno, ma in maniera totalmente diversa rispetto all'estremismo dannunziano di un Erri De Luca, per citarne uno.
Sfilano in questo libro tutti gli eventi che sappiamo: la stagione di Berlinguer e del Compromesso storico, dell'omicidio Moro e delle Brigate Rosse, fino a Prodi e Berlusconi, passando per gli anni '80 di Craxi. Ma sfilano come? I due aggettivi che Piccolo ha utilizzato per descrivere il suo romanzo, subito dopo la vittoria dello Strega, sono progressista e intimo, ed in effetti sono molto appropriati. Progressista come contrapposto a rivoluzionario, secondo uno schema che ritroviamo infinite volte nella storia della sinistra non solo italiana. E intimo perché qui la politica, una passione assoluta e totalizzante per Piccolo e tanti altri della sua generazione, è comunque filtrata potentemente dal privato, dalla dimensione personale, individuale (la partita di calcio fra Germania Ovest e Est, ad esempio, vedendo la quale l'autore decide di voler stare a sinistra, ovvero con i perdenti, gli ultimi, gli "sfigati").
Al di là delle polemiche, dunque, il libro di Piccolo si fa benvolere. Se potessimo paragonarlo ad una canzone ne sceglieremmo una di Francesco De Gregori, piuttosto che degli Area o dei CSI. Una canzone popolare, un filo malinconica, fra le meno ermetiche del suo repertorio, una canzone come La storia siamo noi, ecco. E tutto ciò a prescindere dalle opinioni politiche di ciascuno, naturalmente: chi scrive ritiene, tanto per dire, che Berlinguer, della cui personalità austera sentiamo senz'altro la mancanza, non sia stato l'innovatore che serviva al Partito comunista italiano per uscire dall'impasse e cambiare nome (soprattutto linea, oltre che nome) con un po' di anticipo rispetto alla caduta del Muro di Berlino.
La frase: "Il 22 giugno 1974, al settantottesimo minuto di una partita di calcio, sono diventato comunista".
Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti, Einaudi, 2014.