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February 23, 2014
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February 23, 2014
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Franzen: Chiacchierando con New York State

Marco PontonibyMarco Pontoni
Time: 3 mins read

Apriamo questa rubrica dedicata ai libri con un autore che non ha bisogno di presentazioni, Jonathan Franzen. Di libri che parlano della Grande Mela l’editoria italiana ne sforna un buon numero ogni anno, specie se leggi alla voce “guide turistiche” ( tutte che promettono di raccontare la vera New York, l’angolo insolito, il segreto dei segreti), ma i testi che mescolano cultura e humour – due caratteristiche fondamentali di questa grande metropoli – alla fin fine si contano sulla punta delle dita.

Di Franzen l’ultimo titolo disponibile è Further Away, (Harper Collins Publishers, 2012) pubblicato in traduzione italiana col titolo Più lontano ancora, da Einaudi. Un volume che è una raccolta di brevi saggi e reportage, il più famoso dei quali è L’isola più lontana, diario del viaggio compiuto dallo scrittore in una lontana isola al largo della costa del Cile per disperdervi le ceneri di David Foster Wallace, suicidatosi due anni prima.

libroL’aletta di copertina, nel presentare L'isola più lontana, parla di un viaggio “non privo di avventurose e quasi mortali complicazioni” – il che pare francamente esagerato per descrivere un’escursione in montagna in una giornata di brutto tempo (e qui è il montanaro che è in me a parlare); mentre non cita un altro dei titoli della raccolta, un breve testo delizioso, Intervista allo Stato di New York, in cui l’autore de Le correzioni e Libertà, due dei romanzi americani più importanti di questo scorcio di XXI secolo, racconta con un mix di ironia e disincanto il suo amore non solo per la città ma, appunto, per l’intero Stato, uno dei 50 degli USA. E per raccontare New York State, Franzen si imbarca in un'impossibile intervista allo Stato.

Ma come raccontare una realtà così complessa, mutevole, sfuggente? Il problema si pone fin dall’inizio della surreale intervista, con una “signora” (New York in persona) che è anche la più indaffarata delle 50. Tanto che l’addetta stampa suggerisce all'autore: “se fossi in lei penserei a 24 pagine di fotografie uniche di prim’ordine”. Ma a patto, beninteso, che il tutto sia pubblicato da una grande casa editrice.

Il reportage prosegue con lo “scrittore” (l’addetta stampa quando lo nomina lo mette proprio fra virgolette, e ci sembra di vederla, mentre muove significativamente gli indici) sballottato da un ufficio all’altro, per incontrare prima l’avvocato dello Stato di New York, stupito che Franzen – originario del Midwest – viva a Manhattan (“ho letto sul New York Times che tutti i grandi scrittori vivono a Brooklyn”), poi lo storico ufficiale dello Stato (“A nord: il New England puritano. A sud: le grandi piantagioni coloniali schiaviste. In mezzo: uno splendido porto in acque profonde”) e quindi persino il geologo (“Sono passati solo diecimila anni da quando mastodonti e mammut lanosi si aggiravano attorno a Bear Mountain e West Point”).

L’incontro agognato avviene solo alla fine, e naturalmente è più breve di quanto promesso. “Ti trovo in forma”, dice Franzen alla “signora”. Rimproverandole però che “adesso gira tutto attorno ai soldi, vero?”. La risposta è fulminante: “ È sempre stato così. Solo che eri troppo giovane per capirlo”.

In mezzo, fra le pieghe delle note biografiche seminate qui e là, quanto amore per la Big Apple! “Il mio primo giorno nella città di New York incontrai, in me stesso, la persona che volevo diventare”, confessa Franzen evocando il suo primo viaggio a Manhattan, a diciassette anni, per una gita assieme alla cugina Martha e altre tre ragazze, tre sorelle (“rimasi particolarmente colpito dal fatto che la sorella di mezzo era venuta in città senza scarpe. Ricordo che camminava scalza sul marciapiede rovente di Fifth Avenue (…). Non avevo mai visto tanta spavalderia, non l’avevo neppure mai immaginata”).

Non c’è niente da fare: possiamo leggere pacchi su pacchi di guide di viaggio, ma resteremo sempre a bocca aperta davanti a poche righe, ben pepate, di un grande narratore.

 

Jonathan Franzen, Più lontano ancora, Einaudi, 2012 (Edizione originale: Further Away, HarperCollins Publishers, 2012). Il testo Intervista allo Stato di New York è del 2007.

 

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Marco Pontoni

Marco Pontoni

Sono nato in Sudtirolo 50 anni fa, terra di confine, un po' italiana e un po' tedesca. Faccio il giornalista e ho sempre avuto un feeling per la narrazione. Ho realizzato video e reportages sulla cooperazione allo sviluppo in varie parti del mondo. Finalista al Premio Calvino, ho pubblicato il romanzo Music Box e, con lo pesudonimo di Henry J. Ginsberg, la raccolta di racconti Vengo via con te, tradotta negli USA dalla Lighthouse di NYC con il titolo Run Away With Me. Ho da sempre una sconfinata passione per gli autori americani, Lou Reed, l'Africa, la fotografia, i viaggi e camminare.

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