In principio fu un articolo per una rivista, Outsider, che fruttò al suo autore, il giornalista Jon Krakauer, specializzato in outdoor, che già aveva narrato la tragedia delle spedizioni commerciali sull'Everest, migliaia di lettere da tutti gli Stati Uniti. Dopo l'articolo venne un libro, pubblicato in Italia con il titolo suggestivo, Nelle terre estreme (Into the wild nell'originale). Il libro sembrava fatto apposta per parlare a quell'America profonda che ha sempre coniugato il suo bisogno di libertà con la wilderness, con l'andare, soli, nella natura, da London a Thoureau a Kerouac. Infine, nel 2007, è stato il film di Sean Penn, corredato dalla splendida colonna sonora di Eddie Vedder; nello stesso anno anche un documentario, The call of the wild.

La locandina del film di Sean Penn, Into the Wild
Persone che muoiono in montagna, per imprudenza o per sfortuna, persone che perdono la vita praticando sport estremi ce ne sono ogni giorno e in ogni parte del pianeta: ma la vicenda del giovane Chris McCandless, alias "Alexander Supertramp", morto in Alaska nel settembre del 1992 dentro a un vecchio autobus abbandonato nel parco naturale del Denali, ha assunto, con il passare degli anni, dimensioni planetarie.
Per questo la notizia, diffusa in questi giorni, che il "magic bus", come McCandless l'aveva ribattezzato, potrebbe essere rimosso, è davvero una notizia. Le ragioni sono legate alla sicurezza: troppi esploratori improvvisati lo hanno eletto a meta dei loro pellegrinaggi, e del loro omaggio postumo alla leggenda del giovane vagabondo nato nel 1968 in California, da una famiglia normalmente benestante, laureato con una tesi sull'Africa, che prima di morire in Alaska donò tutti i suoi risparmi all'associazione Oxfam, fece sparire le sue tracce e si diede ad un felice vagabondaggio negli States e nel Messico settentrionale, parte in auto, parte in canoa, e parte in autostop, incontrando molte persone sul suo cammino e lasciando in ognuna un buon ricordo di sé (un uomo, anziano e solo, aveva addirittura pensato di adottarlo).
Come la tomba di Jim Morrison a Parigi e tanti altri luoghi del genere, su cui è passata l'ala della morte, anche la carcassa del vecchio scuolabus, usato originariamente per trasportare braccianti a una miniera di antimonio poi chiusa, è diventata, dunque, a suo modo, il simbolo di un'inquietudine, di un "malessere della civiltà" (generazionale?), per molti incomprensibile.
Lo racconta bene Krakauer nel suo libro, uscito nel 1997: dopo la pubblicazione del primo articolo sulla vicenda, arrivarono in redazione un diluvio di lettere che trattavano Chris McCandless per ciò che sembrava agli occhi di chi nelle terre estreme c'è nato e cresciuto, ovvero uno sprovveduto. Per le genti dell'Alaska, ma anche di chi della wilderness ha fatto una professione, il ragazzo semplicemente era un altro ingenuo emulo di Jack London, partito per le foreste gelate senza nemmeno delle scarpe adatte (l'ultimo paio glielo regalò l'automobilista che portò McCandless fino all'inizio dello Stampede trail, il sentiero che poi seguì per inoltrarsi nel parco del Denali). Senza contare che, alla fin fine, nel suo cercare la natura selvaggia il giovane non si era nemmeno spinto così lontano da una strada asfaltata, distante solo qualche giorno di cammino rispetto all'autobus dove decise di allestire il suo "campo base" e trascorrevi l'estate.

Gli interni del bus in cui morì Chris McCandless
Da ultimo, le critiche riguardavano le modalità della sua morte, dovuta a due tragici errori: il primo l'avere sottovalutato che il Teklanika, il fiume che aveva attraversato per addentrarsi nella foresta in primavera, quando era ancora gelato, in autunno era gonfio d'acqua (fu questo a costringere McCandless a prolungare la sua avventura oltre il previsto); il secondo, essersi avvelenato con dei semi – di patata selvatica o Hedysarum alpinum – raccolti nel bosco e scambiati per commestibili, basandosi sulle illustrazioni di un manualetto che aveva con sé. Va detto per completezza di informazione che se lo stesso Krakauer, basandosi sul diario del giovane, aveva inizialmente pensato ad un errore, l'avere scambiato cioè una specie commestibile per una tossica, molto simile, in un secondo tempo – come scritto anche in un articolo pubblicato dal New Yorker nel settembre 2013 – sarebbe giunto alla conclusione che McCandless non si sbagliò, perché i semi da lui consumati, all'epoca del suo decesso, non erano classificati come pericolosi.

Chris McCandless, morto in Alaska nel settembre del 1992
La vera domanda, comunque, è: perché la storia di Alexander Supertamp ha stregato milioni di persone nel mondo? Cos'è che i veri montanari, i veri cacciatori, i veri boscaioli, i veri esploratori, non capiscono? Semplice: la vera natura di Chris McCandless, il suo essere stato una nuova incarnazione, ingenua fin che si vuole ma anche vera e sincera, di quel rifiuto della civiltà e dello stato che da sempre è l'altra faccia del benessere, della sicurezza, della legge, dello sviluppo. McCandless è stato anche, nella sua breve vita, e senza averne coscienza, a suo modo un filosofo di quello che oggigiorno sarebbe il grande no per eccellenza, quello alla tecnologia: nello zaino portava con sé i libri di Tolstoj, non gps, abbigliamento tecnico o altri strumenti con cui gli escursionisti si cautelano da possibili incidenti. In lui la dimensione del viaggio "esteriore", nello spazio geografico, coincideva con quella interiore, che porta o dovrebbe portare, quantomeno per uno spirito romantico, ad una più profonda conoscenza di sé. Al tempo stesso, nulla poteva esservi di più estraneo in lui della ricerca del record, del primato, e quindi della fama, che sta alla base di tante altre imprese del genere nella natura selvaggia.
Vedremo ora se le richieste della popolazione locale di rimuovere i resti dell'autobus con un elicottero – per prevenire altri incidenti dopo quello che è già costato la vita ad una escursionista svizzera – sarà accolta: quel che è certo è che l'inquietudine di cui Chris McCandless è assurto a simbolo, nel bene e nel male, è destinata a durare, e naturalmente ad incarnarsi, prima o poi, in qualche altra figura di vagabondo solitario come le tante che popolano l'immaginario americano, e per estensione del mondo.