A novembre celebreremo mezzo secolo dall’assassinio di John F. Kennedy. Sono attesi discorsi elogiativi e sprechi di retorica su cosa avrebbe potuto ancora fare per gli Stati Uniti e il mondo quel giovane presidente in attesa del secondo mandato, e quale avrebbe potuto essere la storia degli anni ’60 con lui vivo. Nessuno darà risposte definitive agli interrogativi riguardanti la sua fine. Eppure in tanti siamo convinti che manchi la verità sui mandanti di quella morte che, con frettolosa quanto inattendibile versione, la commissione Warren attribuì al fuoriditesta Lee Oswald, subitaneamente assassinato da Jack Ruby.
Su quell’incancellabile macchia del Novecento americano, prova a fare chiarezza il recente libro di Stefano Vaccara, Carlos Marcello, il boss che odiava i Kennedy, pubblicato in Italia da Editori internazionali Riuniti (negli Stati Uniti il libro uscirà ad ottobre, edito da Enigma Books, tradotto da Robert Miller e con il titolo: Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination). Vaccara, reporter di razza in America Oggi e ora Direttore della testata online La Voce di New York che, bontà sua, ospita queste note domenicali, è docente alla New School e alla City University di New York, Lehman College. Siciliano, naturalizzato newyorkese, non ha mai saputo o voluto tagliare il cordone ombelicale che lega la più grande isola del Mediterraneo alla “little Italy” che i nostri espatriati hanno costituito nel nuovo continente. Il suo libro attinge a quel cordone, il che significa capacità di comprensione dei personaggi chiamati alla ribalta (ad iniziare da atteggiamenti e gergo), e scarso distacco nel giudizio sui fatti loro attribuiti. Tra le righe ribolle la passione per una terra che mal ripaga l’amore dell’emigrato: non è casuale che Vaccara si sia specializzato in studi di mafia, e tenga corsi dedicati alla mafia. Tuttavia il suo non è un libro “a tesi”, dato che il mestiere di giornalista e docente porta l’autore a corroborare con fonti e documenti la versione dei fatti.
Robert Kennedy e John Kennedy interrogano Carlos Marcello nel 1959 durante le sedute della Commissione del Congresso che indaga sul Crimine Organizzato
Carlos Marcello era nato Calogero Minacori da genitori di Ravanusa, in provincia di Agrigento. Immigrato da bambino, sente da subito la vocazione al crimine, e costruisce pezzo dopo pezzo una carriera che lo porterà negli anni ’50 al vertice della mafia di New Orleans, con propaggini in altre zone, certamente nel Texas. Bob Kennedy, che identifica nel crimine organizzato l’Enemy Within da battere, come scrive sulla copertina di un suo libro ancor prima che da Attorney General possa scatenargli contro i mezzi repressivi dello stato, lo punta e prova, anche con mano forte, a espellerlo dagli Stati Uniti visto che non ha nazionalità statunitense. Nella ricostruzione di Vaccara, il boss interpreta l’ultimo atto della partita come una questione di vita o di morte e sa di poter vincere solo se si disfa del presidente, garante e tutor delle azioni che il fratello porta avanti dal ministero della Giustizia. “Bisogna tagliare la testa e non la coda, affinché il cane non morda più”, dice in giro Marcello un anno prima di Dallas. In vecchiaia, mentre è finalmente in carcere a scontare qualche anno di pena, arriverà a confidare il delitto a un supposto amico di cella, secondo informative riportate in rapporti ufficiali.
L’autore, rispetto a precedenti pubblicazioni su Marcello e Kennedy, focalizza al meglio le tre condizioni che avrebbero consentito il delitto “eccellente” della mafia di New Orleans: movente, mezzi, opportunità. Del movente si è detto, e per i mezzi basti pensare che Marcello era a capo di un impero finanziario superiore ai 2 miliardi di dollari di allora. In quanto all’opportunità il boss capì che nell’establishment non mancava chi voleva la fine di quei “cornuti” di Kennedy, essi stessi, con il patriarca Joseph, in business con la mafia.
C’è una parola chiave nel libro inchiesta di Vaccara: “patsy”, l’utile idiota, vittima designata. Lo fu Oswald e in qualche modo lo stesso Ruby. Sembra di capire che possano divenirlo i mafiosi, quando si fanno giocare dai politici ai quali rendono servigi.
Guarda anche la video intervista a Stefano Vaccara a cura di Fabio Russomando – ANSA
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