Cercasi editore americano coraggioso.
Si riuscirà mai a trovare un publisher a stelle e strisce o, comunque, di lingua inglese temerario al punto di pubblicare la traduzione di un libro davvero provocatorio e molto “politically incorrect” ma che sta avendo successo in Italia?
Speriamo proprio di sì perché l’ultima fatica di Pierangelo Dacrema, che farà inarcare parecchie sopracciglia in questa stagione di salutismo spinto e intollerante, è in realtà un inno alla tolleranza. Da far conoscere in tutte le lingue, soprattutto nell’universale esperanto del Terzo Millennio. Certo, da subito, il titolo è di quelli fatti apposta per non passare inosservati: «Fumo, bevo e mangio molta carne» (Editore: Excelsior1881, pagine 243, euro 14.50). E le spiegazioni anche autoironiche che l’autore dà per giustificare i suoi tre vizi principali – la sigaretta accesa una via l’altra, l’apprezzamento convinto nei confronti dell’alcool con dissertazione semiseria sulla “filosofia del Martini” e la passione per la bistecca «sanguinolenta, anzi spesso quasi cruda, appena scottata un attimo» – sembrano studiate ad arte per irrigidire i crociati antifumo e gli adepti della nuova religione vegetariana e della sua deriva estremistica vegana. Se poi si pensa che nel testo c’è la “Lettera a un maiale” in cui si spiega al fornitore per eccellenza di salsicce e prosciutti il perché di un amore viscerale nei suoi confronti, mentre un’altra lunga missiva è indirizzata a Jonathan Safran Foer, lo scrittore statunitense che inorridito dalle condizioni di alcuni animali da macello, ha fatto voto assieme alla moglie di non mangiare più carne; allora si capisce perché varie televisioni italiane si siano impadronite di Dacrema opponendolo in infuocate trasmissioni agli accesi sostenitori del pallido mangiar verde e agli oppositori del tabacco in ogni sua forma.
Prima di riferire le ragioni di questo “provocatore” è necessario, però, presentare il personaggio. La sorpresa iniziale è che a vederlo e sentirlo parlare ci si domanda come mai i suoi dichiarati – e comprovati – eccessi non lascino il segno. Ci si aspetterebbe un uomo grasso o quanto meno corpulento, gli occhi un po’ spenti e la voce cavernosa o affannosamente sibilante, l’aspetto un po’ trasandato di chi è preda di una passione insana e assolutistica. Invece ci si trova davanti un bel signore asciutto di mezza età, dall’eleganza casual ma in realtà attenta e curata, lo sguardo allegro e vivace, la parlata piacevolmente sciolta e, soprattutto, magro e in forma, i lineamenti del volto anche un po’ marcati da segaligno, le gote e il giro vita senza alcun segno di pinguedine. Evidentemente, beato lui, è baciato dalla fortuna di un metabolismo d’acciaio Ma c’è un’altra sorpresa. Pierangelo Dacrema, piacentino di nascita, è un professore universitario di economia all’Università della Calabria, dopo avere insegnato negli atenei di Bergamo e Siena, nonché nei sancta sanctorum delle milanesi Cattolica e Bocconi.
La sua materia di specializzazione è francamente ostica per non dire paludata e noiosa: economia degli intermediari finanziari. Meglio non sapere esattamente di che si tratta, in fondo se ne può fare a meno. A lui, comunque, deve piacere sul serio perché ci ha scritto vari libri. Tutti accolti positivamente negli ambienti degli addetti ai lavori, ma nessuno che abbia provocato l’affollamento nelle librerie.
Nulla a che vedere con la frenesia scatenata da questa sua ultima fatica, non a caso già alla seconda edizione a poche settimane dall’uscita. Perché in questi tempi difficili e sospettosi, «un inno alla libertà individuale» (giudizio di Repubblica) non è che si trovi dappertutto.
Ad avvertire che cosa si andrà a leggere ci pensa già il risvolto di copertina: «È un libro controcorrente che, in un mondo ossessionato dal “vivere sano” lancia un grido di protesta di chi vuole ancora mangiare, bere e fumare come una volta. È una requisitoria serrata contro i talebani della salute, ciarlatani dell’ambientalismo e animalisti demagoghi». È un richiedere comprensione reciproca, lasciando a ognuno i propri gusti, purché nell’ovvio rispetto dell’altro e nel non danneggiarlo. «Se non che, per molti vegetariani diventa irresistibile la tentazione di cercare di convertire gli onnivori, ovvero convincerli a cambiare abitudini». Ma, paradossalmente, è anche la confessione di un appassionato selettivo e con i gusti precisi: «Non mi piace la bistecca di angus ma la chianina. E non amo la caccia». Allo stesso modo, il professore denuncia senza alcuna esitazione gli orrori tuttora perpetrati in molte stazioni di macellamento e negli allevamenti intensivi, anche negli Stati Uniti. E sul fumo, ormai argomento tra i più tabù, tira fuori dati che faranno imbestialire molti soprattutto i “pentiti” ma da cui risulta che «si vive di più nei paesi dove si fuma di più». Dacrema spiega anche in maniera poetica e romantica «perché preferisco fumare». Tante le motivazioni, ma ne basta una: «Mi ricordo di certe sigarette fumate in solitudine, dopo che avevo baciato una ragazza. I momenti successivi erano quasi più eccitanti di quelli precedenti». Qui, semmai, c’è un’obiezione su cui si può concordare fatta proprio dall’autore della prefazione, Jody Vender, altro economista e amico di Dacrema: perché sostituire “Venere” con la carne?
Già, è vero: i tre vizi capitali sono notoriamente Bacco, Tabacco e, appunto, Venere. «Ma mi sono risposato da poco (ndr: una figlia appena nata e altri tre, ormai grandi, dal precedente matrimonio). Ho preferito evitare». Come dargli torto?
Ma quello che rende questo libro davvero una perla di conciliazione in un mondo sempre più massimalista è il capitolo finale: “Il raro frutto della tolleranza”. Perché se «il seme del vizio è diffuso, il frutto della tolleranza è raro». E alla fine può anche risultare dannoso per chi se ne priva. L’interrogativo è appena accennato ma è saggiamente perfido: «L’intolleranza porta alla solitudine? Può darsi. Certamente limita l’esperienza». Sì, ci vorrebbe davvero un editore coraggioso anche oltre Atlantico. Ad esempio per dire in inglese al sindaco di New York, Michael Bloomberg, che se è giusto non fumare in ambienti chiusi o in presenza di bambini, è invece antidemocratico e illiberale oltre che non molto intelligente (l’autore di queste righe si assume la responsabilità del giudizio) impedire di godere di una delle meraviglie di questo pianeta, il Central Park, fumando una sigaretta o un sigaro. In beatitudine e senza inquinare, visto che si tratta di un enorme spazio verde.