Se n’è andato il primo giorno di primavera di questo incomprensibile 2012, Tonino Guerra. Aveva appena compiuto 92 anni. Una bella età. Commossa cerco di capire la morte con la chiarezza e la profondità dei sentimenti di un bambino. Capire che un giorno è morta mia madre e che per me, come per quanti ho amato e stimato, la morte arriverà non da un bosco fatato o da un agguato, ma dall’aria, dalla vita, dalle pareti domestiche e non ci sarà modo di sfuggirle. Forse ricordare quello che non c’è più e spendere attentamente la vita con gli altri può essere una risposta al vuoto che ogni morte cerca di trascinare dietro di sé.
E’ morto nel giorno in cui il mondo, tutto il mondo dedicava la sua attenzione alla poesia. “Triste noticia”, mi ha scritto il premio nazionale di poesia, lo spagnolo Juan Carlos Mestre, “ma in un luogo dell’universo non così lontano una stella porterà il suo nome”.
Ho scoperto Tonino Guerra molti anni fa sulle pagine del quotidiano romano “Il Messaggero”, dove parlava ai lettori della Russia… Ricordo la preghiera di Vania. Quelle pagine erano incontri unici: il suo sguardo trafiggeva l’anima. Scoprivamo che questa voce era venuta per noi. Poi sono arrivati i film e via via la ricerca laboriosa dei suoi libri.
Nessuno come Tonino Guerra sapeva guardare la realtà. E la vedeva diversa da come la vediamo tutti noi. Nel “Libro delle chiese abbandonate”, composto di racconti poetici, scrive “A Pietra Rubbia c’era una campana che suonava senza che ci fosse nessuno che tirasse la corda… La storia della campana che suonava da sola durò un’estate. Poi non suonava più neppure tirando la corda: si era inchiodata… Nel frattempo la gente del posto è andata in giro per il mondo e lassù sono rimasti soltanto i vecchi… La chiesa è piena di crepe e la porta è chiusa col lucchetto. La domenica i vecchi si mettono in ginocchio attorno alle pareti e urlano i peccati dentro alle fessure in modo che vadano a finire sopra l’altare dove ci sono un cucchiaio, un candeliere rovesciato e un uovo di gallina. Un bambino che vive col nonno fra tutti quei vecchi, la domenica anche lui si mette in ginocchio davanti a una crepa, ma si mette subito a piangere perché non trova i peccati. Per fortuna suo nonno è lì vicino e sottovoce gliene passa qualcuno in prestito”.
Dopo aver vissuto a lungo a Roma, era tornato in Romagna negli anni Ottanta, poi dall’89 si era stabilito a Pennabilli (ne sarebbe diventato cittadino onorario), "dove mio padre portava frutta e verdura, prima con i cavalli poi con un piccolo camion che, tornando a Santarcangelo, riempiva di carbone e legna". Continua con la poesia e con le parole per i film, con le sceneggiature, ma si dedica anche all’architettura del paesaggio. Disegna fontane, piazze, scalinate non solo per Santarcangelo ma per tutta la sua terra. Dipinge, crea installazioni artistiche – giardini-museo e mostre permanenti – che ribattezza "I luoghi dell’anima", con quei nomi che sono titoli di poesie, "L’orto dei frutti dimenticati", "Il rifugio delle Madonne abbandonate", "La strada delle meridiane", "Il santuario dei pensieri", "L’angelo coi baffi", "Il giardino pietrificato", "L’albero della memoria".
Un amore infinito, quello per la sua terra, della quale diceva "mi piace se piove o anche quando la nebbia copre completamente la valle del piccolo affluente del Marecchia, il Messa, e io ho l’impressione di vivere con me stesso".
Piano piano aveva modificato questo paesino di poche anime sull’Appennino riminese che tanti nel mondo avevano imparato a conoscere grazie alla sua imprescindibile presenza. Sulle rive del Marecchia una sera d’agosto del 1998, al chiaro di luna, seduti ad un tavolo due poeti sotto una lucina fioca leggono i loro versi. Uno di loro è Tonino Guerra. Ricordo tutto per aver cercato di fermare quel momento con dei gessetti a olio su un cartoncino. Purtroppo non ricordo neppure un verso. Tutta l’emozione nasceva dal luogo e dall’incontro con il poeta. La sabbia calda e umida del greto sotto i nostri piedi, una serie di barchette di carta con una candelina accesa luccicavano sull’acqua e in lontananza il cucuzzolo di San Leo era tutto punteggato di luci. In cielo al di sopra del buio la luna piena. Ricordo l’odore fresco dell’acqua del fiume, il silenzio trepidante di attesa di quanti erano lì con me. Poi più niente.
Poche ore prima c’era stato un pranzo nel giardino retrostante la casa di alcuni amici del poeta; e lì sulla tavola imbandita insieme ad alcuni ospiti russi, agli amici di sempre, al suo editore Pietroneno Capitani che ci aveva accompagnato all’incontro, Tonino Guerra preparava la serata. Conversava animatamente, redarguiva precisava, allegro. Uno dei commensali mette sul tavolo una rivista in lingua russa che in copertina ha un bel disegno di Fellini ‘Le miel’ dice la scritta. Timidamente racconto tra il silenzio dei presenti di possedere un libro con quella copertina comprato al Beaubourg di Parigi qualche tempo prima.
“Lei avrà un’amica che vive lì” mi dice Tonino Guerra, “le chieda di cercare per me questo libro. Io non l’ho mai avuto”. Ho passato un intero mese a cercare nelle numerose librerie di cinema di Parigi ‘Le miel’ testi di Tonino Guerra disegni di Federico Fellini, ma niente, del libro più nessuna traccia. Così il 16 marzo del 2000 durante i festeggiamenti per l’ottantesimo compleanno di Tonino Guerra al Teatro Supercinema di Santarcangelo di Romagna consegno a Tonino Guerra la mia copia di ‘Le miel’ legata con un nastrino di raso rosso. E’ passato tanto tempo e probabilmente lui non ricorda più la richiesta, mi sorride, mette in tasca il libricino e durante la serata di omaggi e riconoscimenti lo vedo sul palco che gira tra le dita il nastrino rosso con il quale era legato il libro.
Ricordo Tonino Guerra e vorrei che queste parole lo trattenessero ancora un po’ con i lettori del giornale. Vorrei che quanti lo hanno letto, visto, conosciuto, riconosciuto, tornassero ad incontrare i suoi personaggi di carta e di celluloide, ogni tanto. Ma mentre i prati di Roma sono pieni di piccole margherite bianche, ogni minuto un fiore nuovo, la primavera si porta via un altro grande scrittore, Antonio Tabucchi. “Sostiene Pereira” nell’immaginario di tanti. Triste primavera questa del 2012!
Discussion about this post