Non c’è niente di più romantico di un romanzo che, ai tempi della rivoluzione 2.0, rispolvera i vecchi canoni di comunicazione, quella epistolare, così lontana nel tempo. Una storia d’amore d’antan che si nutre del profumo delle lettere che prendono il posto di veloci email e di brevi messaggi sul cellulare. Un racconto nostalgico che ci riporta lontano nel tempo anche se ambientato ai tempi odierni in due metropoli cosi lontane ma cosi vicine come Milano e New York.
«P.O Box Love” – A Novel of Letters» (St. Martin’s Press, New York, 2012, $ 24.99) è il nuovo romanzo di Paola Calvetti, giornalista e scrittrice italiana, che ha scelto il giorno di San Valentino per far conoscere al pubblico americano la storia di Emma e Federico, i due protagonisti che si rincontrano dopo 30 anni grazie ad un biglietto lasciato da Federico, brillante architetto a New York, che Emma, libraia di Milano, ha trovato in una delle pagine di un libro. I due, iniziano una fitta corrispondenza a distanza e vivono la loro storia d’amore separati da un oceano. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
A sinistra la scrittrice Paola Calvetti
Da dove nasce questo romanzo, cosa ti ha ispirato?
«Da bambina ho sempre sognato di fare la libraia e forse questo desiderio è affiorato quando ho iniziato a scrivere il romanzo: una libraia protagonista mi sembrava perfetta per un romanzo. Poi il resto è venuto… da solo, piano piano io lascio affiorare i protagonisti, fino a quando il romanzo non mi è “venuto incontro” da solo. Federico doveva essere un architetto? Ecco che mi capita, surfando sul web, un articolo sulla Morgan Library… quando l’ho visitata e studiata e respirata… non l’ho più lasciata. In generale volevo scrivere una storia in cui non si ha paura dell’amore, anche se i personaggi (da Emma a Federico, da Alice, la trentenne assistente libraia a Mattia, il figlio diciottenne), sono molto realistici, veri, accessibili. Il sogno di Emma e Federico, ciò che è accaduto a loro, può succedere a chiunque».
Pensi che la scelta di una storia d’amore epistolare ai tempi di face book sia una scelta romantica o anche un bisogno di ritornare ad un modo di comunicare che ormai è diventato sempre più raro?
«Penso proprio di sì. Durante i miei “book tours” ho incontrato molte persone che amano scrivere lettere a mano. Non è così raro. Io uso molto facebook, e-mail, Goodreads e altri social network, ma quando devo scrivere una lettera importante, la scrivo a mano, la infilo in una busta e la imbuco. Il piacere di aspettare una lettera, poi, è impagabile e sono sicura che molti ne hanno nostalgia…».
Perché hai deciso di ambientare il romanzo tra Milano e New York? In che misura ti appartengono le due città?
«Milano è la città dove sono nata e dove vivo. New York è una città che amo e conosco bene. Ci vado almeno due-tre volte l’anno: impossibile stare senza New York. Sceglierla per il romanzo è stato un obbligo del cuore e della trama: Federico è il braccio destro dell’architetto Renzo Piano per il restauro della Morgan Library e dunque non poteva abitare che a New York. E’ stata una gioia scrivere alcune pagine direttamente nei luoghi del romanzo, scrivere nei bar, alla Barnes&Noble di Union Square, adattare a scenario alcuni dei luoghi che più amo in quella città: da Paley Park a Greenacre Park e poi i caffé e, ovviamente, quel gioiello della Morgan!»
Emma sembra essere una donna di altri tempi, con una visione dell’amore d’antan. Esistono secondo te ancora oggi donne cosi e soprattutto storie d’amore come queste?
«Potrei risponderle come disse Flaubert di Madame Bovary “Emma c’est moi!” C’è molto di me in quel personaggio… Certo che esistono donne così, io ne conosco… e poi la storia d’amore fra Emma e Federico è una storia che potrebbe succedere a chiunque. Non sono eroi, sono personaggi realistici, così come Alice e Mattia».
L’autore del libro si nasconde spesso dietro uno dei suoi personaggi. Vale così anche per te?
«Sì. Non ho vissuto un amore così, ma parecchio della psicologia, delle manie e dei difetti di Emma… sono i miei! E poi ci sono sempre pezzi di un autore nei suoi romanzi, non credi?».