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December 4, 2011
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INTERVISTA A MARIO CALABRESI/ Cosa tiene accesa l’Italia

Erica VagliengobyErica Vagliengo
Mario Calabresi

Mario Calabresi

Time: 11 mins read

 Se pensate che in Italia la meritocrazia non esista, fatevi un giro in quel di Torre Pellice (paese di 4.716 abitanti in  provincia di Torino e centro principale della Chiesa Valdese italiana) al Collegio Valdese,  che ospita alcuni degli alunni più meritevoli e capaci del Bel Paese. Durante l’inaugurazione dell’anno accademico, in una sala sinodale stracolma, il preside Canale annuncia che da quest’anno partiranno anche due ore settimanali di musica, in questo liceo sempre più vicino agli standard europei, sempre più distante dal sistema Italia. Poi lascia la parola a Mario Calabresi, direttore de La Stampa, uomo empatico e  di buon senso. Lui esordisce  con un "State dentro internet, ma mantenete uno spazio fuori, che vi farà da pila. Non siate schiavi della velocità e del multitasking, ma siate capaci di fare una cosa per volta. Scoprirete così che ogni cosa ha il suo valore se eseguita dandogli la giusta attenzione.”  Al termine del suo discorso, un applauso sentito dalla platea. Poi ci si trasferisce tutti nel parco del Collegio per una merenda ricca di torte, dolcetti e salatini preparati a mano. Qui riesco ad intervistare Calabresi: undici domande serrate per altrettante risposte serrate, inquadrando un’anomalia di Paese che, nonostante tutto, ha speranza e crede ancora nei sogni.

 Buongiorno Direttore. Dopo aver letto i tuoi libri viene da pensare che abbiamo bisogno di persone come te, per riconciliarci con un’Italia esausta che non regala più spazio per sognare. Sei d’accordo?

“Credo davvero che l’Italia sia migliore di quella che viene raccontata, specialmente all’estero, così come gli italiani siano migliori di chi li rappresenta. E’ vero, in giro prevale un grande senso di stanchezza, ma, per contro, è pieno di persone appassionate, che fanno una piccola parte e sono poi quelle che tengono insieme la nazione, nonostante tutto”.

  Come potremo uscire da questo pantano, allora?

“E’ importantissimo partire dalle scuole, dagli studenti, restituendo loro l’idea che il futuro è una cosa possibile, diffondendo l’idea americana che il destino è nelle tue mani,  accettando la sfida di migliorarsi sempre, cercando di coronare un sogno, un desiderio, una passione. La politica, dal canto suo, dovrebbe valorizzare le energie migliori, assecondando la creatività e le idee originali che non rientrano negli  schemi, anziché cassarle”.

 

Passiamo ad  una domanda legata strettamente a te: perché hai voluto diventare un giornalista?

“Perché sono curioso, mi piace incontrare le persone, ascoltare le loro storie e raccontare ciò che ho capito e osservato”.

 E il non usare il registratore quando intervisti… è un vezzo?

“Uso il taccuino e non il registratore perché davanti al microfono gli intervistati si bloccano, sono meno spontanei. Inoltre prendere appunti ti permette di selezionare subito le notizie più importanti, quelle che ti colpiscono”.

  Dal Moleskine alla televisione, Hotel Patria (andato in onda in estate su Rai Tre): quale delle storie riportate ti ha  colpito maggiormente?

“La storia che ho più nel cuore è quella delle migliaia di vittime – fra morti e contaminati – causate dall’Eternit (la fabbrica di amianto) in particolare nell’area di Casale Monferrato (in Piemonte). Fra le molte, in particolare una storia drammatica, di una donna ora ottantenne che ha perso cinque famigliari, ma che con grandissimo coraggio e fiducia nella vita e nella giustizia, si batte per assicurare il risarcimento alle vittime”.

 

Facciamo un passo indietro: nonostante i suggerimenti di mettere il tesserino nel cassetto del comodino e di dimenticarlo lì per cercarsi un lavoro serio, sei andato avanti. Dove hai trovato la forza?

“Il punto è questo: bisogna provarsi e mettersi in gioco. Non è detto che ci si riesca sempre, anzi, molte volte si fallisce, ma rinunciare per rimanere delusi è il più grande errore che si possa fare perché un sogno, anche se poi irrealizzato, ti tiene vivo e ti dà la forza di andare avanti anche nelle difficoltà”.

  Sicuramente. Perché "La fortuna non esiste?"

“Perché, come dice una frase che viene attribuita a Seneca: "La fortuna non esiste. Esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione". Penso che nella vita di ognuno ci siano delle occasioni e che la fortuna sia che le persone si fanno trovare preparate a cogliere al volo queste occasioni”.

 Parlando di giornali, invece… da più di due anni sei il direttore de La Stampa. Che tipo di giornale è diventato?

“E’ un quotidiano che cerca di approfondire le notizie, interessato alle vite delle persone. Ci sono meno dibattiti politici e più vita reale”.

Com’era la vita newyorkese quando lavoravi nell’ufficio in cima ad un grattacielo sulla Madison?

“Era bella.  New York mi piace moltissimo, è la mia città del cuore. Il mio posto preferito è Gran Central Station. Avevo la fortuna di lavorarci vicino e quando per esempio mi chiamavano per dirmi "Per il tuo pezzo non c’è più spazio", ovvero la massima delusione per un giornalista, andavo fino a Gran Central, mi facevo una passeggiata lì e poi prendevo un panino all’Oyster Bar per tirarmi su il morale”.

Qualche ricordo dell’università a Boston, dove hai conosciuto Stefano Vaccara, il nostro editor?

“Mi ricordo di quando Stefano nel 1994 mi accompagnò ad intervistare Arthur Schleinger jr. (lo storico già consigliere del Presidente Kennedy) per la mia tesi di laurea. Visto che era la mia prima intervista in America e in americano (ovviamente) ero molto spaventato e chiesi a Stefano di accompagnarmi. Alla fine andò molto bene”.

Spingendo la notte più in là è servito a te, ma anche alle tante famiglie delle vittime del terrorismo. Perché, a tuo avviso?

“Perché ha riconosciuto la sofferenza, il dolore e la mancanza che il terrorismo ha portato. In Italia ci si è occupato spesso dei terroristi e delle loro ragioni, questo libro invece ha riconosciuto il grande vuoto e la grande sofferenza delle vittime. E per me questa è la cosa più importante”.

 ***

 

Mario Calabresi, 41 anni,giornalista, scrittore, direttore de La Stampa dalla fine di aprile 2009. Per il quotidiano torinese ha raccontato l’11 settembre 2001 dagli Stati Uniti. L’anno successivo è rientrato in Italia, a La Repubblica come caporedattore centrale e dal 2007, sempre per lo stesso giornale, è ritornato in America per diventare corrispondente da New York. Ha vinto diversi premi nell’ambito del giornalismo e scritto tre libri di successo,”Spingendo la notte più in là”; “La fortuna non esiste” e “Cosa tiene accese le stelle,”  tradotti anche all’estero.

Si ringrazia per la collaborazione la signora Gioia de La Stampa e il preside del Collegio Valdese, Elio Canale (http://www.collegiovaldese.org).

 

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