Corre sul filo della memoria il romanzo di Joanna Clapps Herman «The Anarchist Bastard – Growing Up Italian in America» (Suny Press – joannaclappsherman.com), un “memoir” ricco di storie che si snoda attraverso i ricordi dell’autrice. figlia di emigrati della Basilicata, cresciuta a Waterbury (nel Connecticut). La Clapps, in questo libro, racconta con precisione e passione, la sua infanzia, la sua giovinezza a New York e la sua maternità. Un racconto intimo e allo stesso tempo corale che traccia un affresco di quella che fu l’emigrazione italiana in America negli anni Cinquanta. Un ritratto storico e sociale che mostra il passaggio dalla prima alla seconda generazione di emigrati, un passaggio non privo di contrasti tra il bagaglio di valori del Sud d’Italia e la cultura dominante del Nuovo Mondo. Joanna Clapps Herman mostra il suo affetto per la sua famiglia e rende omaggio alla sua terra di origine, la Basilicata, anche attraverso l’uso nel testo di termini in dialetto lucano. Momenti di vita quotidiana si alternano alla descrizione di stati d’animo che accompagnano le diverse fasi della vita della Clapps. A dispetto del titolo, nel libro non c’è alcun sentimento di rifiuto o contrasto con i valori della famiglia di origine. Gli stessi valori di cui l’autrice ha fatto tesoro. «The Anarchist Bastard» è un titolo forte, quasi a voler segnare una rottura con la tua famiglia e con le tue origini.
«Non credo ci sia mai stata una rottura con la mia famiglia e le mie origini, anche se sono stata sempre una ribelle, soprattutto negli anni Sessanta. Ma alla fine, sono stata una ragazza italiana con i valori tipici delle ragazze italiane. In fondo, il mio sogno è stato quello di sposarmi, avere figli, una bella casa e cucinare molto. Quanto al titolo, è stato il mio editore a sceglierlo. Originariamente avevamo pensato al titolo “From Another Time and Place”. Un titolo che forse avrebbe funzionato meglio».
Pensi che il gap con la tua famiglia sia stato più generazionale o culturale?
«Non credo che si possa parlare di gap, in quanto io ho sempre fatto miei i valori che mi sono stati inculcati da ragazzina. Per molto tempo ho vissuto pensando che la mia famiglia fosse al centro della mia vita. Poi, trasferitami a 21 anni a New York, ho cercato di costruirmi una vita che avesse me al centro dei miei obiettivi e non più la mia famiglia».
Quale e come è stato il passaggio dalla ragazzina della Basilicata alla donna newyorkese che poi è diventata?
«Gli anni ’60 sono stati anni tumultuosi e ricchi di energia a New York. Erano gli anni del sesso, droga e rock and roll. In quel tempo, ho vissuto una situazione conflittuale con me stessa. Non sapevo a quale cultura appartenevo e cosa fare della mia vita. Ci sono voluti 10 anni di terapia per impostare la mia vita da adulta in maniera sana».
“Growing up Italian in America”: come cresce un’italiana in America e perché ti senti italiana?
«La cultura italiana ha sempre fatto parte di me interamente. Sono stata e mi sono sentita italiana anche se sono cresciuta in una sorta di colonia di Italiani all’estero. I valori tradizionali, hanno formato il mio background. Difficile crescere senza di quelli. Amo l’Italia, la sua storia, la sua cultura, la mia terra: la Basilicata. Ogni volta che passo le Alpi poi, mi si stringe il cuore e mi sento a casa. Divento sentimentale… ma è bello così».