“Non dobbiamo piangere per qualcosa che ci è stato tolto, ma amare ciò che ci è stato donato, perché ciò che è veramente nostro non se ne va mai per sempre”: questa affermazione di Bob Marley sull’amore è il leitmotiv, il tema ricorrente di Bob Marley: One Love, film in uscita il 14 febbraio nelle sale Usa che rende omaggio alla vita e alla carriera di una delle icone musicali in grado di ispirare generazioni diverse.
Al giorno d’oggi, Bob Marley è ancora considerato il simbolo per eccellenza della musica reggae giamaicana, capace di veicolare, tramite le sue canzoni, messaggi di pace, di unione tra i popoli, di lotta contro tutti i razzismi, le diseguaglianze e lotta per la libertà (non solo fisica) che sono diventati la bandiera di diverse generazioni: importanti valori universali sui quali il mondo contemporaneo – stando ai fatti – non sembra però voler fare propri per andare incontro al futuro in modo consapevole! C’è da sperare che il film sia di grande aiuto!
Nell’offrire al pubblico uno sguardo inedito sul leggendario artista, il film è incentrato sull’anno e mezzo successivo al fallito attentato a Marley (nel 1976), e racconta gli eventi cruciali che portarono il “re del reggae” ad esibirsi, nell’aprile del 1978, allo storico One Love Peace Concert a Kingston, capitale della Giamaica: un concerto memorabile (dalle 17 fino all’alba del giorno successivo!), definito la “Woodstock del Terzo Mondo”, che segnò sul palco – conditio sine qua non posta da Marley per lasciare Londra, dove si era trasferito dopo l’attentato. e parteciparvi – la tanto agognata fine della violenta guerra civile in atto nel Paese tra due candidati alla presidenza del Paese (il primo ministro Michael Manley, del PNP, e il leader dell’opposizione, il laburista Edward Seaga) attraverso un abbraccio e una stretta di mano pubblici.

A seguito di quel concerto, pochi mesi dopo gli fu conferita dalle Nazioni Unite, a nome di 500 milioni di africani, la Medaglia della Pace. Anni dopo, grazie a lui il reggae è stato dichiarato dall’UNESCO “patrimonio immateriale dell’umanità”.
A firmare la regia di Bob Marley: One Love è Reinaldo Marcus Green (al suo secondo biopic dopo il successo di Una famiglia vincente-King Richard, 2021, sul padre delle tenniste Venus e Serena Williams): suoi supervisori sono stati il figlio di Marley, Ziggy, la figlia Cedella e la vedova Rita, oltre ai produttori del film, Paramount e Brad Pitt.
Le canzoni di Marley come colonna sonora del film sono quelle che più sottolineano temi fondamentali della sua carriera, quali la lotta costante e continua contro la sopraffazione e la discriminazione razziale: non potevano quindi mancare No Woman, No Cry (prima sua canzone da solista dopo lo scioglimento della sua band originaria, The Wailers, di cui però conservò il nome per i concerti successivi), I Shot the Sheriff, Exodus, Could You Be Loved, Get Up, Stand Up, Jamming, Buffalo Soldiers e Redemption Song, scritta nel 1980 e considerata da molti l’immortale testamento dell’artista, al quale era già stato diagnosticato il cancro che lo avrebbe portato poco dopo alla morte prematura. Il testo invita a riflettere sul fatto che la libertà ha sempre un costo, ma solo se siamo disposti a pagarlo, potremo ottenere l’emancipazione dalla schiavitù mentale.
Tra una canzone e l’altra Bob Marley emerge nel film come un fuoco che illumina tante fotografie diverse: il bambino meticcio e senza padre che corre per le colline di Nine Mile; il giovane musicista che cerca di affermarsi insieme agli amici Bunny e Peter nel ghetto di Trenchtown (alla periferia di Kingston); il marito e padre in cerca di fortuna che emigra negli States; il rastaman che trova in Dio quel padre che non lo ha mai voluto; il calciatore con i dreadlocks al vento (i capelli rasta) che ama le donne e la marijuana…

Ad interpretare Bob Marley è il bravo attore britannico Kingsley Ben-Adir (negli ultimi anni ha vestito i panni di svariate figure iconiche della storia come Malcolm X nel film Quella notte a Miami… o il Presidente Obama nella miniserie Sfida al presidente–The Comey Rule); nei panni della moglie Rita c’è Lashana Lynch (vista al cinema come nuova 007 in No Time To Die o come amazzone nera in The Woman King).
L’ambizione di Bob Marley: One Love è seguire i trionfi al botteghino di altri due biopic musicali come quelli su Freddie Mercury e Elton John: Bohemian Rhapsody (910 milioni di dollari di incasso) e di Rocketman (200 milioni). Ci riuscirà?
Il film di Reinaldo Marcus Green riporterà alla memoria tante profonde emozioni a chi ha vissuto a pieno ritmo il 1980. Ero allo stadio di San Siro nella magnifica notte del 27 giugno quando Bob Marley fece la prima delle sue due uniche apparizioni in Italia con il suo Uprising Tour (l’altra fu a Torino, il giorno dopo). Novantamila persone riempirono lo stadio per quell’evento davvero memorabile (è stato quello con più affluenza di pubblico nella storia di tutti i suoi concerti), aperto attorno alle 17 dal trio del chitarrista blues Roberto Ciotti, seguito poi da Pino Daniele (che da poco aveva pubblicato il suo terzo album, Nero a metà).
Quando, alle 21 circa, arrivò sul palco Bob Marley lo stadio, impazzito di gioia, lo salutò con un gigantesco, assordante boato, dando libero sfogo alla voglia di omaggiare il “re del reggae”. Alle prime note della canzone d’apertura (Marley Chant) cominciammo tutti una lunga, felice maratona danzante – conclusa da Get Up, Stand Up – come parte di un insieme di vibrazioni positive (insomma, Positive Vibrations…, come il titolo di una sua celebre canzone).

Il concerto fu soprattutto un grande rito “partecipativo” di massa: assiepati su due anelli (il terzo ancora non c’era) e sul prato, quasi tutti ballammo in quella notte magica nella quale le canzoni furono accompagnate, per la prima volta in un concerto italiano, dalla luce di migliaia di accendini, quando ancora non c’erano i cellulari!
Fu contagioso e irresistibile, il reggae ipnotico di Bob: la gente ballò, pensò e anche pianse. Fu qualcosa di spirituale più che un concerto musicale!
Marley morì l’anno dopo, l’11 maggio 1981, a soli 36 anni, per un mieloma aggressivo che non aveva curato qualche anno prima perché da lui ritenuto solo la conseguenza di uno scontro giocando a pallone.
Il film non mostra la sua morte, anche se, penso, avrebbe fatto capire meglio a molti quanto Roberto Nesta Marley, detto Bob, fu sempre coerente in vita con ogni sua scelta: fu sepolto, dopo i funerali di stato, accanto alla sua casa natale a Nine Mile, in Giamaica, con la sua chitarra Gibson, un pallone di calcio, una copia della Bibbia, un anello donatogli da un principe etiope e una piccola pianta, e semi di marijuana.