Esce su Prime video New York solo andata, il film di Davide Ippolito sugli italiani e il sogno americano. L’idea non è originale: sull’American dream sono state stese pagine e pagine di saggi poesie romanzi, film e documentari. Cosa ha mosso quindi questo giovane regista napoletano, ma anche produttore editorialista scrittore docente esperto internazionale di reputazione e chi più ne ha più ne metta, la sua biografia è ricchissima, ad avventurarsi su un terreno tanto battuto quanto pieno del pericolo della retorica e dello stereotipo? Lui stesso ha da poco scritto il saggio Against Stereotypes. The real Reputation of Italian American: è cosciente quindi del pericolo. “New York Solo Andata è il film che volevo fare fin dalla prima volta che ho messo piede in questa città – ha spiegato – Aver avuto l’opportunità di confrontarmi con tanti italiani di successo qui negli Stati Uniti ha rafforzato il mio amore per questo Paese e in particolare per la città di New York dove alla fine ho deciso di trasferire la mia famiglia e parte delle mie attività imprenditoriali”.
Gli italiani di successo. Ippolito per il film ha interpellato i maggiori rappresentanti delle istituzioni, dal Console Generale a New York, Fabrizio Di Michele, a quello di Los Angeles, (cambiato nel frattempo) Silvia Chiave, dal direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Fabio Finotti, al direttore dell’Italian Trade Agency di NY (anche questo cambiato) Antonino La Spina, fino all’ex presidente del Consiglio dei ministri Lamberto Dini. Ha anche intervistato giornalisti come Federico Rampini de Il Corriere della Sera, Giampaolo Pioli direttore de La Voce di New York, Antonio Monda, anche scrittore e docente della New York University. E ancora: i nuovi immigrati che hanno realizzato il sogno: da Raffaele Guida (Lello il Barbiere), all’ingegnere del suono Marc Urselli, il musicista e compositore Fabrizio Mancinelli, e tanti altri. Ma anche i discendenti di quelli che sono arrivati in nave dopo settimane di viaggio come l’ultimo dei De Palo, la famiglia che per generazioni ha rifornito di mozzarelle fresche Manhattan.
Tutti raccontano la loro avventura, come sono cambiati gli Stati Uniti dagli immigrati di Ellis Island ad oggi, come il Columbus Day da festa dell’orgoglio italoamericano si è trasformato in giorno della vergogna per le contestazioni subite da parte dei discendenti dei nativi sterminati dalla colonizzazione, come New York sia la città più cara al mondo, una delle più potenti, veloci, affascinanti, magnetiche, dove tutto accade e si incontrano tutti, insomma sia la città tentacolare della più abusata retorica dell’American dream.
Ippolito però, nonostante la sua conoscenza della materia, non è riuscito a evitare il tranello del già detto. Non ha trovato una chiave nuova per raccontarci New York in versione italiana come Scorsese con Fran Lebowitz in Pretend it’s a City per narrare l’evoluzione artistico intellettuale della metropoli. Sono belli i momenti in cui i protagonisti parlano della difficoltà di lasciarsi tutto alle spalle per superare l’oceano: amici, famiglia, cultura. Bella la testimonianza di Marchionne sulla sua lontananza, e del barbiere che non è potuto tornare per assistere il padre durante il lockdown del covid. Momenti veri, toccanti, ma pochi.
Le musiche di New York solo andata sono a cura di Mirko Ettore D’Agostino e il brano su cui scorrono i titoli di coda è L’Ultima Sera di Cristiano Cosa scritto con Francesco Gaudio. Prodotto da LuckyHorn Entertainment, il film è stato presentato all’Istituto italiano di cultura di New York in anteprima.