Capelli? Arruffati, come sempre; occhiali marroni, come il vestito che indossa e dal cui taschino escono le immancabili penna e matita: così il visionario regista californiano Tim Burton si è presentato ai giornalisti riuniti al Museo del Cinema di Torino nella Mole Antonelliana per parlare della mostra Il mondo di Tim Burton che, curata da Jenny He in collaborazione con la Tim Burton Productions, aprirà i battenti domani, 11 ottobre, nello splendido capolavoro architettonico – del 1889 – di Alessandro Antonelli: “Una location incredibile che unisce la magia dell’architettura a quella del cinema. La Mole si è fusa con la mostra”, ha esclamato il regista, estasiato nel vedere i suoi lavori in uno dei musei più importanti del mondo.
Suddivisa in 9 sezioni tematiche, la mostra è un viaggio esclusivo nel suo universo visionario e nella sua creatività. Il nucleo principale dell’esposizione si concentra sull’archivio personale, mostrando un’incredibile varietà della sua produzione: preziosi documenti, disegni e bozzetti con i temi e i motivi visivi ricorrenti da cui hanno preso vita i personaggi dei suoi distintivi mondi cinematografici.
Burton in conferenza stampa è un fiume in piena, ben lontano dal bambino che occupava il suo tempo guardando film di mostri, disegnando qualsiasi cosa gli venisse in mente o giocando solitario nel cimitero locale: come- afferma il regista in una sua nota, “quando ho iniziato a frequentare i musei, sono rimasto colpito da quanto le atmosfere dei due luoghi fossero simili. Sono entrambi ambienti silenziosi, introspettivi, eppure entusiasmanti. Eccitazione, mistero, scoperta, vita e morte… trovi tutto nello stesso posto”.
Che effetto gli fa vedere la sua vita, il suo “garage creativo” in mostra? “Vedere le mie cose esposte è stupendo, ma allo stesso tempo inquietante, perché provo emozioni contrastanti: sono orgoglioso ma anche spaventato, vulnerabile. Comunque, rivedere questo tipo di mostre mi dà energia”.
Il visionario mondo di Tim Burton è stato influenzato anche da cineasti italiani, quali Mario Bava (molto), Fellini (alcuni lavori, quelli più onirici), Dario Argento (per l’horror). “Sono cresciuto guardando i film di Mario Bava, anche se all’inizio non sapevo che fossero suoi. Ma a furia di rivederli, di ritrovarmeli davanti, penso per esempio a La maschera del demonio, ho scoperto anche il suo nome. Se ho imparato a conoscere Mario Bava è stato grazie alle sue opere”.
Non poteva mancare una riflessione sulla sua carriera. “Sono stato fortunato ad avere successo subito, e questo mi ha dato la possibilità di andare avanti, ma ho continuato ad avere la sensazioni di quando ero ragazzo, di essere cioè un po’ un outsider, un reietto: una sensazione che in realtà non mi abbandona mai e per questo continuo ad avere a che fare con questo tipo di personaggi”, spiega il regista. “La fantasia è sempre stata comunque importante nel cinema, perché realtà e fantasia si compenetrano, ma la cosa più importante sono le emozioni umane”.
Adesso tutti aspettano con ansia la seconda stagione della fiction-tv Wednesday-Mercoledì, la seconda serie Netflix in lingua inglese più vista. “Ci sono ancora da risolvere alcuni piccoli problemi, ma molto presto andrà in onda. Adoro quei personaggi. Mi sono spesso sentito come Mercoledì, sarei benissimo potuto essere lei” Saranno in onda in effetti dal 23 novembre: otto episodi, i primi quattro diretti dal maestro del cinema, sempre con Jeanna Ortega nei panni di Mercoledì Addams, ragazzina simbolo della cultura gothic e nella versione burtiana anche del femminismo.
Non poteva mancare, visto anche i recenti scioperi di sceneggiatori ed attori, una riflessione sull’intelligenza artificiale. “Come tutte le tecnologie può essere usata per il bene o per il male. Ho visto un mio film Disney con quella tecnologia: è stato come se non fossi più nel mio corpo! Non amo guardare me stesso: a casa copro gli specchi”.
Spinto forse dal successo che la sua mostra ha ottenuto in altri Paesi, Burton sorride e la sua gioia colpisce. “Non avrei mai pensato che i miei lavori, i miei disegni, finissero in una mostra, ma mi permette di connettermi con le persone, e da loro ricevo profonde ispirazioni. È entusiasmante”.
Dai disegni alle pellicole e al digitale, sta cambiando troppo il cinema? “Adoro la pellicola ma trovo aspetti positivi anche nel digitale, per esempio rende più reali certe cose. Il disegno è stato un mezzo per esplorare il mio subconscio e visti i risultati dico: non preoccupatevi di ciò che pensa la gente, continuate a dipingere se vi piace”.