Presentato mercoledì 15 in concorso nella sezione Un Certain Regard della 77.ma edizione del Festival di Cannes, The Damned- I dannati, debutto nel film di finzione del bravo, e pluripremiato, documentarista marchigiano Roberto Minervini (da anni emigrato negli Usa) è ambientato nell’inverno del 1862, un anno dopo l’inizio della guerra di Secessione: vede otto soldati volontari della cavalleria dell’Unione e un ricognitore del Primo Cavalleggeri della California impegnati nella perlustrazione della zona di Picacho Peak, alla ricerca di un gruppo di confederati segnalato nelle vicinanze.
Il tenente della pattuglia (Jeremiah Knupp) è un soldato esperto e un cristiano devoto, il cui figlio – soldato volontario per seguire il padre – ha l’obiettivo di entrare in seminario dopo la fine della guerra. Mentre il reggimento continua a rimanere indietro, la missione della pattuglia diventa lentamente una lotta per la sopravvivenza, che costringe i soldati a rivalutare e meditare sul senso del loro viaggio verso la frontiera e del loro impegno nella guerra.

Per la prima volta Minervini, specializzato in uno stile cinematografico che fonde documentario e finzione, si è avvalso di attori professionisti: non sembra averlo fatto per la loro notorietà ma per la loro capacità di fornire espressioni facciali con cui, nei primi piani, contribuiscono a mantenere alto il senso di insicurezza ed incertezza che stanno vivendo, sia a livello personale sia per la situazione in cui si trovano ad operare. Ottima scelta.
The Damned sono i soldati mercenari arruolati durante la Guerra di Secessione: senza alcuna esperienza nelle armi, all’oscuro del perché della guerra, smarriti nel bel mezzo di una transizione da valori molto conservatori a una nuova società e alienati nel selvaggio Montana; questi uomini – molti dei quali arruolatisi solo per guadagnare e mangiare qualcosa – offrono allo spettatore una prospettiva provocatoria su quanto ogni guerra sia disumanizzante. “Come dovrebbero ben capire gli americani – sembra dire il regista – specie quelli per i quali la guerra è spesso, ancora oggi, un male necessario”.
La scelta di Minervini di ritornare a un momento cruciale della storia degli Stati Uniti – con i suoi profondi contrasti tra Nord e Sud, la statalizzazione del cristianesimo e l’esaltazione della “mascolinità tossica” americana – è stata mirata e risulta vincente: questo approccio permette infatti di evidenziare – e farci riflettere – come tali problemi persistano nel tessuto sociale contemporaneo, non solo americano.

I temi della memoria storica e delle radici culturali – già ben presenti nei suoi lavori precedenti – continuano ad essere – fortunatamente – ispiratori importanti della cinematografia di Minervini, che è anche autore del soggetto e della sceneggiatura.
Diversi gli aspetti e le scelte narrative che lasciano il segno in questo film girato tutto in esterni, prima fra tutte quella di segnalare il nemico solo attraverso colpi di fucile e non visivamente, carnalmente: possono essere soldati confederati che si tengono anche loro volutamente al riparo o cercatori d’oro che non vogliono condividere con nessun altro la terra circostante (che sia una zona ricca lo sottolinea dopotutto anche uno dei soldati volontari dopo aver trovato una pietra contenente quarzo: “Oro, pesci, animali: questa terra ha davvero tutto”).
Altro aspetto pregnante del film è la forte componente religiosa presente nei dibattiti al tempo della Guerra di secessione e che vede qui la messa in discussione di una fede immanentistica, di una religiosità che pensa di essere unica portatrice del vero e onnisciente: diversi i dialoghi tra i soldati che riguardano la fede, cosa essa significa nella vita di un essere umano e come non debba mai essere vista come strumento di superiorità sull’altro o come sistema per i rapporti umani (la religione ha influenzato la vita giovanile del regista, con il padre che gli impedì di fare la Prima Comunione, ndr).
Da apprezzare, infine, la scelta di Minervini di utilizzare la cinepresa “come un reporter impegnato in una specie di pedinamento continuo dei personaggi”, adottando il loro punto di vista e il loro campo visivo: la macchina da presa segue i personaggi, guarda e analizza a fondo il mondo che la circonda cercando di identificare gli stati d’animo di soldati capitati in una guerra “per caso”.

Ultima nota. The Damned non è un film di guerra, di quelli con la dicotomia tra male e bene, impregnati di “eroismo” che spinge a pensare all’esistenza magari di una “guerra giusta” (non dimentichiamo, a tale proposito, quanto disse il regista François Truffaut: “Un film sulla guerra finisce per essere un film a favore della guerra”).
Il debutto alla regia di Minervini in un film di finzione è una produzione italo-americano-belga-canadese guidata da Paolo Benzi per Okta Film e da Denise Ping Lee e Roberto Minervini per Pulpa Film con Rai Cinema (Paolo Del Brocco) in coproduzione con Michigan Films (Alice Lemaire e Sébastian Andres).
Nel cast, oltre a Jeremiah Knupp, presenti anche René W. Solomon, Cuyler Ballenger, Noah Carlson, Judah Carlson, Tim Carlson.
Minervini, presentando al mondo il film, ha detto: “Dopo molti film nati in quello spazio ibrido che è il ‘documentario di creazione’, The Damned rappresenta per me una sfida nuova: un film di finzione, storico, in costume, senza sacrificare il realismo, l’immediatezza e l’intimità dei miei lavori precedenti”. Una sfida riuscita.
The Damned esce in Italia il 16 maggio, nelle sale statunitensi il 17 maggio.