Grave lutto per il cinema, italiano e internazionale: è morto, a 93 anni, il regista genovese, e partigiano, Giuliano Montaldo. Il cinema del Bel Paese perde il suo decano più amato, l’ultimo grande regista formatosi nel dopoguerra alla scuola del Neorealismo. Un uomo dotato di grande umanità, sensibilità, un artista di profonda cultura e coerenza interiore.
Nato a Genova il 22 febbraio 1930, è morto nella sua casa romana con accanto la moglie, attrice, sceneggiatrice, costumista e assistente alla regia Vera Pescarolo, la figlia Elisabetta e i suoi due nipoti, Inti e Jana Carboni. Non si terranno funerali pubblici per volontà della famiglia.
A soli 14 anni Montaldo viene catturato dai nazifascisti in Liguria e deportato sul fronte al sud, ma riesce a scappare e si unisce alla Resistenza nel Gruppo di Azione Patriottica (Gap) di Genova. Pochi anni dopo la fine della guerra debutta nel mondo della celluloide, come attore, in Achtung Banditi (1951) di Carlo Lizzani (film sulla Resistenza autoprodotto dai lavoratori genovesi) e in Cronache di poveri amanti (1954), dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini e anche questo di Lizzani, Montaldo decide di stare dietro la macchina da presa e lavora come aiuto regista in numerosi film, fra cui La Lunga Strada Azzurra (1957) e Kapò (1960), e poi come apprezzato regista della seconda unità in La Battaglia di Algeri (1966), tutti e tre diretti da Gillo Pontecorvo, finché, nel 1961, esordisce come regista con Tiro al Piccione (1961), tratto dal romanzo di Giose Rimanelli e che, restaurato dalla Cineteca Nazionale, è stato presentato nel 2019 alla Mostra del Cinema di Venezia: il tema è la fine della Seconda Guerra mondiale vista con gli occhi di un soldato della Repubblica di Salò in crisi di valori.
L’esigenza di capire e spiegare i complessi nodi della realtà italiana dei primi Anni ’60 è alla base del suo secondo lavoro da regista, Una bella grinta (1965) che gli valse il Premio Speciale della Giuria al Festival di Berlino: è il ritratto di un uomo deciso a sfruttare cinicamente il boom economico, da cui viene invece distrutto.
Il successo berlinese attirò l’attenzione di Hollywood e Montaldo dirige due film della Mecca del cinema: Ad ogni costo (1967) e il riuscito thriller Gli intoccabili (1969).
Ma è l’Italia, nei primi Anni ’70, a consacrarlo come un grande del cinema, con la sua trilogia sul potere militare, giudiziario e religioso: Gott mit uns (1970), con Franco Nero: il processo per diserzione e la fucilazione, a cinque giorni dalla fine della guerra, di due soldati della Wehrmacht; Sacco e Vanzetti (1971), con Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla: il processo e l’ingiusta condanna di due anarchici italiani negli Stati Uniti (vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes e con una memorabile colonna sonora composta da Ennio Morricone e la canzone “Here’s to You” interpretata da Joan Baez, che divenne un inno generazionale); Giordano Bruno (1973), con Gian Maria Volontè: la persecuzione da parte della Santa Inquisizione e il rogo del filosofo Giordano Bruno.
Montaldo, che vanta nel suo curriculum venti film, ha saputo trasferire in significativi lavori anche opere della narrativa italiana del dopoguerra: L’Agnese va a morire (1976), con Ingrid Thulin e Stefano Satta Flores, e ispirato dall’omonimo romanzo di Renata Viganò, rappresenta una donna che acquisisce una coscienza civile e antifascista; Gli occhiali d’oro (1987), con Philippe Noiret, Rupert Everett, Stefania Sandrelli e Valeria Golino: dal romanzo di Giorgio Bassani su un omosessuale, a Ferrara, durante il fascismo; Tempo di uccidere (1989), con Nicolas Cage e Ricky Tognazzi: dal romanzo di Ennio Flaiano sull’impresa etiopica di legionari italiani nel 1936.
Ma non solo cinema per l’indimenticabile regista genovese. Montaldo ha realizzato infatti per la televisione, nel 1982, il kolossal Marco Polo, una complicatissima impresa girata a Venezia, Marocco, Cina e Mongolia, dalle memorabili ricostruzioni ambientali e trasmessa in otto puntate dalla Rai, con Kenneth Marshall nei panni del mercante veneziano: all’epoca fu la produzione internazionale della Rai di maggior successo nel mondo, venduta in 76 nazioni e vincitrice del prestigioso premio Emmy come migliore serie televisiva presentata negli Usa.
Ma il talento poliedrico di Montaldo ha trovato il suo giusto successo anche come regista di celebri opere liriche, nelle quali ha diretto, tra gli altri, Luciano Pavarotti e Placido Domingo: fra queste, Turandot (1983), Il Trovatore (1990), La Bohème (1994), Otello (1994), Il flauto magico (1995), Nabucco (1997) e Tosca (1998) presentata allo Stadio Olimpico di Roma.
Tra i suoi film più recenti I demoni di San Pietroburgo (2008), ambientato durante la stesura da parte di Fedor Dostoevskij del romanzo “Il giocatore”, e L’industriale (2011) con Pierfrancesco Favino. Nel 2018 era tornato anche a fare l’attore, in Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni, che gli è valso anche un David di Donatello al Migliore attore non protagonista. Ma tanti altri sono i premi che Montaldo ha vinto nella sua carriera, dal Globo D’Oro (premio assegnato dai giornalisti della stampa estera accreditata in Italia) al David di Donatello alla carriera.
Dal 1999 al 2002 Montaldo è stato presidente di Rai Cinema. Nel 2002 è stato nominato Cavaliere di Gran Croce dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Tra i tanti i messaggi di cordoglio e ricorsi espressi da attori, registi e operatori cinematografici, molto pregnante quello di Roberto Cicutto, presidente della Biennale di Venezia: “Ho fatto la comparsa in ‘Sacco e Vanzetti’, perché al tempo guadagnavo 15mila lire e l’idea di passare due settimane a Cinecittà era bella. Mi commuove ricordare questa cosa personale, ma lui avrebbe detto ’The show must go on’”.