Presentato in anteprima assoluta al recente Giffoni Film Festival, è da oggi nelle sale italiane Il più bel secolo della mia vita, primo lungometraggio dell’attore/sceneggiatore Alessandro Bardani. Il film è la trasposizione cinematografica di una applaudita pièce teatrale dello stesso regista e Luigi Di Capua: per la sceneggiatura filmica si sono aggiunti a loro Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli.
Giovanni (Valerio Lundini) è uno di questi e per riuscire ad attirare l’attenzione sul problema ed attivare l’opinione pubblica per cambiare la legge ripone la sua unica speranza in Gustavo (Sergio Castellitto), unico centenario in vita non riconosciuto alla nascita, il solo che avrebbe il diritto di avvalersi di questa normativa ma che sembra non aver alcun interesse a farlo. Il conflitto tra di loro non è soltanto generazionale. Il vecchio, pur contando i giorni che gli rimangono, è proiettato verso il futuro come ha sempre fatto nella sua vita, in fuga da un passato che non ha mai voluto guardare in faccia. Il giovane, che davanti a sé ha un’eternità, si tiene ancorato alle sue radici con la frustrazione di non sapere a quale albero appartengano. “Se una persona non sa da dove viene è incompleta”, afferma Giovanni.
Il tema toccato dal film punta il dito contro un’assurda legge tuttora in vigore in Italia – e unica in Europa -, la cosiddetta Legge dei 100 anni, (legge n. 184 del 1983, modificata e migliorata nel 2001, ma ancora in attesa della discussione in Senato, dopo essere stata approvata dalla Camera) che riguarda oggi 400.000 persone – non riconosciute alla nascita (in gergo N.N.) – che non hanno il diritto di conoscere i propri genitori fino al compimento del centesimo anno di età.
Il più bel secolo della mia vita non è né una commedia né un film drammatico ed è per questo, secondo me, che i momenti comici di questo film sono convincenti. Se in Italia la commedia si basa principalmente sul reale, questo film è invece un riuscito cocktail di realtà e fantasia, utilizzando la favola, che è uno degli strumenti narrativi tra i più complessi. È una commedia umana, divertente, eppure parla di morte, dell’attesa della morte!
Un film, tra commedia e dramma, tra intrattenimento e riflessione, che, in maniera gentile, invita lo spettatore ad approfondire la tematica – senza però mai essere retorico, paternalistico o annoiare -, e lo congeda con un finale, un po’ sdolcinato ma gravido di sentimento, accompagnato durante i titoli di coda dalla nuova canzone di Brunori Sas – La vita com’è – dalle bellissime parole: il testo è una spiegazione, molto struggente, di quello che si è visto sullo schermo.
L’irriverenza di alcuni passaggi è trattata con una sensibilità capace di mettere in risalto i sentimenti dei personaggi, senza mai dimenticare le motivazioni che li fanno andare avanti, a volte sulla stessa linea direttrice, altre volte in sensi opposti. Come quando il titubante Giovanni chiede a Gustavo, che lo sta sollecitando a chiedere all’avvenente cameriera il numero di telefono, perché mai dovrebbe farlo, la risposta, velata di malinconia, è “Perché io non posso più farlo”!
Il più bel secolo della mia vita focalizza l’attenzione su due piani, quello emotivo e quello sociale e si fa valere anche per un uso sapiente del bianco e nero per rappresentare il passato doloroso di Gustavo in collegio e i fasti di un’epoca da lui vissuta tra balli, corse sfrenate in macchina e belle donne da corteggiare, a cui fa da contrasto il colore di un presente che può ancora essere luminoso e regalare forti emozioni.
Sergio Castellitto, grazie anche ad un eccellente trucco prostetico che lo rende vicinissimo all’età anagrafica del personaggio, conferma la sua bravura di attore poliedrico, passando con naturalezza da toni irriverenti e scanzonati a quelli più seri e riflessivi. La vera sorpresa, molto apprezzata, è Valerio Lundini: brillante giovane comico, autore di programmi radiofonici e televisivi, reduce dal successo del programma tv Un pezzo di Lundini e da uno spettacolo teatrale altrettanto riuscito, si distingue per una comicità, nuova per lui, a tratti surreale, nel ruolo del giovane impacciato che deve maturare e imparare ad aprirsi alla vita, smettendo anche di essere troppo rigido nei modi e nei pensieri, soprattutto nei confronti di sé stesso e delle persone che lo amano (come la madre adottiva, una brava Carla Signoris, quintessenza dell’amore materno).