Il debutto alla regia di Giuseppe Fiorello Stranizza d’amuri (da oggi nelle sale italiane) ci porta nella sua Sicilia. Il titolo è un omaggio alla canzone omonima di Franco Battiato, ma all’origine del film c’è il duplice omicidio avvenuto a Giarre, in provincia di Catania, il 31 ottobre 1980. Le vittime furono due fidanzati, il venticinquenne Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola, detto Toni, di dieci anni più giovane: scomparsi da casa due settimane prima, furono trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola ciascuno alla testa.
La chiara matrice omofoba del delitto, commesso in un clima omertoso, suscitò commozione e indignazione in tutta Italia, tant’è che fu quell’omicidio a portare alla nascita del primo collettivo di “Fuori” (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano) a Catania e a Palermo, del primo circolo Arcigay nato da un’idea di Don Marco Bisceglia, sacerdote cattolico dell’area del dissenso. Il nipote di Toni, minorenne quindi impunibile, si dichiarò colpevole: sostenne che i due ragazzi lo costrinsero a sparare, ma due giorni dopo il tredicenne ritrattò, affermando di essersi assunto la responsabilità su pressione dei carabinieri.

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Quanto detto è un preambolo necessario per capire la vocazione civile del film. Fiorello e i suoi sceneggiatori (Carlo Salsa, Andrea Cedrola e Josella Porto) hanno cambiato i nomi (da Giorgio e Toni a Gianni e Nino), l’età (sostanzialmente coetanei, comunque minorenni) e l’anno in cui si svolgono i fatti (dal 1980 si passa al 1982, mentre dai televisori arrivano le immagini del percorso degli azzurri verso la conquista della Coppa del Mondo di calcio.
Volutamente non c’è in Stranizza d’amuri l’elemento ‘crime’, manca cioè l’approccio investigativo perché il film vuole essere soprattutto una storia d’amore: o meglio, di iniziazione all’amore, perché forse i due protagonisti (più giovani dei veri Giorgio e Antonio) non sanno nemmeno cosa sia quel sentimento che stanno scoprendo semplicemente vivendolo. Si scontrano con i rispettivi motorini lungo una strada di campagna: da quel momento nasce una profonda amicizia, e forse qualcosa di più. Il loro legame non viene visto di buon occhio dalle famiglie e dal paese. Coraggiosi e affamati di vita, i due ragazzi non si curano dei pregiudizi, e dei giudizi, vivendo liberamente. Una libertà fresca, pulita, incontaminata, onesta e che gli altri non comprendono e non accettano: causa la discriminazione omofobica imperante in quegli anni ( non ancora superata: per molti gli omosessuali sono ‘malati’) dovranno vedersela con ignoranza e pregiudizio, dolore e isolamento. Insomma, una storia degli anni ’80 che può raccontarci ancora molto.
Beppe Fiorello parte da una vicenda ai più sconosciuta non per cercare i colpevoli o ricostruire gli eventi ma per raccontare uno spaccato sociale preciso (una Sicilia arretrata, patriarcale, feroce nonostante i sentimenti ancestrali e la solidarietà familiare in un’epoca “positiva” dopo la fine degli anni di piombo e il successo sportivo) e restituire dignità e centralità alla memoria di due vittime che avevano la sola colpa di amarsi.

Stranizza d’amuri è insomma un film istruttivo e opportunamente didascalico perché si “emancipa” dalla cronaca per farsi “romanzo”, senza rinunciare a melodrammatiche scene madri. Nonostante alcune soluzioni un po’ “scolastiche”, da prima volta, Fiorello mostra professionalità nella direzione degli attori (bravi e non banali i giovanissimi Gabriele Pizzurro e Samuele Segreto, come di valore sono anche le recitazioni di Fabrizia Sacchi, Simona Malato e Antonio De Matteo) e una sincera passione nel recuperare una storia dimenticata.
Piccola nota. La scelta di dare al film lo stesso titolo di una bellissima, e omonima, canzone di Franco Battiato, ben si addice allo scopo del film: risvegliare la coscienza positiva dei siciliani per non dimenticare mai le tante cose belle che quella terra ha dato e continua a dare. La canzone, uscita nel 1979 nell’album L’Era del Cinghiale Bianco, è ambientata durante i bombardamenti degli Alleati ai piedi dell’Etna, nel vallone di Scammacca ed è tutta in siciliano. Non si tratta quindi proprio di un contesto romantico, eppure in quel luogo nasce quella “stranizza” d’amore, che viene espressa da Battiato con brevi ma potenti immagini, molto evocative: una vera e propria febbre. La bellezza del sentimento sovrasta la tragedia della guerra: quella “stranizza” ispirata dalla Sicilia è più forte di ogni altra cosa.