Uno stravagante miliardario svizzero con la passione delle aste. Una figlia generosa e coraggiosa. Questi i protagonisti di una vicenda che potrebbe avere un’influenza determinante su una questione, quella della restituzione delle opere d’arte rubate o trafugate, che da molti anni turba l’intero mondo dell’arte internazionale.
La vicenda, che il New York Times ha rivelato pochi giorni fa, parte da Bruno Stefanini, imprenditore miliardario e collezionista imprevedibile di oggetti di ogni tipo, dai quadri alle divise carcerarie degli imputati del processo di Norimberga, dai disegni più raffinati allo spazzolino di Napoleone. La sua intera collezione, ricca di oltre 100,000 pezzi, era stata fino ad ora conservata disordinatamente in castelli e ville degradate di proprietà della famiglia, a cura della Stefanini Foundation for Art, Culture and History creata dallo stesso collezionista nel 1980. Dopo la sua morte nel 2018, pero’, il controllo della fondazione e’ passato alla figlia Bettina, che ha subito cominciato a ripulire e mettere in ordine il suo immenso e variegato patrimonio.
Bettina, però non si e’ fermata a questo. “C’e’ un chiaro obbligo morale nel fare le cose per bene quando lo si può fare”, ha spiegato al quotidiano newyorkese. Così dopo un primo tentativo iniziato l’anno scorso di identificare le opere d’arte sospette di essere state trafugate dai nazisti o vendute a prezzi ingiusti dagli ebrei in fuga, ha deciso di fare un altro passo avanti e ha annunciato la creazione di una commissione indipendente per valutare tutti gli oggetti. E ha impegnato la fondazione a rispettare la sua decisione e a restituire, quando sarà il caso, le opere selezionate ai proprietari originali o ai loro eredi.

Come dimostrazione della sua serietà, Bettina Stefanini ha chiamato a dirigerla Andrea Rascher un avvocato ed ex ministro della cultura svizzero specializzato proprio in arte rubata. Aiutato da un gruppo di ottanta esperti, Rasher ha gia’ iniziato il suo lavoro. 85.000 oggetti sono gia’ stati ripuliti, fotografati e inventariati, prima di essere trasferiti in un deposito sicuro a Winterthur, la citta’ di residenza della famiglia Stefanini. Diversi casi sospetti sono stati selezionati subito per essere studiati più a fondo. L’intero progetto, e’ chiaro, richiederà molto tempo prima di essere concluso.
I risultati immediati della mossa coraggiosa di Bettina, pero’, potrebbero essere assai più importanti di quanto potrebbe apparire a prima vista. Da quando, nel 1998, sono stati stabiliti a livello internazionale i principi di Washington sull’arte confiscata dai nazisti, il problema della restituzione delle opere d’arte ai legittimi proprietari e’ stato al centro di molti casi di difficile soluzione per i musei e i privati collezionisti. Come in molti casi analoghi che hanno riguardato le opere d’arte trafugate o rubate e poi rivendute da trafficanti disonesti o da ignare case d’asta, i proprietari più recenti hanno spesso cercato di difendere il loro diritto alla proprietà invocando la loro buona fede negli acquisti.
Di fronte a questi problemi, alcuni paesi come la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda e l’Austria hanno creato delle commissioni indipendenti per valutare tutti i casi relativi alle collezioni pubbliche. Negli Stati Uniti, la situazione e’ rimasta fluida, e se la Ronald Lauder Neue Galery di New York ha prima restituito e poi ricomprato dai proprietari due prestigiosi dipinti di Gustav Klimt, diversi altri casi sono rimasti in un limbo. Ancora irrisolta, per esempio, e’ la causa che gli eredi del collezionista austriaco Fritz Grunbaum hanno intentato contro il Museum of Modern Art di New York e il Santa Barbara Museum of Art per la restituzione, rispettivamente, di un quadro e un disegno di Egon Schiele acquisiti dalle due istituzioni senza troppe precauzioni. E solo pochi mesi fa la Smithsonian Istitution di Washington ha stabilito dei nuovi standard per la possibile restituzione in futuro degli oggetti saccheggiati, ottenuti sotto costrizione o in modo non etico da parte dei 21 musei che controlla.
In Svizzera, dove si e’ mossa Bettina Stefanini, la situazione e’ ancora più complessa. Per chi conosce le banche svizzere, non e’ certo un mistero che, ancora non molti anni fa, i loro forzieri contenevano innumerevoli opere d’arte mai reclamate dai loro proprietari probabilmente morti a Auschwitz. E svizzeri erano diversi mercanti d’arte coinvolti nelle vendite di oggetti rubati, tra cui anche molti reperti antichi italiani recentemente recuperati negli Stati Uniti. Dopo diverse controversie legate alla sospetta provenienza della collezione d’arte del magnate delle armi Emil Buhrle e della Collezione Gurlitt ospitata dal Museo d’Arte di Berna, anche il Governo elvetico, dopo una richiesta del Parlamento, ha ora cominciato a muoversi per creare la commissione indipendente per valutare le richieste di risarcimento nei casi di proprietà culturale persa a causa delle persecuzioni naziste. Per il momento, tuttavia, non c’e’ nulla di fatto.
Adesso il chiaro invito di Bettina a fare “un gesto di coraggio” rappresenta un messaggio preciso, che sarà difficile per tutti far finta di non sentire.
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