Ho scoperto l’artista statunitense David Mellen a fine 2021, scorrendo il catalogo della sua mostra presso la Ivy Brown Gallery di New York, Heart Worn Thin, inaugurata a Novembre 2021 e conclusasi a Gennaio 2022.
Mi ero ripromessa di scrivere su di lui, prima o poi, anche se quel momento fosse significato rimandare di settimane, mesi, forse anni. Sapevo che il suo stile, parzialmente astratto, misterioso e sensuale, a tratti inquietante, definito da forme apparentemente prive di senso, aveva invaso quello spazio abitato solo dalla mia realtà intangibile, seppur visibile più o meno a tutti. Ormai si era espanso e mi era rimasto impresso. Come un odore che ti porti dentro; la sensazione di una carezza che non ritornerà; un respiro rubato a un attimo di follia e che non si dimentica.
Colori sinuosi e avvolgenti, misti di rossi cupi e blu oltremare, bianchi accecanti o spenti dai grigi intrisi di fumo, caduti in tratti bui e neri; dove sfumature turchesi macchiate di petrolio, plumbee d’autunno ti accompagnano nei sogni più remoti, ma che prima o poi prendono il sopravvento con la violenza di un pugno di giallo, obbligandoti a continuare a guardare. Fino a non voler lasciare più quell’immagine.
Osservo di nuovo e ancora quelle masse, candide e maltrattate, sempre in movimento, nelle linee che delimitano i confini con la realtà, che si accorpano come resti che resistono a tutto; a tutte le guerre, a tutte le notti più lunghe. Stanche e maestose irrompono nella loro impalpabile potenza ed intensità, senza mai tradire altrettante sconfinate intimità e raffinatezza. Anche quando il dolore affiora, fine, tagliente, instillandosi dentro macchie scure e ombre affogate nel sangue. Tra visioni di forme scomposte eppure fluttuanti. Che si muovono e ci sommergono, pesanti come masse d’onda, per attraversarci e arrivare in quei luoghi di confine, inafferrabili, presenti. Affascinanti, come le visioni di David Mellen. Prossimamente a NY.