L’arte ha sempre qualcosa di magico. In fondo nessuno più dell’artista sa fare quello che era il sogno dei grandi alchimisti: trasformare il mondo, modificare la materia, mutare il piombo in oro. Basterebbe guardare i grandi quadri del Rinascimento per verificarlo. I quadri di Cosmé Tura, per esempio, che con l’umile materia usata dal pennello crea pietre preziose, scaglie iridescenti di mostri marini, metalli dagli abbaglianti riflessi.
Bene, se volete fare un’esperienza magica e alchemica andate all’Istituto Italiano di Cultura di New York (686 Park Avenue, di fianco al Consolato), in un giorno qualsiasi dal lunedì al sabato (incluso) tra le 10 del mattino e le 4 del pomeriggio.
Lì, nella sala azzurra a destra dell’atrio, il giovane artista Namsal Siedleki espone alcune delle sue opere, fino al 4 dicembre. Una mostra organizzata da Magazzino Italian Art, e dai suoi visionari fondatori e ispiratori Nancy Olnick e Giorgio Spanu, in collaborazione con l’Istituto di Cultura e la Casa Italiana Zerilli-Marimò a NYU.
Troverete poche opere, ma vi riempiranno la mente e il cuore, perché non sono staccate e accostate casualmente, ma raccontano una storia che parte da una testa scolpita in un marmo che non si trova ormai più. E dunque l’idea dell’estinzione, della morte, della fine è quella che vi accoglie all’inizio del percorso: il titolo dell’opera è infatti Estinti. La testa in questione nasce dalla scannerizzazione di un bronzo antico (sembra quasi di riconoscervi un busto di Seneca) spogliato però della propria corteccia, e – per così dire – eseguito in negativo: ciò che vedete non è la scorza, ma l’interno del bronzo originale, e pare quasi una forma in dissoluzione, pronta a sciogliersi e a perdersi. Estinto l’uomo come il marmo che lo rappresenta.

Ma l’alchimia comincia proprio qui. In natura, come nell’arte, ciò che pare estinto rinasce in un percorso di trasformazione e di metamorfosi. Comincia da qui, dunque, il viaggio di quella testa (dovete tenerla in mente mentre passate all’opera successiva) che per rinascere e mutare unisce alla vita la tecnica, come sempre accade nel cammino umano. E allora la seconda opera (Verneuil) vi propone qualcosa che è insieme naturale e alchemico, cioè artificiale: un bronzo che rappresenta la macchina usata per realizzare rubini sintetici. Una natura accelerata, una metamorfosi provocata, un tempo che comincia a scorrere rapidamente come sangue nelle vene: la testa riprende vita ed è pronta a passare a uno stadio successivo.
La terza opera è quella che dà il titolo all’intero ciclo (Viandante) e consiste in una figura umana ottenuta fondendo monetine lasciate dai turisti nella Fontana di Trevi. E dunque incontriamo di nuovo l’idea del passato, del ricordo, della nostalgia, che rischia di assorbire e annullare la vita. Ma questa figura è immersa in un bagno galvanico che si attiva ogni sei ore. Durante l’intero periodo della mostra il simulacro che è al centro della sala si modifica, si trasforma: il passato si muove, muore e rinasce, diventa futuro.

Dal centro della sala dovete a questo punto passare alla parete, dove c’è una meravigliosa tela di color bianco-avorio che pare disegnata dall’acqua o dal vento: piccole dune di una “sabbia” brillante che dà riflessi diversi a seconda della luce che entra dalla finestra o della vostra posizione.
E in realtà è stata proprio la natura a dipingere, praticando una propria segreta alchimia: la tela è stata esposta al flusso di una sorgente francese altamente mineralizzata che in un tempo relativamente rapido ha compiuto un processo di cristallizzazione per il quale di solito è necessario un periodo più lungo. Ecco la ragione del titolo: Deposizione. La tela rappresenta tutto ciò che si depone nell’animo e nel corpo umano, costruendolo e trasformando una volta di più la morte (legata all’idea stessa della “deposizione”) in vita. In un certo senso quella tela è come la sindone: immagine insieme di morte e di prodigioso, quasi esplosivo riscatto.

Arrivate così al termine (provvisorio del percorso) con l’opera intitolata “nuovo positivo”. La testa di serpentino estinto, con un nuovo processo di scansione e trasformazione alchemica, riconquista la sua pelle, torna a vivere, e si rovescia sul supporto che la sostiene: scopriamo che è cava al suo interno per ricevere la ricchezza del mondo (come una cornucopia che attende di riempirsi) e riprendere un nuovo viaggio.
Namsal non sa solo fare l’artista, ma sa raccontare: questo ci aspettiamo oggi dall’arte, non solo l’emozione di una forma, ma la sospensione di un discorso, che ci porta con sé e trasforma anche noi in viandanti.

Perché questo deve essere chiaro. Quando uscirete dalla mostra non sarete più gli stessi. Una trasformazione alchemica è iniziata anche dentro di voi: ora che sapete quante volte si può morire e rinascere, nulla vi sembrerà più casuale. Persino il tempo può essere cambiato: accelerato o rallentato, con tecniche umane che hanno la loro radice però nella natura. E’ un magico ritorno a Ovidio e alla sua idea che la vita sia un flusso continuo di identità in cui non c’è fine, non c’è mai vera morte, non c’è mai vita perfetta.
Per questo nessuna opera basta a se stessa, e l’artista – a differenza di quelli classici – si affida al filo che lega l’una all’altra, nel fragile equilibrio di un acrobata che danza in bilico su una corda sottile, sospesa sul vuoto.