Dopo quasi cento anni, a Gardone Riviera è stato infine realizzato l’ultimo progetto onirico di Gabriele d’Annunzio: lo scorso luglio si è tenuta la solenne inaugurazione dell’anfiteatro finalmente ultimato secondo i voleri del Vate, in quel maestoso e spettacolare complesso abitativo-museale a cielo aperto ormai noto col nome di Vittoriale degli Italiani in cui, agli inizi del lontano 1922, il Poeta Soldato, che era reduce triste, malinconico e insoddisfatto dall’avventura di Fiume – certamente gloriosa ma terminata nel Natale di sangue 1921 – aveva eletto il suo buen retiro. Per molto tempo d’Annunzio aveva vagheggiato la costruzione di una struttura teatrale destinata ad essere il palcoscenico perfetto sul quale rappresentare i propri lavori, ma per i motivi più vari – soprattutto economici, ma anche legati alle peripezie amorose e alle vicende avventurose dell’Immaginifico – il progetto non si era potuto realizzare.

Infatti, già negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento a d’Annunzio era balenata l’idea di farsi costruire un teatro grazie al contributo economico di Eleonora Duse, la grande attrice drammatica che, per lo meno in quel momento, era saldamente nei pensieri e nel cuore del volubile Vate; il progetto era da attuarsi ad Albano Laziale – nei pressi di quella Albalonga che nell’VIII-VII sec. a.C. era stata la prima rivale di Roma – ma non ebbe alcun seguito a causa dei costi che si rivelarono troppo elevati perfino per la “divina” Duse che, peraltro, era già impegnata a mantenere il lussuoso tenore di vita ostentato dall’Immaginifico d’Annunzio: il loro rapporto passionale e amoroso durò una decina di “lunghi e difficili” anni e fu quanto mai tempestoso, al punto che Eleonora – pur avvinta e innamoratissima di Gabriele – giunse a definirlo il Poeta infernale, riconoscendo però, in una sorta di quasi compiaciuto masochismo sentimentale, che “…d’Annunzio lo detesto, ma lo amo… che fare?”.
Malgrado fosse stata accantonata l’idea di un teatro ad Albano, il progetto era pur sempre rimasto nei desideri più riposti di d’Annunzio che, tuttavia, per oltre un decennio trascorse la sua vita “inimitabile” tra i piaceri, i lussi e le spese folli nella Parigi della Belle Époque; le gesta eclatanti ma eroiche della Grande Guerra (al punto che, fra i tanti appellativi, d’Annunzio ricevette anche quello di Amante guerriero); l’audace ancorché velleitaria Impresa di Fiume. All’inizio del 1922 Gabriele d’Annunzio si ritirò dunque a Gardone Riviera, in una villa che si affacciava sulla sponda bresciana del lago di Garda; il complesso era noto come villa Cargnacco o anche villa Thode, dal nome dell’ultimo proprietario – lo storico dell’arte di Dresden deceduto nel 1920, Henry Thode – al quale era stata sequestrata in tempo di guerra perché era di nazionalità tedesca e quindi malvisto in Italia (per lo meno in quel periodo storico): la villa era situata in un punto panoramico da cui si potevano ammirare l’Isola di Garda, il Monte Baldo, la penisola di Sirmione e la pittoresca Rocca di Manerba, nella quale a Goethe – che nel 1786 si trovava in Italia durante il suo Grand Tour – in un momento di esaltato e stucchevole romanticismo era parso di riconoscere il profilo di Dante.

D’Annunzio, poco tempo dopo averla presa in affitto, acquistò la proprietà della villa e delle sue adiacenze e si mise ben presto a ristrutturarla, ingrandirla, arricchirla: pian piano la riempì con molti dei ricordi della sua vita avventurosa, giungendo perfino a far collocare nel parco il Mas 96 della Beffa di Buccari (svoltasi nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918) e l’aereo Ansaldo S.V.A. del suo volo su Vienna (del 9 agosto 1918), due imprese con le quali il Vate si era coperto di gloria durante la Grande Guerra. Tuttavia – sempre per i problemi economici che afflissero l’Immaginifico in tutto il corso della sua vita tumultuosa e dispendiosa – fra tante iniziative, il progetto del teatro all’aperto da situare al centro del complesso del Vittoriale poté essere ripensato solo nel 1930, sicuramente sulla base delle idee oniriche del Vate ma, sul piano architettonico e realizzativo, soprattutto grazie alla consulenza artistica dell’architetto Gian Carlo Maroni: e il modello ispiratore fu, fin dall’inizio, quello del teatro greco antico ad emiciclo, con la caratteristica cavea a gradoni, al punto che d’Annunzio inviò Maroni a visionare gli scavi di Pompei per poterne trarre qualche suggestione. Anche se il Poeta Soldato amava definirlo semplicemente “Una conca marmorea sotto le stelle”, fu lui stesso – prima ancora che ne fosse avviata la costruzione – a dare il nome di Parlaggio al futuro anfiteatro, mutuandolo dal “Parlagio (o Parlascio) di Firenze”, in cui nel Medio Evo si tenevano assemblee, pubbliche concioni e discussioni [da Domenico Maria Manni, Notizie istoriche intorno al parlagio ovvero all’anfiteatro di Firenze, Bologna 1746: un libro di spessore notevole, piuttosto raro, che di certo arricchiva la preziosa biblioteca dell’Immaginifico d’Annunzio, dotata di circa 33.000 volumi].
Il 1° marzo 1938, alle 20.05, Gabriele d’Annunzio si spegneva per una emorragia cerebrale, mentre era seduto al suo tavolo di lavoro nella Stanza della Zambracca del Vittoriale: ancora oggi i visitatori, come coup de théâtre, possono vedere gli occhiali del Poeta poggiati sul ripiano della sua scrivania, come se gli fossero scivolati dal naso proprio in quel momento.

I lavori per il teatro, iniziati di buona lena solo nel 1935, si erano ben presto arrestati sia per la cronica mancanza di fondi, sia per la morte dell’Immaginifico, sia per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale in cui, a partire dal 10 giugno 1940, era malauguratamente intervenuta anche l’Italia. I lavori poterono riprendere solo nel novembre 1952 e il teatro, ancorché non fosse stato completato come lo avrebbe voluto il Vate, fu finalmente aperto al pubblico l’8 agosto 1953 nell’ambito delle Manifestazioni dannunziane per il 90° anno dalla nascita del Poeta Soldato, grazie agli sforzi tecnico-organizzativi di Italo Maroni fratello di Gian Carlo – che era morto il 2 gennaio dell’anno precedente – e dell’ingegner Mario Moretti subentrato a collaborare nella realizzazione del progetto: la solenne inaugurazione fu impreziosita da un concerto sinfonico tenuto dall’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, diretta dal Maestro Carlo Maria Giulini, con musiche di Beethoven, Pizzetti, Vivaldi e Wagner.

Il Parlaggio non era stato completato quale era previsto nei progetti onirici di d’Annunzio, ma come ebbe modo di commentare filosoficamente Orio Vergani dalle pagine del Corriere della Sera – in un lungo articolo che commentava l’inaugurazione del teatro – esso era “…ancora senza marmi, ma agibile”, per concludere infine “Il Teatro c’è; la sua decorazione verrà più tardi” e infatti a partire da quella data nell’anfiteatro si sono tenuti spettacoli e concerti, malgrado tutte le gradinate e la platea fossero state lasciate “grezze”, cioè in cemento, senza quella copertura in marmo rosso dei Monti Lessini (Verona), come sarebbe stato nei desideri del Vate e nei progetti del Maroni. In particolare, dal 2011 nell’anfiteatro si tiene a cadenza annuale il Festival del Vittoriale intitolato “Tener-a-mente”, che ha visto negli anni la partecipazione di artisti e gruppi italiani ed internazionali del calibro di Joan Baez, Patti Smith, Burt Bacharach, Lou Reed, James Taylor, Paolo Conte, Franco Battiato, il New York City Ballet e la Martha Graham Dance Company, solo per citarne alcuni tra i più importanti.

E quel “più tardi” che era stato profetizzato da Vergani nel 1953 giunse a compimento con l’inaugurazione del 4 luglio 2020, allorché furono terminate le ultime rifiniture e venne messo finalmente in opera il rivestimento in marmo rosso degli schizzi originari risalenti al 1930: tutto ciò grazie al contributo economico della Regione Lombardia e soprattutto, last but not least, all’azione coraggiosa intraprendente oculata e costante di Giordano Bruno Guerri che, oltre ad essere il più illustre tra i viventi biografi del Vate, dall’ottobre 2008 è il Presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani che, istituita nel maggio 1937, divenne operativa appena dopo la morte del Poeta Soldato: e in occasione del completamento dell’anfiteatro, Giordano Bruno Guerri ha espresso la giustificata soddisfazione della Fondazione stessa, affermando “Siamo fieri di avere finalmente completato l’opera avviata da Gabriele d’Annunzio e Maroni ben 99 anni fa, consegnando agli Italiani e al mondo il loro capolavoro, che – non a caso – definivano anche Libro di Pietre Vive”.