Dalle valigie di “C’era un volta in America” di Sergio Leone alle cassapanche e i bauli de “Il Padrino”, dai gioielli di Violetta ne “La Traviata” alle corone di Enrico VIII ne “I Tudors” , dai gladii dei legionari romani in “The Passion” di Mel Gibson fino alle corazze che hanno armato i figuranti di film come “Troy”, “Le Crociate”, “Il Trono di Spade”, “Elizabeth – The golden age”, e poi gli arredi di “The young Pope” e della serie de “I Medici”, senza dimenticare le famose bighe di “Ben Hur”, le spade di “Braveheart”, il trono di “Cleopatra”, gli elmi di “Brancaleone”, de “Il Gladiatore”, e mille altri oggetti, mobili e accessori di scena. Oggetti che hanno segnato la storia del cinema, del teatro e della televisione (fu il regista Zeffirelli ad affermare in una intervista che per lui la Rancati era la fabbrica dei sogni) e che, da 156 anni, vengono realizzati in Italia, dalla creatività e dalle mani esperte degli artigiani dello spettacolo della storica attrezzeria Rancati.
Qui gli scaffali di questi enormi capannoni a Cornaredo, alle porte di Milano, traboccano di elmi romani, greci, vichinghi, passando per le fogge più varie del Medioevo e del Rinascimento, fino agli elmetti delle ultime guerre mondiali. Addossate alle pareti, faretre irte di frecce, foreste di lance e alabarde, casse ricolme di pistole e archibugi, centinaia di armature complete, schierate come fossero i famosi guerrieri di terracotta dell’imperatore cinese Qin Shihuang. Un arsenale tanto imponente quanto inoffensivo per una vera armata immobile, perché nonostante la solida consistenza e l’ottima rifinitura degli oggetti si tratta solamente di giocattoli, destinati a equipaggiare eserciti di attori e comparse.
L’azienda, vanto dell’industria cinematografica italiana, è attiva fin dal 1864, anno in cui fu fondata da uno scultore milanese, Edoardo Rancati, che, dalla preparazione delle scenografie teatrali, passò alla produzione di accessori per il mondo dello spettacolo. I costumisti possono, infatti, confezionare abiti e copricapo, ma non possono produrre accessori per i quali servono materiali e attrezzature specifiche. I discendenti di Edoardo Rancati, Giuseppe, Romolo e Cristina Sormani, proseguono ancor oggi l’attività di famiglia e l’azienda ha, oggi, in magazzino ottomila gioielli, 5mila armi, 2mila cinture, 4mila elmi, tutti prodotti a mano dal laboratorio aziendale. Nessuna concessione al feticismo da cinefili: tutti gli oggetti rimangono “in servizio”, in attesa di essere noleggiati ad altre produzioni, come nel caso delle armature realizzate per il lanzichenecchi de “Il mestiere delle armi” di Olmi, che finirono sulle tavole del palcoscenico della Scala, per i coristi de “Il trovatore” di Giuseppe Verdi.
Alla Rancati, sperimentazioni innovative, manualità e saper fare artigiano si coniugano perfettamente. «Per dar vita ad oggetti realistici utilizziamo combinazioni di sofisticate resine, poliuretani e materie plastiche per riprodurre a minor costo qualsiasi materiale come metallo, ferro, legno o cuoio rendendo il manufatto meno pesante al tatto». Tra scultori, sarti, falegnami, fabbri, pittori e decoratori nell’azienda lavorano più di venti professionisti dello spettacolo. «Anche se – ammette Cristiana Sormani – rispetto al passato è più difficile realizzare oggetti di qualità perché molti mestieri come i viminai o i cesellatori stanno scomparendo e purtroppo non c’è la volontà di tramandare tradizioni e saperi alle nuove generazioni».
A contribuire alla crisi di settore anche l’avvento del digitale. Ma ora è arrivata anche la peggiore delle crisi, perché per colpa del Covid-19 e della pandemia, tutto il mondo del cinema, del teatro, delle serie televisive, della lirica si è fermato. E ora stenta a riprendere. Le troupe non hanno ancora iniziato a lavorare (solo Cameron in Nuova Zelanda è stato autorizzato a iniziare le riprese del seguito di “Avatar”), e quindi senza nuovi film in cantiere non arriva alcuna richiesta di materiale alla Rancati. Che quindi è chiusa, ormai da tre mesi, senza alcun artigiano al lavoro.
Solo i due proprietari, Romolo e Cristina Sormani, si aggirano per gli immensi capannoni, al momento chiusi (ps: e aperti apposta per consentirmi, come amico, di visitarli). “Avevamo realizzato molto materiale per una serie storica inglese ma non sono mai venuti a prenderlo” dice Romolo “e tutti gli ordini da mezzo mondo si sono come congelati. Temiamo che per tutto il 2020 la situazione rischi di essere così. E temiamo che tutta l’artigianalità italiana in questo campo, la migliore al mondo, possa venir dimenticata o dispersa”. E sarebbe davvero un peccato. Anzi, un vero disastro.
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