
C’è un famoso disegnatore e illustratore italiano, che vive fra Milano e New York ed è considerato uno dei più grandi al mondo: si chiama Emiliano Ponzi, 41 anni. E’ così famoso che i suoi lavori, riconoscibili per lo stile unico, sono pubblicati dalle più prestigiose testate, come The New Yorker, New York Times, Los Angeles Times, Time, Newsweek, Le Monde, The Guardian, Der Spiegel, La Repubblica, Vogue, per non parlare delle copertine di libri realizzate per Feltrinelli, Einaudi, Mondadori, o le campagne pubblicitarie per Gucci, Bulgari, United Airlines e mille altre cose. Le ambientazioni dei suoi lavori si rifanno alle atmosfere di Edward Hopper, dove l’autore si annulla, si posiziona di lato e discretamente racconta un attimo della vita che scorre al suo fianco.
Il suo percorso di illustratore scatta in avanti nel 2015, quando la Penguin Books gli commissiona un libro che racconti la sua storia, in occasione dell’ottantesimo compleanno della casa editrice. Ponzi realizza dunque un silent book capolavoro, The Journey of Penguin, dove racconta le peripezie del pinguino più famoso dell’editoria mondiale. Nel febbraio del 2018 pubblica il suo secondo libro, The Great New York Subway Map, commissionato dal MoMA di New York insieme al New York Transit Museum. Incontro Emiliano Ponzi nel piccolo suo studio milanese, vicino ai Navigli, mentre è all’opera prima on i pennarelli su un piccolo disegno e poi su una tavoletta collegata al computer.
Cosa vuol dire essere un famoso illustratore?
“Fare l’illustratore è un grande atto comunicativo. Quindi devo comunicare ad un pubblico, con il mio tono di voce, un distillato della mia visione del mondo. Che passa attraverso la parola e si rende visibile attraverso l’immagine. La mia illustrazione”.
Quando ha iniziato?
“Io ho iniziato nel 2000, finito l’istituto per il design, a intraprendere la carriera professionale di illustratore. Quindi ad affacciarmi al mercato. E la prima cosa che ho fatto è stata costruirmi una precisa identità. Chiaramente siamo in tanti in questo campo, tutti diversi, e il primo passo è quello d’essere riconoscibile, quindi anni passati a cercare di piegare forme e colori in un modo che fosse a me congeniale e che mi rendesse facilmente subito riconoscibile dal pubblico”.
Quale è il suo rapporto con il mondo dei social?
“Il mondo dei social è qualcosa di abbastanza nuovo ma anche di abbastanza distopico da certi punti di vista. Perché il numero di followers o il numero di like non corrisponde spesso a quello che è l’avatar reale, mi viene da dire, del regista, del fotografo, dell’illustratore, insomma di chiunque faccia un mestiere comunicativo. Bisogna anche però sapersi difendere dai social, proprio per non cadere in questa falsa credenza di pensare che chi è un bravo comunicatore sui social riesca poi ad essere un bravo professionista nel suo campo e quindi nella realtà di tutti i giorni”.
E’ vero che la cosa che più teme è la noia?
“La noia, o meglio l’annoiarmi, è senza dubbio la cosa che mi fa più paura. Perché nella noia c’è il vuoto, nella noia tutto è in bianco e nero, non ci sono i colori, non ci sono gli stimoli, non ci sono le sfide, c’è solo un grande nulla. Quindi io dalla noia e contro la noia mi difendo trovando sempre delle cose da fare, un disegno, un’illustrazione, ma anche un semplice scarabocchio su un quaderno, perché in fondo questo è il solo modo che conosco per combattere la noia, per sentirsi sazio, sazio di vita, sazio di forme, e mai affamato”.

Cosa pensa della creatività?
“Io credo che la creatività sia qualcosa in divenire. Per cui per me è abbastanza difficile non avere più idee. Talvolta capita di avere qualche idea… che non ci soddisfa. A volte ci si stanca della nostra stessa creatività, e come risposta bisogna da noi stessi, e raccogliere delle nuove sfide, che ci portino a idee diverse dalle precedenti. E poi spesso le idee vanno cambiate, non durano per sempre, perché noi stessi cambiamo e cambiamo anche il nostro modo di comunicare. E chiaro che un’idea che funziona oggi difficilmente durerà fra 10 anni. Bisogna essere fluidi, più dinamici, e cambiare anche il modo in cui generiamo le nostre idee, i nostri progetti”.
La sua carriera è esplosa quando dall’Italia è passato agli Stati Uniti: dunque al solito nessuno è profeta in patria?
“Perché, per tendenza, tendiamo tutti a considerare scontate le cose che abbiamo attorno. Mentre l’aspetto esotico di qualcosa che sta oltreoceano è sempre più interessante, più intrigante, più misterioso. Io già un po’ lavoravo in Italia ma passando poi agli Stati Uniti con successo questa cosa ha fatto cassa di risonanza. Erano i primi anni Duemila e ancora l’idea del mondo globale era solo agli inizi, per cui la percezione generale era quella… di stare entro i confini”.
Le capita mai di fare scarabocchi sui tovaglioli di un bar o di un ristorante?
“Raramente mi capita di disegnare in un bar, o al ristorante. Non ho ancora disegnato sui tovaglioli,. E ancora non ho mai pensato di pagare il conto… con un mio disegno. Però adesso che me lo dice pensa che possa essere un ottimo spunto…”
Un sogno nel cassetto?
“Il mio sogno nel cassetto è quello di fare disegni sempre più belli. Quindi domani spero di fare un disegno che mi emozioni più di quello fatto ieri o di quello che sto facendo oggi”.
Chi è il suo riferimento artistico? Un illustratore a cui si ispira?
“Un modello non ce l’ho, tendo a prendere pezzetti di identità da chiunque mi piaccia. Che sia un modo di usare il colore, o il tratto, anche solo un modo di approcciarsi alla vita, al lavoro. Ed è una questione trasversale: magari seguo un pittore ma anche un imprenditore, un medico, uno showman. Ognuno per me ha qualcosa da dirmi o da darmi”.
Chi è Emiliano Ponzi raccontato…. da Emiliano Ponzi?
“Emiliano Ponzi, definito in terza persona, è probabilmente un disegnatore che vuole, come unico obiettivo, fare delle cose belle. Per farle poi vedere alla mamma, alla nonna, alla zia, perché gli dicano bravo”.

Tra tante copertine di riviste, di libri da lei realizzate in tutto il mondo, c’è stato mai un momento d’orgoglio in cui lei si è alzato e ha gridato al mondo “Questo l’ho fatto io!”?
“Non ancora è successo. La cosa più divertente e che ricordo bene è stato quel giorno in cui mi sono seduto nella metro di Milano e ho intravisto che il ragazzo vicino a me aveva come screensaver sul suo telefono un mio disegno. Gli ho solo detto “Bello quel disegno”, e lui mi ha detto “Si, si, molto bello, è un disegno di Emiliano Ponzi”. Naturalmente non gli ho detto che quel Ponzi ero proprio io”.