Io non rivedo mai tutti i miei film e quando un amico me ne parla perché ne ha visto uno di recente, ho sempre un soprassalto, come se avessero scoperto all’improvviso che non ho pagato le tasse, o come se venissi a sapere che il marito di una bella signora ha scoperto tutto e mi cerca….

(Foto di Elisabetta Catalano/Courtesy-Archivio Elisabetta Catalano)
Con queste parole Federico Fellini rispondeva al regista Joseph Losey, esaltatissimo dopo aver rivisto in televisione La Dolce Vita. Fellini era proprio fatto così, un grande visionario ma anche un gran bugiardo, un genio che modificava continuamente la versione dei fatti giusto per non annoiarsi. D’altronde Fellini considerava il cinema il modo più diretto per entrare in competizione con Dio. Non a caso parliamo del regista su cui sono stati scritti in assoluto più saggi, biografie e libri. Senza dimenticare che parliamo di un cineasta trasfigurato in un aggettivo. La parola “Felliniano” abita nel dizionario italiano tra la fellema, ovvero il sughero, e il fellino (fungo della famiglia delle Poliporacee).
Perché Fellini è il cinema, come diceva Simenon. Un regista che non voleva dimostrare, ma mostrare. Un autore fiero di essere un provinciale, perché, e sono parole sue: “Di fronte alla realtà metafisica noi siamo tutti dei provinciali.” Dalle prime esperienza come sceneggiatore (La sceneggiatura è come la valigia che ti porti appresso, ma molta roba la comperi per strada) alle regie di capolavori con cui vinse l’Oscar Fellini è, per usare le parole di Milan Kundera “il punto più alto dell’arte moderna”. Normale dunque che la città natale del regista, Rimini, ospiti ora, a un secolo dalla nascita del regista, la mostra “Fellini 100 Genio immortale”, allestita a Castel Sismondo, parte della sede futura del Museo Fellini, una mostra che ruota attorno a tre nuclei di contenuti, nella cornice di un allestimento scenografico innovativo: la storia d’Italia a partire dagli anni Venti-Trenta per passare poi al dopoguerra e finire agli anni Ottanta attraverso l’immaginario dei film di Fellini; il racconto dei compagni di viaggio del regista, reali, immaginari, collaboratori e no; e la presentazione del progetto permanente del Museo Internazionale Federico Fellini.

Tra le varie sezioni che compongono la mostra, una presenta il materiale del Fondo Nino Rota, il celebre compositore che ha collaborato con Fellini su molti film. E ancora, tra i materiali inediti, sarà esposta la primissima sceneggiatura di quello che poi sarebbe diventato Amarcord, intitolato “Il borgo”, in una prima stesura, e la sceneggiatura di Otto e mezzo di proprietà di Lina Wertmuller, che fu assistente alla regia di Federico Fellini proprio in quel film. Sfilano gli abiti di moda ecclesiastica di Roma accanto ai costumi del Casanova, per i quali lo scenografo Danilo Donati ottenne l’Oscar. Sarà esposto, sempre dal set di Casanova, il ciak originale, uno dei prestiti della Fondazione Fellini di Sion, con la quale il Comune di Rimini ha siglato un protocollo di intesa.

Una mostra da non perdere, che vuole ripercorrere tutte le tappe della carriera di questo grande regista, nato a Rimini nel 1920 e indirizzato a diventare giornalista, ma soprattutto sceneggiatore di grande successo. Ancora giovanissimo, firmerà insieme ad altri le sceneggiature di Roma città aperta (1945) e Paisà (1946) di Roberto Rossellini, e sarà proprio durante le riprese di quest’ultimo film che Fellini si avvierà a quella che, ancora senza saperlo, sarà la sua definitiva consacrazione: la regia cinematografica. Dopo alcune prime esperienze, il suo esordio assoluto avverrà con Lo sceicco bianco (1952), cui seguirono gli anni prolifici e gloriosi de I Vitelloni (1953), La Strada (1954), Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960, pellicola che consacrò il mito dei fotografi paparazzi), Otto e mezzo (1963), Giulietta degli spiriti (1965), e Amarcord (1973) senza peraltro dimenticare anche altre pellicole magari di minor successo (E la nave va, Ginger e Fred, Satyricon, La città delle donne, Prova d’orchestra, Casanova).
Fellini rimase operativo fino a poco prima della sua morte, sopraggiunta nel novembre del 1993, e solo pochi mesi prima, nel marzo dello stesso anno, ricevette l’Oscar alla carriera, il giusto coronamento per la carriera di un genio della pellicola come lui, che seppe attraversare epoche e tecniche diverse. Furono moltissimi i progetti non realizzati e così come i talenti multiformi del regista non sempre noti al grande pubblico, ad esempio la passione per la vignettistica e per i fumetti.

La mostra Fellini 100 Genio Immortale resterà allestita a Rimini fino al 15 marzo 2020 per poi cominciare il suo viaggio per il mondo: arriverà a Roma il prossimo aprile 2020 a Palazzo Venezia, per poi varcare i confini nazionali con esposizioni a Los Angeles, Mosca e Berlino.
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