È di qualche giorno fa l’inaugurazione della mostra di Anna Chromy a Pisa, l’artista ceca trasferitasi a Parigi nel 1968, che può vantare studi presso la Sorbona, finanche con Salvador Dalì. Dal 1988 con uno studio a Pietrasanta, dove tutt’oggi lavora.
Con Anna Chromy la storica città di Pisa diventa palcoscenico di sculture archetipe, opere a cielo aperto collocate nel centro antico della città, con una esposizione dinamica e preziosa. Le opere sono fornite di grande slancio e armonia, poste in un tentativo di ascesa alla spiritualità – ovvero alla esistenza vissuta nel modo più consapevole, pertanto in grado di comprendere il senso della vita nel suo significato più profondo e vero – cui ogni uomo dovrebbe ambire. L’artista, dunque, si serve dell’utilizzo dell’archetipo, simbolo ancestrale della natura umana, fattore appartenente all’uomo e di cui l’uomo è fatto, identico in ogni spazio e in qualsiasi tempo.
Ma la storia dei miti la conosciamo, come pure il loro significato e le vicende che ne descrivono le gesta e i fatti. Ciò che incuriosisce è la sua rivisitazione, insieme alla comprensione dell’opera – il punto di vista dell’autore – che ricerchiamo nella postura interpretata dai soggetti ritratti, il loro movimento, la dinamicità e lo slancio insiti nelle forme e nelle posizioni, il rame battezzato dall’utilizzo illuminante dell’oro: elemento distintivo, forse flusso divino, in grado di cambiare il senso di tutta l’esistenza. Oro che diventa coscienza, facoltà di cui siamo dotati ma della quale non sempre riusciamo a servirci: il “punto dell’arte” – come la stessa Chromy afferma – che distingue il momento della creazione da quello – più eccezionale – dell’intuizione artistica, indispensabile perché si possa parlare di “arte”. Così in quel punto, si compie il gesto artistico della Chromy, che accompagna le sue sculture e le trasforma in opere d’arte. Ma l’Oro non è solo “coscienza” bensì, anche “condizione” che permette all’uomo di svincolarsi dallo status di passività o soggezione – tipico di chi si lascia trasportare dagli eventi – e di evolversi verso forme di consapevolezza più elevate, in grado di far ascendere l’animo umano a un livello superiore, ovvero verso una vita autentica e ricca.
Mi appassiona il suo Ulisse, uomo energico e forte impegnato a dominare il timone delle avversità che ostacolano il suo viaggio (non a caso l’opera si chiama anche Controvento), deciso a perseguire la sua sete di conoscenza ma che, per fedeltà alla sua amata terra e il legame ai suoi affetti più cari, ritorna a casa. Ma è pur sempre lo stesso uomo che Omero fa ripartire per un altro viaggio, assecondando ancora una volta la sua natura più vera e che più di tutto concede spessore, concretezza e autenticità alla sua vita; che lui stesso non riesce a tradire e che gli fa tradire tutto il resto.
L’oro dal quale Ulisse è accarezzato – la coscienza che lo sprona ad ambire al significato più profondo della conoscenza e della vita – è rappresentato da un elegante drappo dorato che partendo dalla testa, accompagna anche il suo corpo – spirito e materia dunque, l’uno imprescindibilmente dall’altro – in una slanciata e, allo stesso tempo, possente figura, tesa all’esecuzione della sua azione, simbolo della sua vita e del suo destino di uomo compiuto.
Le altre opere esposte nel centro storico della città – bellissima Sisifo – meritano tutte un’attenta osservazione: partendo da un semplice sguardo alle forme ritratte, diventa inevitabile – seppur in modo solo percettivo – la ricerca introspettiva e personale; nella migliore delle ipotesi, la riflessione consapevole sulla propria vita rende intuibile la sua correlazione agli eventi – fasi – enfatizzati nei miti delle opere ritratte.
Info: www.annachromy.com