Photos: Tom Powel Imaging, Copyright Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York. Courtesy The Brant Foundation
La mostra di Basquiat alla Fondazione Brant è imperdibile, così come la visita al palazzo che la ospita: una ex sottostazione elettrica della ConEdison in seguito atelier dell’artista ‘concettuale’ Walter Maria dagli anni ‘80 al 2013. La galleria si divide in quattro piani per un totale di 2000 metri di spazio espositivo, ha due giardini, una terrazza sul tetto e una vista sul nord di Manhattan offerta da una parete tutta in vetro che strappa un sorriso e una foto anche a chi è newyorkese da generazioni.
La Fondazione porta il nome del suo padrone, nativo del Queens, Peter Brant, imprenditore milionario ma anche filantropo e collezionista, appassionato di Jean-Michel Basquiat. “Siamo orgogliosi di inaugurare il nostro primo spazio a New York con un artista che è centrale nella nostra collezione e siamo lieti di condividere la sua eredità artistica con la comunità che ne ha favorito la formazione” dice Peter Brant nel comunicato stampa. In effetti Basquiat era molto legato sia all’ East Village che al Lower East Side, i due quartieri che hanno visto gli esordi della sua carriera graffitista, quando lui e l’amico Al Diaz (del duo SAMO – Same old Shit) erano sempre in giro con bombolette di pittura spray.
La mostra, al 421 East 6th Street, organizzata in collaborazione con la Fondazione Louis Vuitton,(che già ne ha curata una a Parigi l’anno scorso), propone oltre 60 tra le opere più importanti di Basquiat, provenienti da collezioni private come quelle della famiglia Brant ma anche da musei internazionali. Al secondo piano, persino il celebre “Untitled 1982”- il teschio con lo spray nero e rosso su sfondo azzurro – che tre anni fa è stato venduto da Sotheby’s per 110 milioni di dollari, record assoluto per un artista americano.
Jean-Michel Basquiat, morto di overdose a 28 anni, era nato a Park Slope, Brooklyn, da genitori di origini portoricane e haitiane, era nero e parlava di razzismo senza filtri né timori. Su di lui hanno scritto e girato film e documentari, che ci hanno detto della sua adolescenza difficile, dei genitori separati, della madre con problemi mentali, delle droghe… tutti indizi che viene quasi naturale cercare nelle sue tele astratte e qualche volta imperscrutabili.
Ma ammettere di non “capire” Basquiat è il primo passo per amarlo. Passare il tempo davanti alle sue tele, cercare di decifrare i messaggi, dare un senso alle immagini, cercare di leggere le scritte cancellate. Lui stesso diceva “Cancello le parole in modo che le si possano notare. Il fatto che siano oscure spinge a volerle leggere ancora di più”.
È facile essere affascinati dai suoi lavori perché il linguaggio artistico è sempre originale; l’insieme degli elementi richiede tempo per essere decifrato o solo digerito: di cosa ci vuole avvertire Jean-Michel? Della violenza? del razzismo? Dei genocidi? Della schiavitù? Nato come graffitista urbano, Jean Michel è emerso velocemente dalla scena ‘punk’ e ha stretto presto amicizie con i maggiori artisti di quegli anni, prima ancora che compisse vent’anni.
La sua prima mostra risale al 1981 quando il PS1 di Long Island ha allestito una intera parete con 20 dei suoi dipinti, accanto alle opere di Burroughs, Byrne, Haring, Mapplethorpe e Warhol. Alla Fondazione Brant sono oltre 60 le opere di questa retrospettiva: ci sono olii e acrilici ma anche lavori su tela, su legno e addirittura su una porta.
Anche la carta è usatissima da Basquiat: economica, facile da trasportare e pronta a raccogliere in qualsiasi momento le manifestazioni più impulsive del genio maledetto. I suoi disegni sono spesso completati da parolacce e provocazioni, perché come i disegni di un bambino, non hanno filtri e non dicono menzogne.
Molti i teschi in mostra, ma anche una sezione dedicata a boxer come Sugar Ray Robinson, Joe Louis, and Cassius Clay e ai suoi miti del jazz Miles Davis e Charlie Parker, che Basquiat ascoltava spesso mentre dipingeva. La mostra ha aperto il 6 marzo e chiuderà il 15 maggio , l’accesso è gratuito, basta andare su brantfoundation.org/ e prenotare la visita. Ne vale davvero la pena.