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October 28, 2019
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L’ascesa e la caduta di LBJ in uno spettacolo teatrale accattivante

Scritto dal premio Pulitzer Robert Schenkkan, "The great society" sulla presidenza Johnson al Lincoln Center di New York fino al 30 Novembre

Floriana FrigentibyFloriana Frigenti

Marchant Davis, Brian Cox e Bryce Pinkham. Credits: Evan Zimmerman

Time: 4 mins read

Uno spettacolo teatrale lungo più di due ore e mezza che ti tiene sveglio e dritto sulla sedia, esiste: si chiama “The Great Society” e sarà al teatro del Lincoln Center di New York fino al 30 Novembre.

Lo show porta il nome delle iniziative politiche lanciate dal presidente Lyndon B. Johnson nel biennio 1964-1965 con l’obiettivo di eliminare completamente povertà e ingiustizia razziale, o almeno così diceva.

Johnson, salito al potere dopo la morte di J.F. Kennedy, è stato il 38esimo presidente degli Stati Uniti. E’ famoso per Il Civil Rights Act del 1964, il Voting Rights Act del 1965 e per la Guerra in Vietnam che gli ‘scappò di mano’ e lo costrinse e rinunciare ad una successiva candidatura perché mandò quasi in bancarotta il paese “That bitch of a war killed the lady I really loved” disse nel 1968.

Brian Cox nei panni del presidente Johnson. Credits: Evan Zimmerman

Scritta dall’americano e premio Pulitzer Robert Schenkkan, questa sceneggiatura è la continuazione della già premiata storia “ All the Way” con cui Schenkkan vinse un premio Tony nel 2014.

“The Great Society” ha debuttato nel 2014 a Seattle ma è arrivato a New York solo lo scorso mese al teatro Vivian Beaumont del Lincoln Center con un cast di 19 attori che si cimentano in più personaggi storici: il meraviglioso David Garrison veste le parti di Richard Nixon, del governatore dell’Alabama George Wallace, dello sceriffo Jim Clark e di Norman Morrison l’attivista che si diede fuoco in protesta contro la Guerra in Vietnam, per esempio.

Altre figure storiche sono Martin Luther King, Jr. (interpretato da un poco vigoroso Grantham Coleman), il sindaco di Chicago  Richard J. Daley (Marc Kudisch), Robert F. Kennedy (Bryce Pinkham), il vice presidente President Hubert Humphrey (Richard Thomas), il senatore repubblicano Everett Dirksen (Frank Wood), il segretario della difesa Robert McNamara (Matthew Rauch), il capo dell’ FBI J. Edgar Hoover (Gordon Clapp) e la First Lady Bird Johnson (Barbara Garrick).

Tutti i personaggi, ad eccezione di Johnson, sono poco approfonditi (lo stesso Bobby Kennedy che vediamo spesso in scena, non sembra affaccendato ma solo costantemente irritato dalla presenza di Johnson) ma servono tutti a disegnare il personaggio del presidente. 

Insieme, nella loro funzione corale, questi attori sono bravissimi; quando restano immobili sul palco nel bel mezzo di un movimento (un freeze) o quando rappresentano un pestaggio in slow motion.

La struttura dello spazio fisico, a mo’ di anfiteatro, contribuisce alla solenne interpretazione di Brian Cox nei panni di un presidente spavaldo e grande oratore da ‘Grecia antica’ che padrone della sua ‘arena’ si muove con disinvoltura in ogni angolo e si avvicina a tutti gli interlocutori senza remore. Sulle panchine a semicerchio, intorno al palco, questa compagine di attori vi si alterna, qualche volta ci sono i senatori seduti, qualche volta ci ritroviamo nella sala di un tribunale, qualche volta sono solo l’anticamera prima di essere ricevuti nello studio ovale.

L’ambientazione temporale dello spettacolo è densa di fatti storici e politici ma sono soprattutto due gli avvenimenti che governano la scena: la guerra del Vietnam e la guerra per i diritti civili con a capo Dr Martin Luther King.

I video che compaiono sugli schermi giganti e che sono parte della scenografia, sono impressionanti e ad effetto. Si vedono per esempio le violenze contro i neri negli stati del sud, e ad esempio alcune scene dell’uccisione di Jimmie Lee Jackson, morto a Selma nel 1965 a soli 26 anni per mano di poliziotti razzisti e assassini. Jackson era un attivista pacifista che voleva solo poter votare. “I tried to register to vote five times”, dice il suo attore.

Martin Luther King, interpretato in modo un po’ più ‘cauto e lento’ di quello che ci si aspetti, vuole che il governo federale protegga le marce pacifiste di Selma, ma l’attenzione di Johnson è sul Medicare e soprattutto sul Vietnam. “Se perdiamo in Vietnam cosa viene dopo? La Thailandia? L’Indonesia? L’Australia?” sono le parole che esprimono la preoccupazione cieca contro l’eventuale diffusione del comunismo.

Grantham Coleman nei panni di Martin Luther King. Credits: Evan Zimmerman

Gli schermi continuano a narrare le storie parallele del Vietnam, attraverso il conteggio macabro dei caduti in guerra (solo cittadini americani però) e con le prime pagine dei pestaggi contro i neri, nel sud ancora ma anche a Chicago, dove Martin Luther King si era trasferito a vivere. Sulla prima pagina del New York Times (quando costava 10 centesimi) dell’8 marzo 1965 si legge: “La polizia in Alabama usa gas e bastoni per picchiare i neri”.

La domanda che fanno al presidente chiede perché manda ‘aiuti’ all’esercito americano in Vietnam ma non manda nessuno in Alabama?

Sulla fine dello spettacolo, il bravissimo David Garrison interpreta i panni di Richard Nixon che chiede al presidente uscente “Come dormi di notte?” a cui Johnson risponde: “Dormo molto bene, so cosa ci vuole ad arrivare fin qui e conosco la differenza tra “chicken shit e chicken salad”. E lo caccia via dal suo ufficio.

Per maggiori informazioni e biglietti qui. 

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Floriana Frigenti

Floriana Frigenti

Sono nata in un piccolo paese del salernitano senza biblioteche né librerie, ma sono cresciuta comunque con la testa tra i libri e il sogno di vivere in una grande città. L’approdo a New York è arrivato dopo una lunga circumnavigazione: gli studi in management internazionale a Milano, una carriera nel marketing digitale prima a Berlino e poi a Londra, innumerevoli viaggi per provare, vedere e sentire tutte le emozioni. Sono una scrittrice appassionata di tutto ciò che è bello e ne tengo un resoconto qui https://www.instagram.com/spaghettisubway/

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