Perché si sia atteso, perlomeno a New York, più di cinquant’anni per commemorare uno dei giganti dell’arte contemporanea, il pittore e scultore italo-argentino Lucio Fontana (1899-1968), è un enigma; ma certo che adesso che è arrivata, la commemorazione ha proporzioni straordinarie: tre mostre contemporaneamente. Una celebrazione così estesa non ha precedenti nella “grande Mela”, ed io non ne ricordo neanche altrove.
La più vasta di queste mostre, di carattere retrospettivo, ha luogo nel cosiddetto Met Breuer, cioè nell’edificio creato dal celebre architetto Breuer al centro di Manhattan e che un tempo ospitava il Museo Whitney, che dopo il trasloco di questo nel più vasto museo ideato da Renzo Piano nella parte bassa dell’isola è stato preso in affitto a lunga scadenza dal Museo Metropolitan. Qui la mostra di Fontana, intitolata “Lucio Fontana: on the Threshold” (cioè “sulla soglia”), si svolge lungo due interi piani e comprende opere di tutta la vita dell’artista, caratterizzate da una continua sperimentazione che sembra porre ininterrottamente Fontana “sulla soglia” di una sintesi rivelatrice. Oltre alla notissima parte astratta di questa esplorazione, la mostra pone tuttavia l’accento sulle creazioni della prima giovinezza in cui Fontana, figlio di scultore, si è affacciato egli stesso come scultore figurativo nel mondo dell’arte, creando ritratti estremamente espressivi con materiali raramente o mai prima adoprati in questo ramo dell’arte. Tra queste opere, molte proprietà della fondazione Lucio Fontana, forse le più eloquenti sono il ritratto di Milena Milani, in ceramica e quello di Teresita (la moglie dell’artista) in mosaico, del 1940. È il momento in cui Fontana, trasferitosi ventisettenne in Italia e precisamente a Milano dopo l’educazione artistica a Rosario nella natia Argentina, ultimato un apprendistato con Adolfo Wildt e all’Accademia di Brera, ritorna, a causa dell’adesione italiana alla guerra mondiale, in Argentina dove lancia i primi elementi di una concezione multidisciplinare dell’arte come “materia, colore e suono” (il “Manifesto bianco”).
Ma è solo dopo il suo nuovo ritorno in Italia nel 1947 che Fontana, insieme a un gruppo di scrittori e filosofi milanesi, afferma il movimento artistico dello “Spazialismo” con dei manifesti che proclamano luce e spazio come fondamento della concezione artistica, e nel campo della pittura e scultura si esprime nelle notissime “tele con tagli”, che a suo tempo (1947-1956) vennero presentate come sbocco di una tensione e di un’attesa (la “soglia” di questa mostra) alimentate soprattutto dai sensazionali progressi della fisica, in particolare quella spaziale; mentre oggi vengono interpretati anche come espressione dell’incertezza politica ed economica predominanti nella prima metà del secolo scorso. Non meno importanti furono, nel ventannio che precedette la morte dell’artista, le sue altre “utopie spaziali”, come le sue strutture luminose nonché gli “ambienti” o locali labirintici ricchi di contrasti di colore, che fanno di lui un pioniere o addirittura il padre dell’intero movimento delle istallazioni ambientali oggi talmente diffuso.

La mostra del “Met-Breuer” offre abbondanti campioni di tutte queste tecniche e, di particolare risalto, la ricostruzione di uno dei primi “ambienti”, di luce rosa. Tuttavia – ed è questo un esperimento che il Met tenta per la prima volta – la mostra, anziché “fermarsi”, si estende al Metropolitan vero e proprio dove un’intera galleria (il numero 913) si apre ad esporre la ricostruzione del monumentale arabesco di luce che col nome “Struttura al Neon per la Triennale di Milano” ebbe nel 1951 vasta risonanza; e quella dell’“Ambiente spaziale a luce rossa” del 1967. Tutte le opere esibite dal Met appaiono sul sito Internet del Museo e anche su Facebook, Instagram e Twitter sotto lo “hashtag” #MetLucioFontana.

Accanto alla “doppia mostra” del Met se ne sono aperte, come dicevo, altre due, di cui la più significativa all’Istituto di cultura italiano in Park Avenue, dove, col titolo “Spatial Explorations”, si espongono, accanto a un’iconica tela rossa di Fontana con tagli e a quattro dei suoi “Concetti spaziali” (di metallo laccato e perforato, acrilico su carta, carta con fori illuminata) le opere di un gruppo di artisti italiani ispirati soprattutto ai concetti “tecnologici” e “nucleari” del suo movimento: Pietro Manzoni, Enrico Baj, Emilio Scanavino, Arturo Vermi, Mario Deluigi, Sergio D’Angelo, Tancredi Parmeggiani, Grazia Varisco ed altri. Le opere fanno tutte parte della vasta collezione della Banca italiana Intesa S. Paolo che le ha date gentilmente in prestito e la mostra è stata inaugurata in un’affollatissima cerimonia con un discorso dell’ambasciatore d’Italia Armando Varricchio.
Along side the @Met_Breuer , the @IIC_NewYork is hosting “Spatial Explorations” an impressive exhibition of works by Fontana & artists active in Milan in the 50s and 60s from @intesasanpaolo collection. An amazing dive into #Italy’s creativity & ground-breaking artistic movements pic.twitter.com/c5YVwSoPRc
— Italy in US (@ItalyinUS) 24 gennaio 2019
Infine, anche a ricordare l’origine ispanica oltreché italiana di Fontana, la quarta mostra in suo onore, dal titolo “Lucio Fontana: Ambiente Espacial, 1968” si è aperta nel Museo del Barrio, cioè nel “museo del quartiere” che si apre in una parte alta, eminentamente portoricana e cubana, di Manhattan. L’esposizione consiste nella totale ricostruzione dell’ambiente di cui al titolo, una delicatissima struttura splendente di bianco cui si accede attraverso un “taglio” analogo a quello caratteristico delle tele del pittore; ultima struttura creata, poco prima della morte di Fontana, in una serie costruita a Milano dalla Galleria Il Naviglio. Le mostre rimarranno aperte fino al 14 aprile, salvo quella di Park Avenue che chiuderà il 9 marzo.