
A chi chiedesse quale sia la mostra più importante in corso in questo primo autunno newyorkese, molti risponderebbero: Delacroix al museo Metropolitan. Questa risposta è tuttavia problematica per la ragione che la mostra proviene in realtà dal Louvre, dove molti l’hanno già vista, ed è questo anche il motivo per cui io preferisco destinare lo spazio a mia disposizione a un altro avvenimento e a un altro nome: Valadier alla Frick Collection. Qui una mostra monografica su uno degli artisti più eminenti che abbiano mai operato a Roma e che attende da tre secoli di essere tenuta si aprirà alla fine di questo mese in una delle sedi espositive più raffinate e sensibili degli Stati Uniti.
Udendo questo nome, molti penseranno al ben noto architetto, Giuseppe, cui è tra l’altro dovuta a Roma la sistemazione di Piazza del Popolo, ma cadranno in errore perché l’uomo di cui si parla non è questo, ma suo padre, artista a tutt’oggi perfettamente sconosciuto e ciò soprattutto per una circostanza: morì suicida, in un tempo in cui molta gente aveva interesse a dimenticarlo e in cui il suicidio era considerato un ignominioso peccato. Dunque il titolo completo della mostra è: “Luigi Valadier, Splendor in Eighteen Century Rome.” Questo Luigi era nato a Roma nel 1726 da un emigrato francese proveniente da un paesetto non lontano da Avignone e appartenente a una dinastia di artigiani ultimamente specializzata in oggetti preziosi. Luigi, a Roma, aveva allargato l’attività di famiglia istallandola in una delle più grosse botteghe d’arte della città prima dietro piazza Navona, poi a un angolo di via del Babuino vicino a piazza di Spagna. In essa si producevano straordinari oggetti domestici nei materiali più vari, ma soprattutto marmo e argento dorato, destinati ai tavoli delle case nobili e venduti in quantità senza precedenti su ordinazione di papi, di case reali regnanti, di ricchi turisti di passaggio, soprattutto inglesi. Gli oggetti, scolpiti con precisione assoluta su disegno fantasioso e malinconico di Luigi, che all’eleganza settecentesca dell’ultimo barocco aggiungeva una tristezza e una dignità che precorrono il periodo neoclassico, erano realizzati da una mano, quella di Luigi, non inferiore per agilità ed arte a quella dei grandi orefici del livello di Cellini, ma a cui si aggiungeva l’opera di un folto gruppo di artigiani – fino a ottanta e più – stabilmente impiegati nella bottega.
Visti oggi, i disegni e le sculture di Luigi Valadier appaiono non distanti, come fantasia e come misto di emozioni a cui risalgono, da quelli di Giambattista Piranesi, il grande incisore di età vicina alla sua e che viveva a poca distanza da lui. La bottega di Valadier aveva un solo problema: la spesa comportata dall’aiuto di tanti artigiani per la creazione di oggetti tanto splendidi ed elaborati era superiore al prezzo, sia pure altissimo, che la casa poteva imporre, e molto spesso i compratori d’alto livello a cui era rivolta la produzione si sottraevano al pagamento, soprattutto nel periodo finale dell’attività di Luigi, mentre ribollivano già le emozioni che avrebbero condotto alla grande rivoluzione in Francia e alla sorte di personaggi come papa Pio VI, morto in esilio nel periodo napoleonico. Pian piano il dislivello tra uscite e entrate era arrivato al punto che Luigi era carico di debiti, soprattutto nei confronti dei collaboratori, e derivava da ciò la depressione che lo aveva indotto, una mattina dell’anno 1786, a sommergersi nell’acqua del Tevere nel punto detto la Marmorata, cioè dove si scaricavano i marmi anche per le attività artigiane come la sua, e a non uscirne più, per non lasciare dietro di sè altra memoria che quella di un disperato e di una morte fatta di debiti e di peccato.

Sono stati gli oggetti da lui creati che, contemporaneamente e sia pure con lentezza, hanno ricordato attraverso i secoli, nelle grandi case dove molti sono tuttora, dal Vaticano alle residenze degli zar e da quelle dei papi a quelle dei grandi nobili romani, l’uomo che li aveva prodotti, e ad interessare i conoscitori al pinnacolo che essi rappresentano nell’arte decorativa europea. Tra questi conoscitori fa spicco, oggi, lo storico Alvar Gonzàlez-Palacios, cubano ma naturalizzato italiano, che ha dedicato al periodo e specificamente ai Valadier vari libri, di cui l’ultimo ora dedicato a questa eccezionale mostra. A promuoverla, colmando una dolorosa lacuna nella storia dell’arte, ha contribuito il conservatore capo della Frick, Xavier F. Salomon, il quale ha quest’anno dedicato all’arte italiana numerose mostre. Questa si aprirà il 31 ottobre e rimarrà aperta nella lussuosa sede della Collection sulla quinta Avenue fino al 20 gennaio 2019.