Quello che segue è uno stralcio da ‘La grande guida di Roma’ di Mauro Lucentini, il nostro critico d’arte; più precisamente, è uno stralcio da quella parte del libro che è intitolata ‘Prima di andare,’ ossia che può esser letta prima di visitare il luogo, cioè dovunque, mentre le parti che si riferiscono alla visita vera e propria sono denominate ‘Sul posto’. Questa divisione è tipica del libro di Lucentini e unica nel settore delle guide, particolarmente adatta a Roma dove è utilissima per assorbire la quantità enorme dei dati d’informazione occorrenti per avere un’idea della ‘Città eterna’ e dei suoi 2700 anni di storia. Tutti gli stralci che seguiranno provengono dalle parti ‘Prima di andare’; per avere il libro completo, ossia anche i gruppi di pagine che vi occorreranno una volta ‘Sul posto’, acquistatelo direttamente da Amazon. Gli stralci precedenti possono essere riletti cliccando qui.
L’idea di sontuosi bagni, sia privati che pubblici, risale agli Egizi e alle civiltà egee (sale da bagno sono state trovate nei palazzi di Cnosso, di Festo e di Tirinto). Ma toccò ai Romani, con la loro capacità tecnica e la loro attenzione agli aspetti più popolari della vita sociale, portare al massimo sviluppo i bagni sia come creazione architettonica che come istituzione pubblica. I più antichi bagni pubblici in Italia sono stati trovati a Pompei. A Roma bisognò aspettare l’avvento di Augusto perché venisse infranto il tabù che fin allora, un po’ come era avvenuto per i teatri, aveva impedito l’introduzione nella città di raffinatezze come i bagni riscaldati, ritenute estranee al rude carattere romano. E fu appunto per la volontà di Augusto di dare a Roma un aspetto ricco e monumentale che venne realizzato da parte del genero di Augusto, Agrippa, il primo bagno pubblico, di relativamente piccole dimensioni. I vestigi di questo primo bagno si trovano subito dietro al Pantheon.
Successivamente, con l’instaurazione della dittatura imperiale e il desiderio dei monarchi di tenere distratta e soddisfatta la cittadinanza romana si ingaggiò tra gli imperatori una gara a creare bagni pubblici sempre più imponenti, che divennero uno dei centri essenziali della vita comunitaria per tutti gli strati della popolazione (l’en-trata costò sempre appena un quarto di asse, una cifra irrisoria). Conformemente allo spirito ugualitario prevalente a Roma, le terme erano destinate soprattutto alle masse, ma non le disdegnavano gli aristocratici e nemmeno gli imperatori, per esempio Adriano che le visitava spesso. Le più grandiose come dimensioni sono quelle di Diocleziano, che all’interno ospitano, in una piccola parte della loro superficie, una basilica rinascimentale adattata da Michelangelo. Ma le terme giunte fino a noi nel loro più completo stato originale e che furono anche le più splendide in senso decorativo, nonché le prime a raggiungere soluzioni architettoniche di stupefacente audacia, sono quelle dell’imperatore soprannominato Caracalla. Tutte, però, seguivano approssimativamente lo stesso schema planimetrico. Locali di servizio, botteghe, palestre, uno stadio e perfino biblioteche con grandi sale di lettura erano disposte attorno a un vastissimo cortile e giardino per gli esercizi ginnici. Nel corpo centrale – i bagni veri e propri – c’erano gli spogliatoi (apodyteria), sale per cospargersi d’olio (unctoria) e una pervasa di vapori caldi per la perspirazione e il riposo (sudatorium o laconicum). È qui che olii, polvere e sudore venivano rimossi con gli strigili, palette ricurve di metallo o d’osso (ne abbiamo una rappresentazione famosa nella statua dell’Apoxyomenos, oggi nei Musei Vaticani). Il bagnante aveva poi la scelta tra una sala con vasche per il bagno caldo (calidarium o caldarium), una con fontane e vasche d’acqua tiepida (tepidarium), e una grande aula centrale per abluzioni con acqua fredda (frigidarium). Da un lato c’era una grande piscina scoperta per il nuoto, in uso sol-tanto d’estate (natatio). Uomini e donne si bagnavano a ore diverse, ma il bagno misto, sebbene deplorato dai moralisti come Quintiliano e proibito da alcuni imperatori tra cui Adriano e Marc’Aurelio, non era infrequente.

Occorre aggiungere che sulle regole e consuetudini dei bagni, in particolare sulla successione tra i vari momenti del bagno, gli studiosi non sono d’accordo e che anche l’identificazione dei vari locali rimane incerta. Ciò che c’è di certo, invece, è l’importanza che l’uso del bagno pubblico aveva nei costumi e nella giornata dell’antico abitante dell’Impero, sottolineata nelle opere di Plinio il Giovane, Marziale, Giovenale, Svetonio e, nell’epoca della decadenza, Ausonio e Stazio. Ecco, qui di seguito, la descrizione di una giornata alle terme, in una lettera indirizzata da Seneca, il precettore e poi vittima di Nerone, all’amico Lucilio:
Non ne posso più dal chiasso; abito proprio sopra il bagno pubblico. Gli strepiti che arrivano fino quassù ti fanno rincrescere di possedere orecchie. Mi par di vederli questi atleti che si contorcono o che sollevano pesi di piombo, sento il loro respiro affannoso, i raschi di gola, i gemiti veri o fatti per posa. Molti preferiscono starsene tran-quilli a farsi massaggiare e ungere d’olio, ma allora arriva quassù il rumore degli schiaffi sulla schiena e che cambiano di forza a seconda che il palmo sbatta di piatto o di cavo. Non parliamo dei giocatori di palla, quando cominciano a contare i punti. È la fine! Aggiungi gli schiamazzi dell’attaccabrighe e le grida del ladro colto sul fatto, nonché la voce di quello a cui piace ascoltare se stesso mentre fa il bagno; aggiungi i tuffi in piscina con grande ricaduta d’acque. Ma perlomeno tutta questa gente ha voci normali. Immagina adesso il depilatore con la sua vocina tenue e stridula fatta per farsi meglio riconoscere, ora alta, ora bassa, ma che non smette mai se non nel momento in cui strappa i peli delle ascelle e allora è l’altro a urlare. Infine ci sono le grida del venditore di bibite, e del salsicciaio, e del pasticciere, e di tutti i merciai ambulanti, ciascuno con la sua particolare intonazione.
Bisogna però notare che per le persone più ricche e più raffinate esistevano anche terme private più piccole ma più signorili e tranquille, come quelle Surane (dell’amico di Traiano L. Licinio Suro) e Deciane (del futuro imperatore Decio) di cui si sono trovati resti sull’Aventino.
Le Terme di Caracalla, progettate e incominciate da Settimio Severo ma costruite in massima parte e inaugurate nel 216 d.C. dal figlio Marco Aurelio Antonino Bassiano (donde il loro nome ufficiale di Terme Antoniniane) detto Caracalla (quello che fece uccidere suo fratello Geta), sono uno dei più grandi e meglio conservati complessi termali dell’antichità. Potevano servire quotidianamente, in due o tre turni, fino a 6000-8000 persone. Erano già a suo tempo celebri per la perfezione tecnica, per la potenza degli impianti idrici (Caracalla aveva fatto costruire per alimentarle un nuovo acquedotto, l’Aqua Nova Antoniniana) e per il numero e la qualità delle opere d’arte. Erano ancora in perfetto stato tre secoli dopo la costruzione, perché Olimpiodoro ne magnifica la bellezza e Polemio Silvio le elenca tre le sette meraviglie di Roma. Subito dopo tuttavia dovettero essere abbandonate per il taglio degli acquedotti della città assediata da parte di Vitige, re dei visigoti.
Nell’alto Medioevo servirono, come tanti altri monumenti romani, come cava di materiali e molti dei suoi arredi furono dispersi a Roma e altrove; otto capitelli provenienti dalle biblioteche sono stati trovati sulle colonne di Santa Maria in Trastevere, tre capitelli provenienti da una palestra, con aquile e fulmini simboli di Giove, nel Duomo di Pisa. Ma ancora nel Rinascimento il numero degli oggetti d’arte trovati nei primi scavi era causa di stupefazione (l’architetto e pittore Pirro Ligorio menzionava a metà Cinquecento «il numero delle statue […] innumerabile et le superbe colonne […] dove ancora erano vasi di diversa forma […]»). Da questi scavi provengono il celeberrimo gruppo del Toro Farnese e l’Ercole Farnese ora al Museo Nazionale di Napoli, le due vasche di granito di piazza Farnese e il Mosaico degli Atleti ora nei Musei Vaticani (Museo Pio Cristiano). La varietà dei pavimenti marmorei e dei mosaici che la ornavano e che in piccola parte sono ancora in sito formava uno dei maggiori complessi decorativi del genere esistenti a Roma.