Qualcuno, a torto, lo ricorderà solo per le foto di Venezia, per quelle cartoline della città (diffuse a milioni) con le maschere del Carnevale, per quegli sguardi lagunari, fra acqua, nebbia, calli e gondole. Però Fulvio Roiter, prima d’essere diventato famoso in tutto il mondo come artefice dell’immagine iconografica di Venezia, è stato sempre un grande fotografo tout court, di viaggi e degli ultimi: certe sue immagini sono passate alla storia, come quella del minatore nudo che spinge un carrello nella zolfatara siciliana, quella del maniscalco nano andaluso, e poi ancora i gauchos del Rio Grande do Sul, gli indios in Amazzonia, i pastori della Mesamérica, i pigmei del Monte Hojo, la vecchia moglie di un povero suonatore a New Orleans.
A due anni dalla scomparsa, proprio la sua città gli rende omaggio (fino alla fine di agosto) con una grande mostra alla Casa dei Tre Oci, alla Giudecca, attraverso 200 fotografie, per la maggior parte vintage, che raccontano l’intera vicenda artistica del fotografo veneziano: quindi la più completa rassegna monografica mai realizzata sull’autore e la prima dopo la sua scomparsa.
L’esposizione, curata da Denis Curti, resa possibile grazie al prezioso contributo della moglie di Roiter, Lou Embo, racconta tutta l’ampiezza e l’internazionalità del lavoro del fotografo veneziano. Partendo dalle origini e dal caso che hanno determinato i primi approcci di Roiter alla fotografia, nel pieno della stagione neorealista, di cui il fotografo veneziano ha ereditato la finezza compositiva, il percorso racconta gli immaginari inediti e stupefacenti che rappresentano Venezia e la laguna, ma anche i viaggi negli Stati Uniti (famoso un suo reportage a New Orleans), Belgio, Tunisia, Iran, Costa d’Avorio, Libano, Portogallo, Andalusia e Brasile. Ne derivano 9 sezioni, ciascuna espressione di uno specifico periodo della vita e dello stile di Roiter: L’armonia del racconto; Tra stupore e meraviglia: l’Italia a colori; Venezia in bianco e nero: un autoritratto; L’altra Venezia; L’infinita bellezza; Oltre la realtà; Oltre i confini; Omaggio alla natura; L’uomo senza desideri. In tal modo, il percorso espositivo scandisce le tappe di una vita interamente dedicata alla fotografia e alla ricerca di quei luoghi dell’anima che ne hanno ispirato la poetica, assumendo come unico punto di riferimento la pura e sincera passione, vissuta dall’autore tra scenari di viaggi, scoperte e amori incondizionati.
L’allestimento si arricchisce anche di videoproiezioni, ingrandimenti spettacolari e di una ventina di libri originali sugli oltre 50 realizzati, in diverse lingue, da “Essere Venezia” a “Visibilia”, da Venice” a “Un uomo senza desideri”, da “Terra di Dio” a “Centesimi di secondo”. Tutti libri che, oltre a visualizzare in pagina l’opera di Roiter restituiscono anche la vastità di contributi critici dei tanti autori che hanno scritto sul suo lavoro, tra cui Andrea Zanzotto, Italo Zannier, Alberto Moravia, Ignazio Roiter, Fulvio Merlak, Gian Antonio Stella, Roberto Mutti, Giorgio Tani, Enzo Biagi.

Contenitore e veicolo ideale dell’opera artistica di Fulvio Roiter è stato infatti, sin dal principio, il libro fotografico. E la completa dedizione verso di esso ha portato l’autore a ricevere numerosissimi e importanti riconoscimenti come il prestigioso Premio Nadar, ottenuto nel 1956, con il libro Umbria. Terra di San Francesco, e il Grand Prix a Les Rencontres de la Photographie d’Arles, nel 1978, con Essere Venezia.
Piccola nota finale e curiosa: con lo stesso approccio, meticoloso e attento con cui lavorava ai progetti editoriali, Roiter non tralasciava alcun passaggio della produzione fotografica. Per queste ragioni, le sue stampe doveva realizzarle lui personalmente, che da giovane era stato perito chimico. Niente stampatori esterni, nessuna mano estranea, ma solo lui, nella camera oscura allestita in casa sua: e da lì uscivano foto timbrate e firmate, al fine di esaltarne e tramandarne il loro valore. Proprio come i fotografi veri, come gli artigiani di un tempo.