
Solo i veri Maestri possono continuare a essere fonte di ispirazione a distanza di 500 anni dalla loro morte. Raffaello è uno di questi. E’ stato il pittore rinascimentale per eccellenza, la massima espressione degli ideali di armonia e bellezza perseguiti negli anni della prima “maniera moderna”, come la definì Giorgio Vasari. Dedicata al maestro urbinate è la grande mostra Raffaello e l’eco del mito, che (aperta sino al 6 maggio 2018) anticipa le grandi celebrazioni del 2020, anno in cui saranno cinque i secoli dalla morte dell’artista. Questa mostra, ospitata all’Accademia Carrara di Bergamo, si sviluppa attraverso un inedito percorso di oltre 60 opere, provenienti da importanti musei nazionali e internazionali e da collezioni private.

Tutta la mostra prende idealmente avvio dal San Sebastiano di Raffaello, il capolavoro giovanile già parte delle raccolte della Carrara, non solo protagonista di una sezione a lui dedicata ma centro dell’indagine espositiva che si sviluppa attraverso vari capitoli: le opere dei “maestri” come Giovanni Santi, Perugino, Pintoricchio e Luca Signorelli, raccontano la formazione; un significativo corpus di opere di Raffaello ne celebra l’attività dal 1500 al 1505; infine, il racconto del mito raffaellesco si sviluppa in due sezioni, la prima ottocentesca e la seconda dedicata ad artisti contemporanei.
Molti i motivi per considerare questa mostra quasi unica: per esempio per i prestiti di alcune opera mai viste (molte arrivano infatti proprio da musei e collezioni degli Stati Uniti), e poi per la prima volta, vengono riunite in Europa tre componenti della famosa Pala Colonna (dal Metropolitan Museum of Art di New York, dalla National Gallery di Londra e dall’Isabella Stewart Gardner di Boston) e tre componenti della Pala del beato Nicola da Tolentino (dal Detroit Institute of Arts e dal Museo Nazionale di Palazzo Reale di Pisa), a testimonianza dell’eccezionale contributo critico che l’esposizione a Bergamo intende presentare.

Ma perché intitola la rassegna proprio Raffaello e l’eco del mito? Perché la fama di Raffaello, già mito in vita, si è propagata come un’eco lungo cinque secoli, e in particolare nell’Ottocento, dove il fascino esercitato dalla sua vicenda artistica, tanto breve quanto intensa, ha sempre alimentato storie di fantasia di derivazione romantica, tra arte e umane passioni. Ne è l’emblema il dipinto La Fornarina in prestito a Bergamo dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, inesauribile fonte di ispirazione per le opere di Giuseppe Sogni, Francesco Gandolfi, Felice Schiavoni, Cesare Mussini, anch’esse in mostra.
Ma il Il fascino dell’opera di Raffaello, che ha proseguito il suo sviluppo nel Novecento e continua fino ai giorni nostri, è alla base di un ulteriore, ultimo spazio dell’esposizione. Con opere più recenti, opere sotto forma di citazioni, tributi, ritratti ‘in veste di’, rivisitazioni iconografiche di celebri artisti quali, tra gli altri, Giorgio de Chirico, Pablo Picasso, Luigi Ontani, Salvo, ma anche Christo, Francesco Vezzoli e Giulio Paolini.