
È stata inaugurata al Jewish Museum il 15 settembre la mostra “Modigliani Unmasked”. L’esibizione, ospitata al secondo piano dell’elegante edificio all’angolo tra la Quinta Avenue e la Novantaduesima Strada, presenta una collezione di opere che testimoniano i primi anni della carriera di Modì, nato a Livorno nel 1884 e morto a Parigi nel 1920. Il celebre artista, come la maggioranza dei membri della comunità ebraica livornese, era infatti un ebreo sefardita (con questo nome si indicano gli ebrei originari della Penisola Iberica). Quando si trasferì a Parigi, la Francia stava vivendo gli ultimi sussulti dell’Affare Dreyfus, il più grave episodio di antisemitismo che coinvolse la società e l’esercito francesi. Proprio nello stesso anno del suo arrivo, il 1906, Alfred Dreyfus veniva finalmente reintegrato nell’esercito dopo essere stato coinvolto per dodici anni in un’odissea giudiziaria sostenuta unicamente da sentimenti antisemiti. Ma la città era anche il luogo che di lì a poco avrebbe visto nascere e fiorire le principali avanguardie artistiche europee del ‘900 e l’artista assorbì positivamente il fermento culturale che si respirava tra café e boulevards.
La maggior parte delle 150 opere esposte appartiene alla collezione di Paul Alexandre, medico e primo mecenate di Modigliani. Si tratta soprattutto

di disegni a matita in bianco e nero dove l’artista sperimenta, con l’affinamento del segno, una sintesi progressiva della forma, per cui il modello si astrae sempre più fino a quando – come mostrano le ultime sale dell’esposizione – egli produrrà quadri e sculture caratterizzati da linee longilinee e curve, espressive senza il bisogno di rifarsi a nessun modello. Paul Alexandre fu fortemente colpito dalle prime manifestazioni dell’artista: i suoi schizzi lo affascinarono così tanto che egli chiese all’artista di non buttarne nessuno, costituendo una collezione privata di quasi 400 pezzi. Modigliani, figlio di madre francese, veniva spesso scambiato per un non ebreo: forse anche per questo, fin dai primi lavori, egli si interrogò sulla questione dell’identità, affrontata tramite un lavoro figurativo evidente per esempio ne L’ebrea del 1908. Nel ritratto della modella Maud Abrantès, sua amante, l’artista sceglie di utilizzare espressionisticamente i colori. Variando alla Schiele gli accostamenti di blu e verde, rimarca i tratti fisionomici più marcatamente ebraici della donna facendone – come testimoniato dal titolo – una manifestazione ideale più che una donna reale. Più astratto è, invece, il ritratto incompiuto di Paul Alexandre, datato 1913: qui l’artista sembra prendere in prestito la tridimensionalità astratta dei cubisti e rappresentare una figura che allo stesso tempo rappresenta il Paul Alexandre reale e uno dei mille Paul Alexandre astratti o ideali. I nudi della pittrice Anna Achmatova, che Modigliani conobbe durante il suo viaggio di nozze parigino del 1910, testimoniano invece, da un lato, la ricerca della forma nell’astrazione della linea e, dall’altro, le prime influenze dell’arte non occidentale sul lavoro di Modigliani. Egli infatti la rappresentò con le forme dell’arte egiziana che conobbe al Louvre.

febbraio 2018 al Jewish Museum di New York (Foto VNY/IM)
Ma fu con le visite alle collezioni etnografiche del Musée de Trocadéro che Modigliani incontrò le forme che cercava. Dall’incontro con sculture egiziane, africane, indonesiane egli trasse la propria forma artistica, con quei lunghi colli e i visi allungati che tutti conosciamo. Ma, diversamente da altri avanguardisti, Modigliani non si appropriò di queste forme, ma le prese in prestito, copiandole fino a estrarne una forma di base essenziale. Qui forse l’esposizione si fa un po’ troppo filologica, mostrando affiancati modello e realizzazione dell’artista. Tuttavia, il materiale esposto è rilevante: oltre a disegni e schizzi della collezione Alexandre, tra 1909 e 1914, sono esposti anche sculture e dipinti provenienti da svariate collezioni. In questi ultimi, come nel ritratto del dottor Devaraine, un olio su tela del 1917, ritroviamo il Modigliani a cui siamo abituati: linee curve e essenziali, colori tenui, e soprattutto gli occhi senza pupille che ne rappresentano quasi un marchio di fabbrica.
“Modgliani Unmasked” rimarrà aperta fino al 4 febbraio. Merita una visita per vedere da vicino il lavoro di uno dei più innovativi artisti del Ventesimo Secolo e interrogarsi, come fece egli stesso, sulla questione dell’identità e sulle differenti modalità di rappresentarne le sfumature.
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