Organizzata dall’Istituto italiano di Cultura di New York e curata da Marco Delogu, The Great Beauty (La Grande Bellezza) – Five Photographers and the City of Rome, è una mostra fotografica che nasce da una tradizione: ogni anno l’istituto propone una mostra collettiva di artisti italiani e non. Quest’anno l’idea è stata quella di selezionare alcuni dei fotografi che hanno partecipato al Festival internazionale di fotografia che si svolge a Roma. Nell’ambito di questo festival, ad uno o più fotografi viene commissionato un progetto che indaga, attraverso le immagini, la Città eterna. In questo spazio artistico sono stati scelti dall’IIC quattro fotografi italiani: Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Marco Delogu e Paolo Ventura. Per questa mostra, l’Istituto ha aggiunto un newyorchese al quartetto italiano, Leo Rubinfien, il quale sta ancora lavorando al suo progetto e qui propone solo un’anticipazione del proprio lavoro.
Le opere in esposizione all’Istituto rivelano visioni diverse e gli stili originali degli autori, ma sembrano anche avere in comune una certa sensibilità verso la bellezza della capitale d’Italia. Sono tutti fotografi che hanno guardato Roma tirando fuori qualcosa di speciale, di non immediato, senza cadere nel cliché della cartolina pittoresca.
Olivo Barbieri sceglie di catturare alcune immagini di Roma scattando foto dall’alto di un elicottero, utilizzando una tecnica particolare senza messa a fuoco (Roma 2004 è il suo primo lavoro dal cielo). Il risultato sembra quasi un plastico: il grande panorama diventa un modellino. La fotocamera di Barbieri cancella le differenze tra realtà e rappresentazione, manipolando entrambe al fine di mostrare Roma come un qualsiasi soggetto che diventa solo un’occasione per riflettere sul mondo, sul ruolo dell’arte, e su una delle tecniche fotografiche dell’autore.

Gabriele Basilico percorre il fiume Tevere, fotografando l’acqua e le due rive e concentrandosi molto sull’Isola Tiberina; lo sguardo del fotografo contiene il nord e il sud della città, divisi dall’acqua. E documenta, con eguale interesse, il nuovo e l’antico dimenticato, che si fondono dando vita a qualcosa che inizia ad esistere in quel momento. Il suo lavoro guarda la città da una prospettiva liberata dai colori delle immagini più letterarie, lasciando il posto all’acqua del fiume che fusa con il cielo pare un metallo liquido. Di Basilico, uno dei più grandi fotografi italiani contemporanei, sono esposte otto foto, anche come tributo alla sua scomparsa avvenuta nel 2013; tutte foto a colori, nonostante il bianco e nero abbia caratterizzato gran parte del suo lavoro.


Il fotografo e curatore della mostra, Marco Delogu sceglie invece di raccontare la luce di Roma, famosa ovunque. Tenta di rapirne l’essenza durante la notte, momento dove per le strade non c’è gente, le macchine e le voci riposano, molte luci artificiali sono spente, e tutto sembra pronto per ascoltare l’essenza di un segreto antico. L’effetto che ne deriva è quello di immagini rubate ad un ambiente intimo e crepuscolare.
Le immagini di Paolo Ventura sono invece dei fotomontaggi. C’è una piccola Polaroid e una più grande immagine dove l’artista rappresenta se stesso all’interno della città. È molto difficile identificare il luogo, il tempo, come d’altronde lo è per la maggior parte delle foto che la mostra ospita, ed è forse questo che la rende interessante.
Quattro visioni d’autore alle quali si collega lo sguardo più recente (e incompiuto) di Leo Rubenfien che nel 2016 ha iniziato la sua “commissione Roma”, un progetto inedito di cui vengono mostrate all’Istituto le prime tre immagini in esclusiva. “Un viaggio sperimentale durato tre giorni”, ci dice Leo Rubenfien presente all’opening della mostra. L’idea è quella di rappresentare la città più antica del mondo usando il volto della globalizzazione. Come fotografare Roma come una città contemporanea? Una questione quasi esistenziale che ancora deve ricevere una risposta fotografica degna della profondità dell’artista newyorchese. “Per adesso sono andato ad indagare il mondo casalingo delle famiglie romane e non. Ma l’esplorazione è appena cominciata…”, ci confida l’autore.
Le immagini esposte all’Istituto di cultura fino al 13 aprile compongono una vetrina di scatti che incorniciano la sfuggente bellezza di Roma, raccontata come una città che potrebbe essere qualunque città, ma che invece non è una città qualunque. Andare a vedere questa mostra è un po’ andare a visitare una città (che si chiama Roma) nata oltre 2500 anni fa sulle rive di un fiume tra sette colli con il Campidoglio che guarda a mezzogiorno.