Definito l’erede di Matteo Ricci, il famoso gesuita e sinologo italiano, Dionisio Cimarelli arriva in Cina a 21 anni in Transiberiana. Scopre un paese diverso, in fermento, che si prepara al boom economico. Da bambino solo i musei riuscivano a tranquillizzarlo. Per Dioniso Cimarelli, famoso scultore e artista marchigiano di Jesi, l’arte è stata sempre un’esperienza totalizzante.
Prima l’Accademia di Carrara poi le esperienze in Europa, come quella al Louvre, dove si avvicina all’arte classica. Per poi approdare in Cina nel 2004 dove rimane per nove anni. Il suo stile, unico, particolare, mette insieme la tecnica occidentale con gli elementi estetici cinesi.
Oggi vive a New York, dove insegna scultura alla New York Academy of Arts e pensa di realizzare una retrospettiva nella Grande Mela. Crede nell’arte come mezzo per la sopravvivenza umana e di comunicazione universale. Le sue opere nascono sempre dalla curiosità. Dalla ricerca, dai viaggi e dalla natura che lo circonda.
Perchè ha scelto soprattutto la scultura come forma d’arte e quando ha capito che l’arte avrebbe fatto parte della sua vita in maniera totalizzante?
“La mia passione per l’arte inizia sin da bambino, quando i miei genitori mi portavano al museo, un luogo che mi tranquillizzava molto. A quattordici anni, decido di iscrivermi all’istituto d’arte, motivato dalla mia attrazione e passione per l’arte e grande abilità nel disegno. Avrei scelto la pittura ma poi un mio amico mi ha suggerito la scultura. Mi sono subito appassionato. Il salto principale è stato il passaggio dalle Marche all’Accademia di Carrara. Quello è stato il mio impatto sul mondo. Da lì, è iniziata la mia voglia di viaggiare, scoprire il mondo, conoscere altre culture”.
Cosmopolita e globale, ha viaggiato in tutto il mondo prima di arrivare in America, dove oggi vive. La Cina però rappresenta una tappa importante. Che differenza tra la Cina di ieri e quella di oggi?
“Ho visitato la Cina per la prima volta nel 1986, arrivandoci con la mitica Transiberiana. Avevo 21 anni e sono partito per la mia tesi di laurea. La Cina di allora non era ancora aperta al turismo e la rivoluzione culturale aveva distrutto parte del patrimonio artistico. Era un paese diverso: pieno di biciclette, traffico inesistente, in via di sviluppo. L’arte cinese allora era un riflesso di quella sovietica, arte del socialismo politico. Tutti gli artisti studiavano all’Accademia di Mosca per poi ritornare nei propri paesi. Tutta quella energia, quell’aria di cambiamento, mi ha fortemente entusiasmato. E così ho deciso di ritornare in Cina nel 2004. Questa volta ci sono rimasto per 9 anni e ho vissuto una bella esperienza umana e professionale a fianco della cultura cinese.
Nel periodo del boom economico, dal 2005 al 2010, la Cina era in pieno boom culturale. Sono nate gallerie, contaminate dall’arte occidentale. A livello accademico, in Cina è ancora presente l’arte sovietica classica, ma gli artisti contemporanei si sono lasciati contaminare dall’arte occidentale. E anche lì, in linea con l’espansione economica, l’arte è diventata un business”.
Cosa hanno in comune l’Italia e la Cina?
“L’Italia è il paese occidentale culturalmente più vicino alla Cina. Un italiano non si sentirà mai spaesato in Cina. Molte le cose in comune tra i due paesi: il senso della famiglia, le tradizioni, fare business a tavola e soprattutto dopo aver instaurato un rapporto di amicizia. Non a caso i due personaggi occidentali più famosi in Cina sono due italiani: Marco Polo e Matteo Ricci. Per me l’esperienza cinese è stata importante. L’impatto è stato forte, non facile ma di sicuro mi ha cambiato la vita”.
Lei viene definito l’erede di Matteo Ricci, che tra l’altro viene dalle Marche come lei, per la sua conoscenza della Cina.
“Come Matteo Ricci, anche io sono andato in Cina per confrontarmi, conoscere, fare uno scambio culturale, non per imporre la mia cultura. Ho cercato sempre un dialogo, un confronto. La mia arte è contaminata dagli elementi estetici dell’arte cinese ma la mia tecnica è italiana, occidentale”.
Prima il surrealismo, poi il realismo, come si é evoluta la sua arte e come si evolve ancora oggi?

“Inizialmente mi interessava il surrealismo come estetica e come concetto. Poi la mia esperienza al Louvre, dove mi sono occupato di restauro, mi ha fatto avvicinare all’arte classica e ad approfondire la ricerca figurativa. Ho ricominciato da zero e da allora la mia arte è dettata sempre dalla ricerca, dalle contaminazioni, dai luoghi in cui vivo”.
Oggi lei vive negli Stati Uniti. Cosa pensa dello stato dell’arte negli Stati Uniti e soprattutto a New York. Pensa che sia ancora il centro artistico e una tappa fondamentale per gli artisti?
“Assolutamente sì, perché New York ti dà una visione globale su tutto. Non riesco a pensare ad un’altra città che possa tenere testa e concorrenza a New York. Di certo l’arte e la sua percezione sono cambiate anche qui perché c’è una crisi di identità della società occidentale che inevitabilmente si riflette nell’arte. Però abbiamo molto da imparare dagli Stati Uniti. In Italia, paese dove sono nati i mecenati, oggi l’arte è in crisi economica. In America invece sono i privati che spesso finanziano gli artisti, proprio come in Italia con i mecenati. Certo, questo può avere degli effetti negativi ma almeno crea fermento artistico”.
E invece parliamo dello stato dell’arte italiana.
“Un paese artistico che non riesce a far esprimere i suoi talenti. Io ho fatto fatica in Italia e sono dovuto andare fuori per potermi esprimere ed essere riconosciuto come artista. La stessa cosa i miei amici e colleghi. Manca la ricerca artistica, viviamo sugli allori. Di sicuro ci sono molti talenti, perché l’Italia è un paese di creativi ma dal punto di vista accademico l’Italia artistica va riformata mentre questo lavoro non è visto come una professione ma come un hobby. In America è diverso anche dal punto di vista accademico. Si studia arte figurativa, concettuale, nelle accademie italiane c’è confusione a livello didattico”.
Cosa ispira i suoi lavori e come nasce una sua scultura?

“Da quello che mi circonda, da quello che vedo, dalla natura. Dai paesi che visito. Dai miei viaggi. Quando viaggio, cerco sempre di scoprire, di andare alla ricerca di qualcosa”.
Parliamo invece della sua regione, Le Marche. Quali sono i luoghi che le appartengono e quelli dove oggi ritorna?
“La mia famiglia, i luoghi della mia infanzia. Mi piace essere circondato dall’arte, dalla bellezza della natura, dei paesaggi, del cibo. Amo la mia terra, la mia regione, ma non riuscirei a viverci al momento. Mi sento sempre limitato”.
Oggi la sua città è New York. Cosa ama della Grande Mela?
“L’energia, la sua vitalità. Cerco di fare una selezione, di scoprire, di lavorare al mio prossimo progetto artistico. Per ora mi godo l’insegnamento, un capitolo molto bello della mia vita”.
Tornando alla Cina e ai suoi artisti di oggi. In una recente intervista, Ai Weiwei, ha da poco inaugurato alcuni suoi lavori a New York tra i quali una mostra sui migranti. Cosa pensa dei suoi lavori?
“Artista dei nostri tempi, una sorta di show man che rispetto ma il cui stile non condivido. L’Occidente politico ha contribuito alla sua notorietà. Io non amo l’arte che ha uno scopo politico”.
Che valore assegna all’arte?
“Un mezzo straordinario per esprimersi che va oltre la razza e la religione. L’arte è importante per la sopravvivenza dell’uomo stesso e per elevare l’uomo e l’umanità. Credo nell’arte come mezzo per esprimere se stessi, il nostro mondo. Non credo nella funzione politica dell’arte”.